Milano

La giustizia a pezzi di Milano: tra dimissioni, veleni e assoluzioni

di Fabio Massa

A Milano tante indagini e poche condanne, spesso perché le indagini erano deboli fin dall'inizio con il risultato di distruggere vite e carriere

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Il day after di una sentenza come quella su Mario Mantovani e Massimo Garavaglia, oltre altre 10 anime e carriere distrutte tra carcere e domiciliari, non si può non ragionare un po' sul funzionamento del sistema giudiziario milanese. Mantovani, ai tempi, era vicepresidente di Regione Lombardia, e Massimo Garavaglia assessore al Bilancio talmente stimato da essere stato lanciato poi come ministro. Sono stati tritati. Mantovani ha lasciato il suo partito, Forza Italia, perché non è stato adeguatamente sostenuto, ed è approdato in Fratelli d'Italia dove adesso milita anche la figlia, Lucrezia.

Fin qui, è cronaca. Analizziamo un po' la situazione. Qual è stato l'ultimo grande successo giudiziario della procura di Milano contro la politica lombarda? Quando ha davvero vinto, l'ultima volta? La risposta è semplice, ed è datata. Si tratta del processo Formigoni. In quell'occasione la procura ha prevalso, giudiziariamente parlando. Da allora però sono state decine le inchieste avviate contro questo o quell'esponente della vita pubblica milanese e regionale. A partire da Beppe Sala (con quella vergogna della procura generale, chiaramente marcata), per arrivare ad Attilio Fontana (con altre vergogne assortite). In mezzo c'è di tutto: a un certo momento la giunta regionale (l'ultima di Formigoni) aveva il tasso di indagati più alto d'Italia: usciva sui giornali addirittura Daniele Belotti, senza specificare che aveva un'indagine perché era troppo tifoso dell'Atalanta, vizio che non risulta aver perso.

Tutti indagati o quasi; e peccato che siano stati tutti assolti, o quasi. Tante indagini, poche condanne, verrebbe da dire. Perché? Perché i potenti la fanno sempre franca? Oppure perché le indagini erano deboli fin dall'inizio? Questo è un bell'interrogativo, ma propendo per la seconda opzione. Anche perché quello che è avvenuto, dai tempi di Formigoni ad oggi, pare una caduta da manuale. L'esperienza da procuratore capo di Francesco Greco ha avuto una conclusione disastrosa: il processo Eni, sopra tutti. Ma anche le continue archiviazioni sui casi Covid. Il casino di Amara e dei verbali. E tralasciamo il fatto che per un Mantovani o Garavaglia che ci ha messo sette anni ad avere giustizia c'è un Paolo Storari, pm peraltro secondo me bravissimo, che ci ha messo una manciata di giorni. Per un Giacomo Di Capua che ci ha messo sette anni per liberarsi da accuse infamanti, c'è un Francesco Greco che ci ha messo giorni ad essere archiviato. 

Il problema è che la stagione di Mani Pulite, nella Procura di Milano, si sta chiudendo adesso. E quando un impero finisce, non è mai un bello spettacolo. Nel caso della giustizia, diventa uno spettacolo pericolosissimo per la gente e per i cittadini, con i pezzi del sistema che si schiantano sulle loro teste. Quando un ex procuratore capo viene indagato - adesso anche su Mps - non è un bello spettacolo. Per non parlare dell'ipocrisia di chi per una indagine viene rimosso dal suo incarico, e gli si chiedono dimissioni da ruoli elettivi, e chi invece viene indagato - ma è ex magistrato come Greco - viene selezionato per fare il consulente sulla legalità del sindaco di Roma, mica quisquilie. 

E ancora, in questa via crucis, come dobbiamo qualificare il fatto che a distanza di mesi ancora non è stato scelto il nuovo procuratore capo al posto di Greco? In una procura grande e importante come quella di Milano? E come si può qualificare che senza procuratore capo se ne va pure Roberto Bichi, il presidente del Tribunale di Milano? Vogliamo parlare di una struttura alla quale va messa rapidamente mano? Perché la giustizia non sta chiusa in quel palazzo, ma ricade (e cade, spesso) sulle teste delle persone, che dovrebbero ottenere giustizia e invece, come in quel detto, finiscono purtroppo troppo spesso giustiziati.

fabio.massa@affaritaliani.it







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