Milano

La guerra dei vaccini: le ombre sugli accordi con le case farmaceutiche

Laura Quaglia per Affaritaliani.it Milano

Perché di fronte ad una pandemia globale non c’è trasparenza sugli accordi firmati da soggetti pubblici e pagati con denaro pubblico?

La guerra dei vaccini: le ombre sugli accordi con le case farmaceutiche

Perché di fronte ad una pandemia globale non c’è trasparenza sugli accordi firmati da soggetti pubblici e pagati con denaro pubblico? Perché queste ultime hanno la possibilità di decidere quanti dosi fornire a chi, senza incorrere in un chiaro illecito? Perché i brevetti per i vaccini non sono disponibili a tutti quelli che hanno la capacità di produrli?  Tutti i vaccini approvati o in fase di approvazione sono stati sviluppati con ingenti finanziamenti pubblici.

Da giorni le notizie sulle consegne dai vaccini da parte di Pfizer - BioNTech, Moderna e AstraZeneca sono sempre più preoccupanti. La domanda che ci poniamo tutti è come, a fronte di contratti firmati a livello comunitario, le case farmaceutiche possano decidere unilateralmente di ridurre le consegne e la distribuzione delle fiale, di fatto compromettendo le campagne vaccinali.

Di più: i contratti cosiddetti “bilaterali”, firmati da singoli Stati con le medesime multinazionali, come si correlano al contratto comunitario? In parole semplici, con che criterio vengono assegnate le dosi? BioNTech ha infatti siglato un accordo parallelo con la Germania, che si aggiunge a quello concordato dall'Unione Europea e che garantirebbe forniture aggiuntive per 30 milioni.

Da un esame più approfondito del contratto Pfizer, che è secretato, si possono trovare alcune interessanti (o inquietanti?) risposte.

Il Corriere della Sera, che ha avuto accesso a parte della documentazione, scrive che nel contratto firmato lo scorso 11 novembre da Bruxelles è previsto l’acquisto di 300 milioni di dosi (successivamente incrementato con un ulteriore contratto), di cui il 13,46% destinate all’Italia. Parrebbe tuttavia che sarebbero state contrattualizzate solamente le consegne trimestrali, mentre la notissima scansione settimanale da circa mezzo milione di dosi ogni 7 sette giorni sarebbe solo il piano di dettaglio delle spedizioni, non vincolato ad alcun accordo contrattuale.

Questo è il passaggio chiave: in caso di ritardi nelle consegne settimanali, non sono previste penali automatiche, che invece possono essere azionate unicamente in caso di ritardi nell’arco di tre mesi. Ne consegue che il taglio delle consegne di questi giorni (l’Italia la scorsa settimana ha ricevuto il 30% circa in meno rispetto alle dosi stabilite) potrà essere contestato solo alla fine del primo trimetre, e cioè il 31 marzo e solo se nei primi tre mesi saranno state consegnate meno di 8,7 milioni di dosi. Per assurdo, Pfizer potrebbe anche consegnare tutto il lotto l’ultimo giorno del trimestre, e avrebbe perfettamente rispettato gli accordi presi.

Di più: anche trascorso questo termine e nel caso in cui le dosi consegnate fossero inferiori agli 8,7 milioni pattuiti, la penale stabilita – pari al 20% del valore delle dosi non consegnate, con incremento all’aumentare dei giorni di ritardo – non è automatica. Sono previste varie possibilità di rimedio (come il rimborso delle sole dosi non consegnate o la definizione di un nuovo calendario che includa il recupero del ritardo) che consentono di fatto a Pfizer di rimediare ai suoi ritardi come meglio preferisce.

Per chiunque si occupi di contrattualistica, l’accettazione di clausole di questo genere mette seriamente a rischio il rispetto degli impegni contrattuali, a discapito dei Paesi e dei cittadini che l’Europa rappresenta.

Altro aspetto cruciale, nel contratto di fornitura vaccini Pfizer – UE, è l’utilizzo della parola “dose” al posto di “fiala”. L’8 gennaio scorso l’Agenzia del Farmaco Europea (EMA) ha autorizzato l’uso di 6 dosi di vaccino per ogni fiala al posto di 5. Se ai Paesi UE – Italia in primis, è sembrata la via per accelerare la campagna vaccinale, Pfizer si appella al contratto riducendo le fiale consegnate, ma mantenendo inalterato il numero totale di dosi, anche se i ritardi della scorsa settimana non sono giustificabili neppure se si prendesse in considerazione la modalità di calcolo del colosso farmaceutico.

La mossa legale annunciata dall’Italia per oggi (diffida a Pfizer per inadempimento, esposto alla magistratura per potenziale danno alla salute e richiesta al Foro di Bruxelles da parte del Governo Italiano e delle Regioni per inadempimento) parte dunque zoppa. I documenti a diposizione indicano che sono le big pharma a gestire la partita, con i Governi che devono fare buon viso a cattivo gioco.

Un problema ulteriore è quello sollevato dal contratto firmato dalla Commissione Europea con AstaZeneca, che, come noto, ha annunciato tagli del 60% nelle consegne rispetto alle pattuizioni del 27 agosto 2020, specificando che nel contratto non ci sono obbligazioni vincolanti sul numero di vaccini.

Nei giorni scorsi il contratto è stato reso disponibile, sebbene con numerosi omissis su passaggi rilevanti come importo delle fatture e date di consegna, ma la sua lettura non fuga i dubbi.

L’Europa sostiene che esistano obblighi da rispettare in termini di consegne. L’azienda, invece, ritiene non ci sia alcun obbligo perché il contratto (in realtà un Advance Purchase Agreement, un accordo di acquisto preventivo) riporterebbe solo un impegno di best reasonable efforts che non imporrebbe vincoli né dal punto di vista della logistica della distribuzione né in termini di volumi di consegne. L’Europa risponde affermando che il best effort si applicherebbe solo alla fase di ricerca, in cui non c’era la certezza di arrivare ad un vaccino, e non alla fase attuale, in cui il vaccino c’è. Tuttavia, il braccio di ferro si preannuncia lungo e il risultato, anche in questo caso, non scontato.

Perché si è giunti a questo? Di fronte ad una pandemia globale, che ha già causato oltre due milioni di morti e che sta mettendo in ginocchio l’economia dei Paesi occidentali, perché non c’è trasparenza sugli accordi firmati da un soggetto pubblico – la Comunità Europea – e pagati con denaro pubblico? Perché queste ultime hanno la possibilità di decidere quanti dosi fornire a chi, senza incorrere in un chiaro illecito? Ma soprattutto, perché i brevetti per i vaccini non sono disponibili a tutti quelli che hanno la capacità di produrli?

Tutti i vaccini approvati o in fase di approvazione sono stati sviluppati con ingenti finanziamenti pubblici. Ad oggi, guardando solo all’Europa, i contratti di preacquisto con produttori di vaccini Covid-19 firmati dalla Commissione sono sei: BionTech-Pfizer (300 milioni di dosi, più altri 300, in tutto 600 considerando anche i 100 opzionali del secondo contratto), Astrazeneca (400 milioni di dosi), Sanofi-Gsk (300 milioni che slitteranno a fine anno), Janssen di Johnson &Johnson (400 milioni che potrebbe essere autorizzato a marzo),  Curevac (405 milioni di dosi) e Moderna (160 milioni di dosi, che il 29 gennaio scorso ha però annunciato un taglio delle forniture).

La spesa complessiva per l’acquisto di vaccini dovrebbe essere per l’Europa nell’ordine di 11 miliardi di euro. Soldi pubblici che si sommano a finanziamenti pubblici. Ma al momento certezza sulle consegne, al di là delle rassicurazioni, non ce ne sono.







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