Milano

“La sociologia dell’arte”: un volume per comprendere la contemporaneità

Federico Ughi

Le contraddizioni dell’arte contemporanea e le nuove sfide di una disciplina di confine ne “La sociologia dell’arte” di Gian Piero Rabuffi

“La sociologia dell’arte”: un volume per comprendere la contemporaneità

“Mediocrità al quadrato”: sono passati ormai oltre venti anni dal formidabile j’accuse del filosofo e sociologo Pierre Baudrillard contro quello da lui definito  il “complotto dell’arte”, e la assoluta “insignificanza” delle sue manifestazioni sia a livello concettuale che estetico. Dalle prestigiose colonne di Libération, era il maggio del 1996, il francese volle schierarsi con la propria autorevole voce al fianco dei tanti spaesati profani in visita alle esposizioni contemporanee, alle fiere, alle installazioni. Combattuti tra senso di colpevole soggezione di fronte a cose che sembrano andare oltre la propria comprensione e sospetto di trovarsi di fronte a sofisticati ed eleganti raggiri. I detrattori dell’arte contemporanea non esiterebbero a sostenere che da allora nulla è oggi cambiato in meglio. Gli appassionati e gli addetti ai lavori hanno del resto dalla loro un nutrito arsenale di fatti e controdeduzioni per dimostrare che la genuina vitalità e rilevanza del sistema dell’arte poggiano su legittime e solide evidenze.

La nuova sociologia dell’arte promette di fornire diversi utili strumenti, se non per dirimere la questione, quantomeno per cercare di inquadrarla secondo una prospettiva coerente e rigorosa dal punto di vista dei criteri epistemologici delle scienze sociali. Perché diciamo “nuova” sociologia dell’arte? Perché si tratta di una disciplina che, da sempre ibrida per natura, in poco più di un secolo di indagini si è anche  profondamente interrogata su se stessa, i propri obiettivi e le proprie modalità operative, mutando notevolmente i propri orizzonti. Oggi, la sociologia dell’arte non ha più in agenda la ricerca di una spiegazione sociologica trasversale e omnicomprensiva del fatto artistico, prediligendo analizzare le specifiche dinamiche e interrelazioni in essere tra i diversi agenti che operano nel network del mondo dell’arte. A cosa serve l’arte (e a chi), come funziona l’ecosistema sociale in cui essa è originata, diffusa, fruita. Agenda che resta ambiziosa e che, suggestivamente, finisce per raccontare molte cose anche sulla società contemporanea, le sue aspirazioni ed idiosincrasie.

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La sociologia dell’arte” è anche il nome del volume realizzato dalnoto ed apprezzato  sociologo e critico d’arte Gian Piero Rabuffi, edito da Pime Pavia, che costituisce una puntuale e ricca ricognizione attorno alla disciplina. Concepito in due sezioni, il libro ripercorre dapprima le tappe principali della storia della sociologia dell’arte, dai contributi dei padri delle scienze sociali come Durkheim, Weber, Simmel, passando per imprescindibili classici della corrente marxista e della scuola di Francoforte, per le proposte influenzate da etnometodologia e Cultural Studies, fino a giungere ai due grandi filoni che informano ancora oggi la ricerca sociologica dell’arte, quello statunitense e pragmatista degli Arthur Danto e degli Howard Becker e quello europeo e post-marxista incarnato da Pierre Bourdieu. Nella seconda parte, trova spazio l’analisi dell’attuale sistema dell’arte. Lo statuto dell’autore, le mostre e l’ascesa della curatorship, i collezionismi ed i loro moventi, le fiere, le case d’asta, le vendite record. Insomma, il ruolo sempre più preponderante del mercato, nella sua ingombrante veste di unica ideologia rimasta sul campo in Occidente. Ed il modo certamente controverso e conflittuale con cui le sue leggi interagiscono con un mondo, quello dell’arte, che una narrazione cui è per molti impensabile rinunciare vorrebbe regno di pura spiritualità ed espressione delle più alte vocazioni umane. Proprio sul crinale di questa contraddizione forse irriducibile muovono anche le riflessioni di Gian Piero Rabuffi. Alla ricerca, forse, anche di una possibile redenzione per un’arte che, a furia di demistificare tutto e tutti, ha finito per demistificare anche se stessa.   







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