La via milanese del 5 Stelle. Talebani e non, chi corre e dove
Il M5s si riorganizza a Milano e in Lombardia. Ecco tutti i nomi: chi corre e dove
Il pericolo più grande - scrive l'edizione odierna de Il Foglio - si corre nell’ora della vittoria. E allora, perché vincere, in Lombardia? Del resto, a vedere come sta finendo (anzi, andando avanti) la vicenda romana, sta a vedere che quella diavolaccia di Paola Taverna, illuminata statista pentastellata, c'aveva anche ragione, un po' come la massima di Napoleone riportata nell'attacco del pezzo: "C'è un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma". Eppure un pericolo c'è, per il Partito Democratico, e Forza Italia, e anche per la Lega Nord e tutti gli altri. Che nel Movimento 5 Stelle prenda piede un'area decisamente diversa da quella caciarona e peracottara della Capitale. Un'area più credibile, quasi governativa. Perché c'è pure questo in quello che solo apparentemente è un marasma (o una marmaglia?) indistinguibile.
Dalle parti di Torino, ad esempio, c'è una classe dirigente che cresce e che non spaventa la Compagnia di San Paolo. Miracoli di Tarso? Ma anche sotto la Madonnina piccoli grillini crescono. La via milanese ai pentastellati, in un posto che qualunque cosa covi, diventa più o meno riformista. Incredibile. La via che Gianroberto Casaleggio avrebbe voluto percorrere, e che invece è rimasta là, incastrata nelle liason politiche tra Vito Crimi e Paola Carinelli, tra Roberta Lombardi e Virginia Raggi, tra Di Stefano e Marton, tanto per dire coppie a caso. Ecco, in Lombardia ci sono i talebani e quelli che invece vorrebbero proprio vincere. Come Eugenio Casalino o Stefano Buffagni, come Violi, Fiasconaro. Poi ci sono i talebani, come Nanni, in parte Macchi, e Silvana Carcano, la candidata presidente (come Vito Crimi prima di lei: lui con percentuali da prefisso) sconfitta da Maroni (e pure da Ambrosoli).
E' chiaro che la partita delle elezioni, nel contesto attuale, non è solo una partita tra il Movimento 5 Stelle e le altre formazioni, ma anche tra le anime all'interno dei pentastellati. Chi verrà candidato? E in che modo? Perché non tutto accade sul web. Anzi, ben poco, in questa fase. E considerata la partecipazione alle consultazioni, che ha avuto in Roma il suo apice, e si è visto con quali risultati, il ricorso al web in un momento nel quale la maggior parte degli onorevoli lombardi è al primo mandato, così come i consiglieri regionali, ha uno scarso rilievo. Dunque, che cosa si agita nel Movimento?
Primo problema sono le regole. Esiste una norma interna (abbastanza inspiegabile) per la quale tutti i candidati al Parlamento che abbiano più di 40 anni finiscono automaticamente candidati al Senato. Questo vuol dire che buona parte di quelli che ora stanno alla Camera dovrebbero trasferirsi nell'altro ramo del parlamento. E che pure quelli che aspirano, dal consiglio regionale lombardo, ad andare a Roma (qualche nome? Paola Macchi, Iolanda Nanni, Eugenio Casalino), finirebbero per doversi candidare al Senato. Dove, peraltro, c'è una situazione che - a livello milanese - è alquanto tragica: non c'è neppure un senatore che viene dalla Madonnina. Su 7 senatori, 3 sono stati cacciati o se ne sono andati (Luis Alberto Orellana, Monica Casaletto, Laura Bignami). Uno, Luigi Gaetti, ha raggiunto i due mandati e non può farne un terzo (nel suo passato c'è la Lega Nord, consigliere comunale di Curtatone dal 2000 al 2005). Poi c'è la capogruppo, Giovanna Mangili, che ha già provato due volte a dimettersi, e che non brilla certo per operatività (secondo l'indice di produttività Openpolis è 266esima su 315 senatori). Anche lei, c'è da dubitare che si ricandiderà. Quindi, degli uscenti, pare siano blindati il citato Vito Crimi e Bruno Marton. Insomma, spazio ce ne sarebbe, purché venga cambiata la regola dei 40 anni, altrimenti sarà battaglia vera.
E alle regionali? Quel che pare certo è che Silvana Carcano non si riproporrà come candidata presidente. Ma sembra altresì certo che - a parte quelli che vogliono andare a Roma - tutti gli altri faranno valere la propria voce per farsi ricandidare. Sempre che Maroni faccia il miracolo e le due elezioni siano coincidenti. Ad oggi, se si votasse ad ottobre, l'operazione potrebbe riuscire. La Lega Nord, infatti, è sempre più lontana dalle posizioni azzurre, e Maroni ha in mano il pallino del gioco. In caso di legge elettorale favorevole, con un marcato proporzionalismo, la tentazione di far cadere la Regione e unificare le competizioni, sarebbe davvero forte. E i grillini brinderebbero. In Lombardia la lotta è impari, e difficilmente sarebbe contendibile. Secondo un sondaggio interno al Pd, addirittura, l'unico modo per mettere in difficoltà Maroni sarebbe proprio quello di auspicare una crescita del Movimento 5 Stelle, che pesca a destra più che a sinistra. In caso contrario, con le posizioni stabili, il governatore avrebbe già vinto. Il paradosso è che far crescere una classe politica pentastellata anche in Lombardia in funzione antileghista potrebbe far male al Pd in ottica futura. Perché, come diceva Napoleone, il pericolo più grande lo si corre nell'ora della vittoria. Anche se perdere dà fastidio a tutti.
@FabioAMassa
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