Milano
Lega, guerra nelle viscere padane. E il centrodestra torna ad Arcore
Lega e Forza Italia: dopo la sconfitta milanese sono partiti i regolamenti di conti. L'analisi
di Paola Bacchiddu e Fabio Massa
Neanche 24 ore dall’esito del voto e nel centro destra sconfitto a Milano, anche se per un soffio, è partito – com’era prevedibile – il consueto regolamento di conti, a colpi di dichiarazioni alle agenzie e messaggi incrociati davanti alle televisioni. E poi tutte le liti dietro, le stilettate e i colpi bassi.
L’autocritica interna a via Bellerio, partita dopo il primo turno, con tanto di reprimenda al segretario della Lega da Giorgetti – vero uomo di fiducia di Salvini e artefice moderato dell’operazione Parisi - sembra essere sparita. All’epoca il “Gianni Letta di Salvini” aveva rimproverato al leader del Carroccio di aver giocato questa partita delle amministrative nella consueta maniera troppo personalistica: ascoltando poco e delegando quasi nulla. E al Matteo padano l’obiezione rivolta era quella di essersi speso troppo poco, a Milano, sul territorio (punto di forza d’un tempo, ora tallone d’Achille) e un po’ troppo in televisione.
In alcune significative escursioni tra la gente, nei mercati e in periferia, Salvini era stato fischiato al grido di “ti si vede solo in televisione”: un addebito bruciante per chi era abituato, nelle decine d’anni di politica militante, a essere uno dei pochi presente anche quando le campagne elettorali finivano e le telecamere si spegnevano.
Ecco perché, racconta qualcuno a lui molto vicino, le critiche post primo turno sembravano essere state prese in seria considerazione, pur nei limiti di un carattere molto decisionista e poco incline ai suggerimenti. Ma si sa, a un soffio dalla vittoria – quella poi sfumata per 17mila voti appena – sono tutti assai più ragionevoli.
Oggi invece che le ceneri fumanti della sconfitta giacciono ancora calde, caldissime, sul campo di battaglia, sembra partito il gioco a chi scarica il barile più in fretta degli altri. Mentre Salvini accusa duramente Parisi di essersi smarcato troppo dai partiti e in particolare dalla Lega, pagandone un pesante debito in termini di voti. Forza Italia e Parisi rispondono che il miracolo compiuto, rastrellando voti nel bacino moderato, non sarebbe stato possibile se ci si fosse appoggiati troppo alla linea del Carroccio.
Del resto lo aveva detto lo stesso manager di Chili tv, a poche ore dalla sconfitta: abbiamo perso perché il centro sinistra ha agitato lo spauracchio degli estremismi e la gente si è spaventata. Certo è che, mentre la Leopoldina del centrodestra promossa dalla Lega a Parma è alle porte, le truppe della coalizione tentano di riorganizzarsi. Su Parisi come futuro leader moderato e presentabile, per ora, è partito un veto incrociato, com’era prevedibile, tanto da fargli fare un passo indietro nelle dichiarazioni circa la sua volontà di puntare a un progetto più grande, oltre ai banchi dell’opposizione a Palazzo Marino. A quel posto, infatti, ambisce da molto tempo il governatore della Liguria Giovanni Toti che ai giornali dice “Perché prendersi un 'papa straniero' per quel ruolo”, quando c’è disponibile uno come lui, pienamente dentro a Forza Italia, pronto a guidare una nuova coalizione? Qualcuno gli ha risposto in maniera secca: perché ci vogliono nuovi volti, e intelligenze rinnovate. Riciclare la vecchia classe politica a Milano, culla del berlusconismo, non sembra aver portato gran fortuna. E poi c’è la grande incognita: Paolo Romani chi con sta? E Mariastella Gelmini? E i giovani leoni delle preferenze Tatarella, Sardone e Comazzi? C’è da scommetterci che una posizione unitaria, su Toti o su Parisi, non c’è.
Dal canto suo il governatore della Lombardia Roberto Maroni, all’opposizione che gli chiede di dimettersi dopo i risultati di Milano e Varese, risponde con orgoglio di essere rimasto l’unico vero referente del potere istituzionale nel centro-destra perché “il sistema Lombardia” funziona. Ma di certo non è un monolite, questa Lega Nord. Anzi, i colonnelli si agitano e si rivoltano. C’è chi dice che Calderoli starebbe fremendo di rabbia nei confronti di Giorgetti, ritenuto artefice della sconfitta di Varese almeno tanto quanto Maroni. E che Maroni vorrebbe cogliere l’occasione per spazzare via Salvini, frenato però da una prestazione nel varesotto quantomeno dubbia. E che Salvini avrebbe pure lui probabilmente la tentazione del lanciafiamme in sezione di Renzi, se non fosse che effettivamente lo sbarco a sud è fallito e che a Nord dalla bergamasca, a Varese, a Milano, la campagna non è certo stata di successo. C’è addirittura chi racconta di come le piazze, nel sud Italia, all’arrivo di Salvini si riempissero. Lasciando però tremendamente vuote le urne, che poi sono l’unica cosa che conta. Quindi, in Lega c’è aria pesantissima, e in generale nel centrodestra.
Tanto che qualcuno giura che, nonostante le condizioni di salute precarie, il vecchio leone non abbia perso le sue unghie. A decidere sarebbe comunque, ancora una volta, Silvio Berlusconi che sembra sempre più orientato ad affidare fuori dai perimetri delle beghe interne, l’eredità della sua leadership. E il messaggio pare essere arrivato chiaro a chi di dovere.