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Milano
Mafia, i Laudani nei Lidl e tra i vigilantes del tribunale di Milano: LE CARTE
Operazione Security

Milano, le mani della mafia su supermercati e vigilantes del tribunale di Milano: 15 ordinanze di custodia cautelare, commissariate 4 sedi Lidl

 

Polizia di Stato e Guardia di Finanza hanno eseguito ieri 15 misure cautelari e due fermi tra la Lombardia e la Sicilia nell'ambito di una indagine contro le attività criminali della famiglia mafiosa catanese dei Laudani coordinata dalla Dda di Milano. In particolare, secondo quanto si è appreso, sono state poste in amministrazione giudiziaria quattro direzioni generali della società di grande distribuzione Lidl, cui afferiscono circa 200 punti vendita. Destinatarie delle misure sarebbero anche alcune società del consorzio che ha in appalto tra le proprie attivitò commerciali, anche la vigilanza privata del Tribunale di Milano. Si tratta di società che forniscono i vigilantes del Palagiustizia.

Nell'operazione sarebbero emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coinvolte e messe in amministrazione giudiziaria, e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia dei Laudani. Nel corso dell'operazione, il gip del tribunale di Milano, su richiesta della Dda, ha emesso 15 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di soggetti a vario titolo accusati di far parte di un'associazione per delinquere che ha favorito gli interessi, in particolare a Milano e provincia, della famiglia mafiosa catanese dei Laudani. Altri due fermi di indiziato di delitto sono stati eseguiti a Catania.



LEGGI LE CARTE CHE FANNO TREMARE MILANO

All'interno delle carte dell'inchiesta, oltre 300 pagine, sono citati anche esponenti politici: sindaci e consiglieri comunali di Milano. Secondo i magistrati "Elia Orazio e Palmieri Domenico, con il ruolo di associati, soggetti già facenti parte della pubblica amministrazione sanitaria e provinciale che, entrati in quiescienza, sfruttano, a pagamento, le proprie relazioni con esponenti del comune di Milano, di sindaci e assessori".

Nei guai è finita anche Giovanna Afrone, poiché "in concorso con persone non identificate, prometteva a Palmieri Domenico di affidare alle imprese di Micelotta appalti del comune di Milano a fronte dell'impegno di Palmieri (destinatario della remunerazione di € 1000 mensili da parte di Micelotta, Politi e Alecci) di farle ottenere un posto di lavoro presso il settore bilancio della Provincia di Milano nonché il trasferimento della cugina al settore informatico del Comune di Milano".

I nomi di politici citati nelle carte dell'inchiesta sono quelli di Graziano Musella e Franco D'Alfonso. Per entrambi non c'è alcun addebito né alcuna ipotesi di reato, né ovviamente sono indagati.

 

L'OPERAZIONE - I militari del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Varese e personale della Squadra mobile di Milano hanno eseguito ieri l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Milano, su richiesta della Dda nei confronti di 15 persone, accusate di far parte di un'associazione per delinquere che ha favorito gli interessi, in particolare a Milano e provincia, della famiglia mafiosa catanese dei 'Laudani' o 'Mussi i ficurinia'.

Commissariate le società di sorveglianza privata del Tribunale di Milano con i loro 600 lavoratori, assume la gestione della multinazionale tedesca della grande distribuzione Lidl in quattro delle dieci direzioni generali italiane da cui dipendono 214 supermercati e 4 centri logistici in 6 regioni.

GLI APPALTI - La presunta associazione per delinquere smantellata oggi dalla Dda di Milano avrebbe ottenuto "commesse e appalti di servizi in Sicilia" da Lidl Italia e Eurospin Italia attraverso "dazioni di denaro a esponenti della famiglia Laudani", clan mafioso "in grado di garantire il monopolio di tali commesse e la cogestione dei lavori in Sicilia". Gli arrestati, inoltre, avrebbero ottenuto lavori da Lidl Italia "in Piemonte" attraverso "dazioni corruttive". Lo si legge nell'ordinanza cautelare.

COSI' SI FACEVA GIRARE IL DENARO - Tra i provvedimenti adottati il "commissariamento di alcuni filiali della catena di supermercati Lidl, per cui e' stata accertata collusione di funzionari che erano a libro paga e si facevano corrompere". Tra le societa' coinvolte un consorzio che gestisce la sicurezza a Palazzo di Giustizia a Milano. Il passaggio di denaro e' stato spiegato dal sostituto procuratore Paolo Storari: "Qualcuno emetteva le fatture false, che venivano pagate. A questo punto i soldi venivano restituiti, naturalmente con una commissione perche' nessuno fa niente per niente. L'imprenditore si trovava allora con una liquidita' che in parte usava per i propri scopi personali, in parte teneva per alimentare il circolo di corruzione e traffico di influenze e in parte dava ai Laudani per i loro scopi". Le indagini hanno seguito proprio questo flusso di denaro "documentando viaggi verso Catania con i soldi" che poi servivano alla famiglia Laudani per le proprie attivita' come ad esempio il sostentamento dei carcerati. Va ricordato che i Laudani sono una "famiglia storica di Catania" e possono considerarsi il "braccio armato di Nitto Santapaola", ha sottolineato Boccassini. La fase investigativa e' dunque alle "battute finali" e "si procedera' con la richiesta di rito immediato".

IL GIP: "STABILE ASSERVIMENTO DEI DIRIGENTI LIDL COINVOLTI A FAVORE DELLE IMPRESE" - Secondo il gip di Milano, esisteva uno "stabile asservimento di dirigenti Lidl Italia srl, preposti all'assegnazione degli appalti, onde ottenere l'assegnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle regole della concorrenza con grave nocumento per il patrimonio delle societa' appaltante". E' quando si legge nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giulio Fanales nell'ambito dell'inchiesta che ha portato al commissariamento di 4 direzioni generali italiane della multinazionale tedesca per presunte infiltrazioni mafiose. Gli ambiti entro cui sarebbero maturati i contatti con esponenti delle cosche sono, spiega il gip, quelli "dell'organizzazione della logistica presso i magazzini ove e' custodita la merce di natura non alimentare, l'allestimento di nuovi supermercati, il rifacimento di negozi preesistenti, le manutenzioni periodiche o le riparazioni occorrenti in caso di guasti improvvisi e di altri eventi accidentali". Nel provvedimento viene chiarito anche come la mafia, attraverso "dipendenti a libro paga", sarebbe riuscita ad aprirsi un varco all'interno della multinazionale. "Il dipendente a libro paga - si legge nell'ordinanza - trascorso un certo tempo esce dalla Lidl Italia srl per essere assunto da una delle societa' facenti capo agli odierni indagati. Tale movimento da un lato allontana i sospetti dalla sua persona, dall'altro consente l'avvicinamento, proprio ad opera dell'ex dipendente, di un ulteriore dirigente, destinato a sostituirlo quale referente dei corruttori all'interno della Lidl". "Una volta bandita la gara - questo sarebbero stato il modo di operare degli indagati - il dirigente rivela agli indagati l'ammontare delle offerte avanzate dalle imprese concorrenti, si' da rendere loro possibile la presentazione di un'offerta leggermente inferiore, destinata a risultare vincente". In cambio, i "corruttori versano nelle mani del dirigente una somma in contanti, con cadenza periodica. L'importo di ogni dazione viene commisurato in percentuale sull'ammontare del fatturato, maturato nel periodo precedente, derivante dall'affidamento degli appalti ottenuti in virtu' dell'accordo corruttivo". Un sistema che avrebbe "azzerato la concorrenza nell'acquisizione di beni e servizi a favore delle imprese controllate dagli associati, con il conseguente grave danno patrimoniale in pregiudizio della societa'".

"ASSENZA DI EFFICACI MECCANISMI DI CONTROLLO" - "Con particolare riferimento alle articolazioni di Lidl Italia presenti nel nord, la precisa censura che il collegio ritiene di muovere alla societa' riguarda l'assenza di efficaci meccanismi di controllo interno". Lo scrivono i giudici della sezione di prevenzione del Tribunale di Milano, presieduti da Fabio Roia, nel provvedimento con cui commissariano le direzioni generali di Volpiano (Torino), Biandrate (Novara), Somaglia (Lodi) e Misterbianco (Catania) "limitatamente ai settori riconducibili alla ristrutturazione / rifacimenti, alla logistica e alla sicurezza" per un periodo di sei mesi. Dall'indagine svolta dai pm della Dda milanese Ilda Boccassini e Paolo Storari, e' emersa, sintetizzano i giudici nel loro decreto, l'esistenza di una presunta "associazione a delinquere aggravata dalla finalita' di agevolazione di sodalizio mafioso e di riciclaggio" che avrebbe mantenuto "contatti continuativi con dirigenti e organi apicali di Lidl Italia spa, finalizzati all'ottenimento di commesse nel settore dei lavori di ristrutturazione delle filiali, della logistica e della vigilanza".

UNA SOCIETA' SI ERA AGGIUDICATA ANCHE UN APPALTO A EXPO - Una delle societa', la SecurPolice si era aggiudicata un appalto anche per la sicurezza dell'Expo. Cio' che e' "mistificante" secondo il capo della Dda Milanese e' "ritenere che non sia un disvalore la promessa di vantaggi anche minimi, o di poche centinaia di euro". Dall'indagine della procura di Milano emerge infatti che le fatture false non ammontavano mai a cifre esorbitanti: "Se si fa una fattura falsa da 500mila euro salta all'occhio. Se invece sono tante piccole no. Ed e' in questo modo che agivano per evitare di incappare in controlli" ha spiegato poi il sostituto procuratore Paolo Storari che ha coordinato le indagini. Di corruzione "polverizzata" ha parlato Boccassini "che deriva da un abbassamento della soglia" di attenzione sul fenomeno. Secondo la numero uno della direzione distrettuale antimafia milanese "e' qualcosa di ancora piu' inquietante" per la capillarita'. C'erano poi dei facilitatori: "Ex pensionati che agivano nelle pubbliche amministrazioni e in passato appartenevano a sindacati. Erano loro che sapevano a chi rivolgersi" ha raccontato Boccassini e "venivano pagati anche mille o 2mila euro al mese per procurare questi contatti" ha spiegato Storari, in aggiunta. Il reato ipotizzato in questo caso e' quello di traffico di influenze".

DUE ARRESTI NEL CATANESE - Le due persone arrestate in Sicilia nell'ambito dell'inchiesta condotta a Milano sul clan catanese dei Laudani, sono Enrico Borzi' e Vincenzo Greco, indagati per associazione mafiosa. In corso, nel Catanese, perquisizioni e interrogatori. Notificato anche alla direzione generale della Lidl di Misterbianco uno dei quattro provvedimenti di commissariamento, limitatamente ai settori riconducibili alla ristrutturazione/rifacimenti, alla logistica e alla sicurezza, per un periodo di sei mesi.

GLI IMPRENDITORI REFERENTI AL NORD DEI LAUDANI - Tra gli indagati nell'ambito dell'indagine su presunte infiltrazioni mafiose condotta dalla Dda di Milano, "emergono le figure degli imprenditori Luigi Alecci, Giacomo Politi ed Emanuela Micelotta che gestiscono un consorzio di cooperative operative nel settore della logistica e che sono i referenti al nord della famiglia mafiosa dei Laudani, un clan radicato a Catania con una lunga tradizione di delitti di sangue". Lo scrivono i giudici della sezione di prevenzione del Tribunale di Milano. I tre "gestiscono di fatto un consorzio di societa' cooperative, formalmente amministrate da prestanome, che commettono una serie di reati di carattere tributario, tra cui l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, e che, dopo un breve periodo, sono messe in liquidazione". Ai Laudani "vengono corrisposte periodicamente somme di denaro finalizzate non solo al mantenimento delle famiglie dei boss detenuti, ma anche all'ottenimento di commesse in realta' imprenditoriali, come la Lidl" con la quale "i rapporti risultano in essere da diversi anni". Diverse le modalita' con cui si sviluppano i rapporti tra i componenti della presunta associazione e il personale direttivo della Lidl: "al nord tramite accordi corruttivi tra gli indagati e personale dirigenziale della Lidl", "mentre a sud le commesse vengono ottenute tramite l'interessamento della famiglia mafiosa dei Laudani, cui gli indagati corrispondono somme di denaro". Nessuna "buona fede" per i pm e per il Tribunale puo' essere invocata dai vertici di Lidl "che non solo percepiscono denaro per assegnare lavori in favore degli indagati (in particolare Piemonte e Lombardia) ma intrattengono, in via diretta o indiretta (questo allo stato non e' noto) rapporti con soggetti appartenenti alla famiglia mafiosa dei Laudani in grado di orientare le scelte di Lidl nella scelta degli appaltatori di servizi". Per i giudici ci sono quindi i presupposti per un commissariamento di sei mesi "in relazione al livello di infiltrazione allo stato accertato". Non e' la prima volta che il clan dei Laudani viene beccato con le mani nella grande distribuzione, come nell'operazione scattata oggi a Milano. Piu' di dieci anni fa un'inchiesta della procura distrettuale antimafia di Catania aveva inguaiato Sebastiano Scuto, il "re" dei supermercati Despar in Sicilia, fondatore di Aligrup, colosso della distribuzione alimentare con un oltre duemila dipendenti. E' ritenuto dai magistrati un prestanome dei Laudani tanto da essere condannato in primo e secondo grado, prima a quattro anni e otto mesi e poi a 12 anni. Nei suoi confronti recentemente la Cassazione ha annullato con rinvio il secondo grado e restituito solo in parte il suo patrimonio.

LA DIPENDENTE DEL COMUNE DI MILANO ARRESTATA - E' Giovanna Rosaria Maria Afrone la dipendente del Comune di Milano arrestata (ai domiciliari) con l'accusa di traffico d'influenze nell'ambito dell'inchiesta della Dda che ha portato anche al commissariamento di 4 direzioni di Lidl Italia. Nelle sue vesti di 'responsabile del Servizio gestione contratti trasversali con convenzioni centrali di committenza', Afrone si sarebbe messa "permanentemente" al servizio di alcuni componenti della presunta associazione a delinquere che avrebbe commesso vari reati tributari e tenuto rapporti con una cosca catanese. In particolare, Afrone, "in concorso con persone non identificate", avrebbe promesso a Domenico Palmieri (arrestato) "di affidare alle imprese di Micelotta (altro arrestato) appalti del comune di Milano a fronte dell'impegno di Palmieri di farle ottenere un posto di lavoro presso il settore bilancio della Provincia di Milano nonche' il trasferimento della cugina" al Comune di Milano. La dipendente comunale avrebbe garantito alle imprese riconducibili agli indagati "l'assegnazione di plurimi appalti, per contratti di servizio di durata temporanea, da parte del Comune di Milano, ciascuno per un importo complessivo compreso entro euro 40.000, sempre tramite procedure di affidamento diretto". Tra gli impegni da lei assunti anche quello di garantire "un appalto per la pulizia di tutte le scuole gestite dal Comune di Milano", sempre sotto la soglia dei 40mila euro (entro la quale non si deve procedere a una gara). "Il pubblico ufficiale - questa l'immagina utilizzata dal gip - sembra condurre per mano i suoi corruttori, nei meandri degli appalti pubblici e delle complicate regole che li governano". E' grazie a personaggi come Giovanna Rosaria Maria Afrone, responsabile del servizio gestione contratti trasversali con convenzioni centrali di committenza del Comune di Milano, che i siciliani sarebbero riusciti a "penetrare" negli appalti pubblici lombardi. A "facilitare" gli appalti ci sarebbero stati ex dipendenti pubblici, come Orazio Elia, che aveva lavorato nel settore ospedaliero, e Domenico Palmieri, ex dipendente della Provincia di Milano, e tuttora sindacalista con delega al rapporto con le istituzioni. Elia sarebbe stato "stipendiato" mensilmente dal sodalizio criminale.

"SOLDI AI CLAN PER GESTIRE LA VIGILANZA" -  Alessandro Fazio, "gestore di numerose societa' e titolare anche di appalti pubblici, tra cui il servizio di vigilanza presso il Tribunale di Milano" risulta dalle indagini "in costanti rapporti con esponenti della famiglia mafiosa dei Laudani". Lo scrivono i giudici del Tribunale di Milano sezione misure di prevenzione nel provvedimento con cui commissariano in parte Lidl Italia. Il giudici spiegano che "da tempo, Fazio corrisponde denaro" a persone vicine al clan "riuscendo a ottenere commesse nel settore della vigilanza da parte di importanti societa' (tra cui Lidl) presenti anche in Sicilia". Alessandro Fazio e il fratello vengono considerati dai pm tra i 'capi' della presunta associazione a delinquere vicina alla mafia. Riguardo alla sua attivita' di gestore di fatto della Securpolice Servizi Fiduciari, la societa' che si occupa della vigilanza privata del Palazzo, Alessandro Fazio viene accusato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, quale amministratore con l'aggravante della finalita' di agevolare attivita' delle organizzazioni di tipo mafioso.

BOCCASSINI: "TUTELARE I 600 DIPENDENTI: SOCIETA' COMMISSARIATA" - "Quello che oggi va tutelato sono i 600 dipendenti delle societa' che devono continuare a lavorare nonostante i loro datori di lavoro siano stati arrestati". Cosi' il procuratore aggiunto Ilda Boccassini commentando l'operazione Security, che ha coinvolto diverse aziende tra cui la "Securpolice Group scarl" di Cinisello Balsamo che opera nel settore della sicurezza e della vigilanza, e che gestiva anche le guardie giurate del Palazzo di Giustizia di Milano. La societa' sara' commissariata per un anno se il gip convalidera' il decreto. Almeno due milioni e mezzo di euro l'ammontare dei patrimoni derivanti da reati fiscali che i magistrati di Milano sono riusciti a sequestrare preventivamente e d'urgenza in questa fase.

L'AGENZIA DI SICUREZZA ED I LEGAMI CON I LAUDANI - La "Securpolice Group scarl" di Cinisello Balsamo, che fornisce servizi a strutture pubbliche e private, in particolare presso catene di supermercati su tutto il territorio nazionale, e' gestita - secondo quanto emerge dalle carte della Dda - da Alessandro e Nicola Fazio, siciliani d'origine "ma qui da una vita e naturalmente puliti altrimenti non avrebbero potuto partecipare alle gare" ha sottolineato Boccassini. Proprio i due fratelli erano collegati a Orazio Salvatore Di Mauro, organico dei Laudani, che se ne era servito per "infiltrarsi nel tessuto economico lombardo". I Fazio erano sollecitati da Luigi Alecci, considerato "la figura di riferimento del sodalizio, in grado di gestire e mediare i rapporti tra gli imprenditori" e "concorrevano ad inviare, per il tramite dell'affiliato Enrico Borzi', somme di denaro contante in Sicilia destinate al sostentamento economico delle famiglie dei detenuti appartenenti alla famiglia mafiosa Laudani". In Lombardia i referenti erano anche Giacomo Politi ed Emanuele Micelotta".

RICEVUTE PER ATTESTARE I VERSAMENTI... ALLE COSCHE - Una ricevuta per attestare i versamenti alle cosche. Se ne parla nell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato a 15 arresti su richiesta della Dda di Milano. "Ai familiari dei detenuti - scrive il gip Giulio Fanales - che ricevevano aiuti economici dal clan mafioso Laudani veniva richiesto dal "cassiere" della cosca di sottoscrivere "una ricevuta". Parte dei "versamenti alla cosca mafiosa" da parte degli arrestati, che facevano affari al nord, finiva alle famiglie dei detenuti del clan. Il denaro, si legge nel provvedimento, "viene da un indagato portato in Sicilia e da costui consegnato nelle mani del cassiere del clan, Borzi' Enrico". Il cassiere "tiene un apposito registro, in cui vengono indicati i riferimenti dei versamenti in ingresso (nominativi, date e importi relativi alle somme introitate) ed i riferimenti dei pagamenti in uscita (nominativi, date e importi relativi alle somme corrisposte)". Al familiare del detenuto, "beneficiario del versamento, il cassiere richiede la sottoscrizione di una ricevuta".

SOLDI A UN CONSIGLIERE DI CINISELLO PER COSTRUIRE UN PARCO - Denaro e voti in cambio della modifica dei vincoli urbanistici necessari per la costruzione di un campo da tennis e di un parco giochi. C'e' anche questo episodio che vede protagonista Angelo Antonio Di Lauro, consigliere comunale del comune di Cinisello Balsamo, indagato per traffico d'influenze. Tre degli arrestati nell'inchiesta della Dda di Milano sulle presunte infiltrazioni al nord del clan mafioso dei Laudani gli avrebbero promesso "somme di denaro allo stato non determinate nonche' voti in occasione delle prossime elezioni amministrative quale prezzo della mediazione illecita di Di Lauro verso un assessore al comune di Cinisello (allo stato non meglio identificato)". Cio' perche' quest'ultimo "contribuisse a modificare i vincoli urbanistici esistenti su una villa di rilevanza storica" nel Comune perche' poi potessero "costruire su quest'area campi da tennis" e un "parco giochi".

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