Milano

Mantovani (Fdi): “Basta con un'Europa che ci paga per non produrre"

di Eleonora Bufoli

Mario Mantovani, in corsa con Fdi per il Nord-Ovest: “L’Europa è da riformulare nel suo complesso. Salis? Prima si sistemano le proprie questioni." L'intervista

Mantovani (Fdi): “Basta con l'Europa che ci paga per non produrre"

“L’Europa è da riformulare nel suo complesso. È diventato un ente burocratico più che politico. Il fatto stesso che il Parlamento non abbia iniziativa legislativa è una delle falle più profonde che si presentano a un popolo chiamato al voto”. Mario Mantovani è già stato eurodeputato due volte, eletto prima nel 1999 con Forza Italia poi alle elezioni del 2004. È stato sindaco di Arconate, senatore e vicepresidente lombardo, ora è in corsa per tornare a Bruxelles e rappresentare con Fratelli d’Italia il Nord-Ovest. L’intervista ad Affaritaliani.it Milano.

Manca un mese alle elezioni europee. Cosa vorrebbe portare a Bruxelles se eletto?

In Europa vogliamo difendere i diritti dell’Italia e degli italiani. In particolare, della nostra agricoltura su cui mi impegnerò, visto che ci pagano per non produrre e non seminare. Sono modalità che non possono più entrare in un progetto di Europa vera, rispettosa dei diritti di ogni Paese.

Certamente mi impegnerò anche sul tema dei diritti civili. Sono stato promotore nel 2003 della legge sulla disabilità e chiesi ai 27 Paesi di fare qualcosa di forte, vero, sentito, che rimanesse nella storia delle persone che hanno una disabilità. All’Italia chiesi l’approvazione di una legge che era depositata da circa 20 anni alla Camera dei Deputati, era la legge sull’amministratore di sostegno. Lo ottenni in qualche mese. Questo fu uno degli obiettivi di carattere umano e sociale, nel rispetto della dignità delle persone, più importanti: si ridusse così ai minimi termini l’interdizione e l’inabilitazione che purtroppo erano gli strumenti che i tribunali usavano e facevano perdere qualsiasi diritto civile e sociale alle persone con disabilità. Fu introdotta questa figura a sostegno delle persone, anche temporaneamente, mentre l’interdizione era perpetua. L’amministratore di sostegno è una forma temporanea di bisogno che può essere messo a disposizione di chi ne ha necessità, nominandoli personalmente. È stata una delle rivoluzioni dei diritti civili italiani. Nel 2006 fu inserita anche nelle convezioni internazionali.

In Europa, seguirò anche il Piano Mattei di Giorgia Meloni. Sono già stato vicepresidente dell’associazione Africa Caraibi Pacifico. Avendo fatto 9 anni in Europa, mi piacerebbe dare una mano perché sul tema dell’Africa c’è un percorso da costruire e Meloni lo ha già intuito.

Sulla migrazione, l’Europa sta cercando di dare delle risposte comuni con l’ultimo Patto votato dal Parlamento. È soddisfatto?

Abbiamo ancora molto da fare. Bisogna intervenire sugli accordi di Dublino, come ha chiesto anche il Presidente della Repubblica.

Giorgia Meloni sembra esserci avvicinata alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Come valuta la sua presidenza?

Ha tenuto troppo conto delle forze che l’avevano sostenuta. Noi la pensiamo diversamente, abbiamo valori che si differenziano in molti casi.

La presidente del Consiglio è in corsa da capolista alle europee di giugno: è l’unica premier tra i Paesi europei a correre. Anche altri leader dei partiti italiani si sono candidati pur non andando poi a Bruxelles in caso di elezione. Cosa ne pensa?

Credo che tutti avrebbero dovuto mettesi in gioco. Così, con il voto di preferenza, si esercita pienamente il diritto costituzionale dell’articolo 1: il popolo è sovrano. In più credo che se avesse corso anche Matteo Salvini e Giuseppe Conte, sarebbe stata una competizione più completa. Il voto alle europee è anche quasi un congresso dei partiti. È una competizione democratica che misura la qualità e quantità di fiducia che il popolo riserva o meno a chi governa e a chi è all’opposizione.

L’unico leader che sembra voler andare a Bruxelles in caso di elezione è Matteo Renzi che ha accusato gli altri leader di “truffare gli elettori”.

Rispondo che come giustamente ha detto Giorgia Meloni questo è un sondaggio sul gradimento del governo in Italia sia per chi governa che per chi fa opposizione.

Ha detto che alle europee “i partiti candidano chi vogliono ma nani e ballerine, generali e detenute, non aiuteranno l’Itali a contare di più in Europa”. Un riferimento a Ilaria Salis e Roberto Vannacci?

Su Ilaria Salis, ricordo che sono stato inquisito per 8 anni, giudicato, condannato e alla fine assolto. Per 8 anni pur essendo stato chiamato dal presidente Berlusconi e da qualche altro partito ho preferito non candidarmi perché ho ritenuto che non fosse opportuno in un momento di coinvolgimento in fatti di giustizia. A maggior ragione lo dico di chi è in carcere. È una modalità fuori da ogni contesto di valore politico. Prima si sistemano le proprie questioni. Sul generale Vannacci, stavo presentando il libro “20 anni di civiltà”, stavo parlando dell’amministratore di sostegno e mi è venuto naturale dire che non condividevo assolutamente le frasi sui disabili del generale Vannacci.

Qual è la posta in gioco dell’8 e 9 giugno dunque?

Bisogna cambiare il modo di stare in Europa e di essere Europa. Sono stato già 9 anni al Parlamento europeo e ogni voto che veniva sottoposto al Parlamento da parte della Commissione era un voto di consociazione. Il Partito popolare doveva intendersi con i socialisti. Nella scelta di un’istituzione del genere non si può sempre andare d’accordo tra chi vede azzurro e chi vede rosso. Meglio sarebbe come sta accadendo in Italia con il governo di centrodestra e la vittoria di Giorgia Meloni che al suo interno trova le intese. Sarebbe molto più complesso se le dovesse trovare all’esterno, con la sinistra che la pensa all’opposto dai nostri valori. Per questo Meloni evidenzia: “Abbiamo cambiato l’Italia, adesso cambiamo l’Europa”.







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