Milano

“Maroni non si ricandida”. E se il rumor (smentito) fosse suo?

Perché Maroni ha dovuto precisare di volersi ricandidare a Milano (anche se nessuno glielo aveva chiesto)

di MaTS

“Nel 2013 ho preso la decisione di chiudere la mia esperienza romana e non intendo tornare indietro". Un taglio netto con la capitale, quello annunciato dal governatore Roberto Maroni in un'intervista uscita ieri sui settimanali del gruppo Netweek. Ma perché l’esigenza di chiarire questo punto? Il ragionamento è complesso ma vale la pena di seguirlo per capire.

Chi abita in Lombardia non aveva alcun dubbio che nei panni di presidente della Regione, Maroni si trovasse pienamente a suo agio. Da dove quindi è partita la voce? Nessuno può negare che con il capo del motore economico italiano, quanto a potere, nessun parlamentare possa competere: forse può farlo solo un ministro. E Maroni lo sa bene, come ricorda nella stessa intervista: “Sono stato eletto deputato nel 1992, ho fatto per due volte il ministro dell'Interno e per una il ministro del Lavoro e il vice presidente del Consiglio”. Acqua passata, ribadisce: “Voglio lavorare solo per la mia Regione", garantisce, smentendo indirettamente, almeno per il momento, di ambire a ricoprire incarichi in un eventuale governo di centrodestra.

Ed è proprio qui si apre la questione in vista delle elezioni politiche: che Maroni sia il leghista pontiere che tiene insieme la coalizione di centrodestra - lo fa già in Lombardia aggregando Lega, Lombardia Popolare e berlusconiani - non c’è dubbio. L’esperimento per la presidenza della Regione, si può infatti ripetere, precisa sempre nello stesso dialogo, solo se è “sostenuto da una coalizione che, nella sostanza, ricalchi quella del 2013”. "Allora c'era il PdL, adesso ci sono Forza Italia e Lombardia Popolare”. Visto che la squadra ha dato buona prova di se', salvo stravolgimenti politici nazionali, Maroni si dice “disponibile a riconfermare tutti”, in pieno spirito pacifista ed ecumenico, “compresa la collaborazione di Energie per l'Italia di Stefano Parisi".

Quanto servirebbe a Roma una figura come quella di Maroni? Molto. In un centrodestra tenuto insieme con lo scotch e con l’effige di Silvio Berlusconi, ma deciso a vincere, sarebbe meglio che la Lega fosse rappresentata dal pragmatico Bobo, piuttosto che dal focoso Matteo Salvini. Prima donna difficile da collocare. Se tutto va come deve andare, ovvero nella rosea ipotesi che il centrodestra si affermi e riesca a comporre un governo, uno scranno da ministro in un esecutivo a matrice azzurra per Maroni sarebbe quasi certo.

Da qui l’esigenza di smarcarsi. Il messaggio mandato da Milano (anzi da Varese) a Salvini è in sostanza: “Mettetevi d’accordo il prima possibile o sono disponibile a sparigliare io le carte”. Si potrebbe azzardare a pensare che a mettere in giro la voce di una possibile non ricandidatura a Palazzo Lombardia per lasciare il posto a - un nome a caso, ma non troppo - Maria Stella Gelmini potrebbero essere stati proprio ambienti maroniani di ferro. La classica strategia di “parlare a nuora perché suocera intenda”, in modo da dimostrare che se si cambiano i pesi sulla bilancia di Milano, il valore della merce si stravolge anche nella capitale. Soprattutto se a vincere sarà l’ipotesi dell’election day: a quel punto il gioco delle tre carte sarebbe perfetto, sfruttando l’effetto traino del voto unificato. A questo va aggiunto un rapporto non sempre idilliaco con il gruppo regionale della Lega a Palazzo Pirelli, cui il governatore vuole mandare un ordine a serrare i ranghi.







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