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Milano
Migranti, il buonismo di Milano vs il realismo di Torino. Dossier-dati
Beppe Sala e Chiara Appendino

di Eleonora Aragona

Milano e Torino, la prima che aspira alla velocità e al glamour, una Silicon Valley all’italiana con il luccichio delle passerelle di moda; l’altra ama la sua lentezza di provincia, i suoi caffè salotto e il suo lato snob. Le due città hanno però qualcosa che le accomuna: entrambe da sempre si confrontano con l’accoglienza e l’integrazione dei migranti.

Ognuna delle due lo fa a suo modo, in rapporto alle sue possibilità e dimensioni. Milano possiede numerosi primati. In primis, sono stati 440mila migranti che hanno richiesto o rinnovato il permesso di soggiorno a Milano. Si è trattato del 12% circa degli immigrati con regolare permesso di soggiorno in Italia. Per avere un’idea del fenomeno si pensi che Roma, al primo gennaio 2017, ha registrato 346mila richieste. Torino invece si è attestata ad oltre 118 mila permessi (3,2% sul totale italiano). A Milano su 100 persone residenti poco meno di 12 provengono da un Paese al di fuori dell’Unione Europea. Nella città piemontese invece sono circa 5 su 100.

Questi numeri nei rapporti sull’accoglienza a Milano e Torino che potrebbero lasciar credere che le due città abbiano una comune strategia di integrazione dei migranti. In realtà quei dati mostrano solo un volto del tema, l’altro, più profondo, lo si legge tra le righe nella premessa del rapporto dell’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, in alcuni passaggi del report annuale sull’integrazione nelle città metropolitane e anche nelle dichiarazioni di assessori e prefetti.

Si tratta di due città che non differiscono solo per le dimensioni del fenomeno migratorio, ma anche per approccio umano verso questo tema. O meglio Torino si trova ad essere supportata dal governo regionale, mentre Milano da anni deve fare i conti con la contraddizione tra giunta cittadina e amministrazione regionale.

Nei rapporti sull’integrazione nella città metropolitana di Torino il testo si preoccupa di processi di stabilizzazione delle comunità storicamente radicate e degli strumenti cognitivi e conoscitivi utili a capire i mutamenti in atto per farvi fronte nel miglior modo. Anche le interviste rilasciate dai responsabili del tema sia a livello politico sia giuridico sembrano mostrare una diversa propensione verso i migranti e il modo di presentare la questione flussi. Ad esempio l’assessore regionale del Piemonte Monica Cerutti ha dichiarato: "Il tema sicurezza è separato dal tema immigrazione. La Regione farà la sua parte nei percorsi di inclusione e per il superamento di questa situazione". "Non possiamo guardare sempre tutto in termini di emergenza”, queste le parole pronunciate sul tema dal prefetto di Torino Renato Saccone.

Emergenza, invasione, problema e dati inquietanti. Questi i termini usati nell’introduzione del Sedicesimo rapporto dell’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità della regione Lombardia. Non si punta insomma sul capire come far coesistere migranti e italiani, come dare ad entrambi le chiavi di lettura per vivere e lavorare insieme.

Nel milanese le voci sono diverse e contraddittorie. Da un lato c’è l’amministrazione Sala che pur affermando di volersi opporre con i fatti al modello Salvini sembra perdersi tra banchetti di solidarietà simbolica e progetti di volontariato. Dall’altro ci sono gli assessori regionali che associano di continuo il crimine ai migranti e sostengono che l’emergenza sia ormai strutturale. La città è così divisa tra le due anime: quella buonista e quella razzista. La politica anti leghista di Sala però non costituisce una vera alternativa al modello del ministro dell’Interno.

Più di ogni altra cosa però a marcare la differenza è stato il tentativo di Torino di opporsi alla politica nazionale in tema di permessi di soggiorno. Nella città piemontese infatti nel luglio dello scorso anno il prefetto ha rilasciato una trentina permessi di soggiorno speciali per migranti distintisi per gli sforzi di integrazione compiuti nel periodo di valutazione della richiesta d’asilo. Tentativo imitato anche da Milano, ma poi naufragato e ostacolato dalla volontà dell’amministrazione centrale dello Stato. La prova di forza giunta da Torino ha mostrato però come siano i cittadini, il tessuto produttivo della città a chiedere che i migranti impegnati siano una risorsa. Milano in questo caso si è solo accodata e ha tentato di utilizzare quanto conquistato da Torino.

Milano ha il più alto tasso di occupazione tra i migranti, nel 2017 si è aggirato intorno al 67,5% contro una media nazionale del 57,8%, e può anche vantare uno dei più bassi tasso di disoccupazione (10,1% contro il 16% nazionale). Nonostante ciò la città soffre tensioni sociali più profonde, la sua accoglienza è divisa tra quella spinta e documentata delle istituzioni comunali e la parte più ostile e inospitale che trova sponda nelle iniziative regionali. È questo elemento che vede la città dei primati italiani arrancare rispetto a questo tema e rende difficile leggere come accogliente la città meneghina.

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