Milano

Milano, Ambrosoli punta alla presidenza BPM. Conflitti di interesse? Si apre il caso

E' una di quelle vicende che riguardano il cuore del potere di Milano e della Lombardia

di Paola Bacchiddu e Fabio Massa

La notizia è uscita un po' in sordina, nella disattenzione generale delle ferie agostane, ma il 6 agosto scorso la Gazzetta di Mantova pubblica il nuovo board della Banca Popolare di Mantova. Invece è una di quelle vicende che riguardano il cuore del potere di Milano e della Lombardia. Dopo le dimissioni del presidente Carlo Zanetti e del vice Michele Colaninno, Il consiglio di amministrazione ha nominato come nuovo presidente l'attuale consigliere in regione Lombardia (e coordinatore del centrosinistra in consiglio) Umberto Ambrosoli, che questo inverno, in piena campagna elettorale, era stato anche presidente del comitato elettorale dell'attuale sindaco di Milano Giuseppe Sala.

Ma il suo nome è attualmente anche uno tra i più quotati per l'incarico di presidente dell'intera nuova Banca Popolare di Milano (al posto dell'economista Nicola Rossi, eletto la scorsa primavera) nell'ottica della trasformazione degli istituti di credito in spa, come impone la riforma delle popolari varata dal governo Renzi, con la fusione di Banco Popolare e Bpm in “Banco Bpm”, prevista per il prossimo ottobre. Un tesoretto di 2.500 sportelli e 113 miliardi di crediti che ne faranno la terza banca d'Italia.

Ma l'annosa quaestio della compromissione tra banche e potere politico – che ha generato numerose inchieste penali nel nostro paese –  genera comunque degli interrogativi. Il punto è lo scioglimento del conflitto di interessi che renderebbe problematico conservare l'incarico di consigliere regionale in Lombardia e quello di presidente di un istituto di credito. A tal proposito, Ambrosoli si è espresso in maniera non definitiva, dichiarando ai microfoni dei tg regionali che penserà più avanti se proseguire comunque il suo mandato politico oppure chiudere anticipatamente la propria esperienza legislativa. 

Ma quali sono i rapporti tra Regione e Bpm? E perché la convivenza tra ruolo politico e carica presidenziale creerebbe più di un imbarazzo? A scorrere le convergenze tra regione Lombardia e Bpm, di motivazioni ce ne sono più d’una. L’ultimo caso riguarda una dichiarazione dell'attuale governatore Roberto Maroni. In vista della riforma Renzi, nel marzo 2015 spiega alle agenzie di stampa che “la Regione Lombardia è disponibile a entrare nel capitale delle banche popolari lombarde con l'obiettivo di preservare i legami con il territorio e salvaguardare l'occupazione, messa in discussione dal recente decreto che prevede la trasformazione in spa degli istituti con asset per più di 8 miliardi”. (Fonte Reuters)
La proposta viene formalizzata dal suo consigliere regionale (lista Maroni) Antonio Saggese che ipotizza varie modalità: il riconoscimento di una golden share, che il governo digerirebbe a fatica, o l'acquisto di un pacchetto azionario con altri soci della banca (riuniti in associazioni di imprenditori, pensionati, artigiani), per una quota tra il 2 e il 5 per cento: una forchetta tra 260 milioni di euro e 1 miliardo, come spiega a Formiche.net.
Non solo. Il tentativo della Regione di controllare l'attività del nuovo istituto di credito è tale che Saggese si fa promotore di una mozione votata in assemblea regionale il 6 maggio del 2015, in cui la giunta solleva l'illegittimità della legge voluta da Renzi presso la Consulta. Al di là delle tecnicalità, il punto è politico: il timore, per Maroni, è che la fusione voluta da Renzi comprometta posti di lavoro e riduca il munero degli sportelli sul territorio locale del nuovo Banco Bpm.

A proposito di BPM e consiglio regionale, è interessante vedere chi vota la mozione. Assolutamente contrario è il centro sinistra a trazione democratica. Il Patto Civico di Ambrosoli vota contro. A votare a favore sono la Lista Maroni, Lega Nord, Nuovo Centro-destra, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Pensionati e Movimento Cinque Stelle. La domanda è d’obbligo: che cosa succederebbe, stante il nuovo ruolo di Ambrosoli, se ci fosse una nuova votazione su questi o altri temi di natura bancaria in consiglio regionale? Uscirebbe dall’aula? Del resto, la questione del credito e delle banche attiene proprio al cuore pulsante del potere e del salotto buono. E non è un un mistero che la longa manus della politica (anche nazionale) si allunga sul controllo della fusione, con un interprete d'eccezione: quel Lorenzo Guerini, attuale deputato assai vicino al premier, già sindaco di Lodi, dove il Banco Popolare ha uno dei suoi territori di radicamento.

E ancora, altri esempi di intrecci tra Regione e Bpm: a finanziare i conti sempre in rosso della Brebemi (società nel cui azionariato siede la Regione Lombardia, tra gli altri, dopo l'abolizione della Provincia di Milano) è un pool di banche nelle quali compare sempre la Bpm, per un totale di 185 milioni di credito solo nel 2013.

E chi finanzia, nel 2011, il "Fondo Abitare Sociale 1", della Regione Lombardia, sotto la precedente giunta Formigoni, per un totale di 400 milioni di euro investiti in alloggi a canone contenuto, nel settore housing sociale? Sempre la Regione con un pool di banche, tra cui la Bpm. La banca interviene anche, tra i tanti esempi, con un plafond per cofinanziare con la Regione un piano destinato allo sviluppo di imprese locali, con sede operativa in Lombardia. 

Esempi virtuosi, questi. Ma il matrimonio tra potere politico e banche, a volte finisce con gli stracci che volano e gli avvisi di garanzia pure.
Nel febbraio del 2013, nell'inchiesta milanese su Bmp - che travolge i vertici della banca, tra cui l'ex presidente Ponzellini - viene arrestato l'ex consigliere regionale Onofrio Amoruso Battista (prima in Fi e poi in vari cartelli politici, politico e probiviro nel gruppo Bpm, oltre che consigliere dell'allora controllata Cassa di Risparmio di Alessandria e di Banca Akros.). L'accusa dei pm è di essere “destinatario di pagamenti effettuati da Bpm o da soggetti che hanno ricevuto finanziamenti dalla banca in relazione ad affari per i quali non risulta aver svolto alcuna effettiva attività professionale”, peraltro legati alla criminalità organizzata. Tra i soggetti pagati vi era anche un altro politico di rilievo, Domenico Zambetti, ex assessore della giunta Formigoni, finito poi in carcere per voto di scambio con la ‘ndrangheta. 

Tornando ad Ambrosoli, l’attuale doppio incarico (Mantova e Regione) e la possibile ascesa alla presidenza della BPM, trova il proprio brodo di coltura in un ambiente che per Umberto Ambrosoli è anche il suo inner circe. Il cerchio ristretto che lo sostenne durante la candidatura a governatore della Regione Lombardia, nelle scorse votazioni del 2013. Su Linkiesta, Alessandro Da Rold ricorda infatti come, tra gli uomini più vicini all'attuale consigliere, vi fosse l'ex presidente di Bpm Roberto Mazzotta (già parlamentare democristiano), molto vicino a Bruno Tabacci, parlamentare, ex assessore comunale ed ex presidente della Regione Lombardia, che deve la sua fortuna politica all'iniziale attività sul territorio del mantovano, dove pesa – con tutto il suo potere finanziario - la Banca Popolare di Mantova, di cui è appena divenuto presidente proprio Umberto Ambrosoli. Coincidenze. O forse no.

Considerato lo scenario illustrato, oggi più d’uno, malgrado la sottovalutazione dei media, si chiede se sia opportuno mantenere il doppio incarico in Regione e alla presidenza della Banca Popolare di Mantova (e chissà, magari nel nuovo Banco Bpm), per Ambrosoli, anche in considerazione del suo profilo personale e pubblico, figlio di un illustre servitore dello stato come Giorgio, ex liquidatore della banca privata italiania del banchiere siciliano Sindona. Vicenda per cui dovette rimetterci la vita, assassinato nel luglio del 1979 da un sicario ingaggiato dal Sindona stesso.
Data l'incertezza a sciogliere nel merito il quesito, Affari ha contattato Umberto Ambrosoli che ha rifiutato di rilasciare qualunque dichiarazione adducendo come motivazione che tutta questa vicenda è ascrivibile a questione professionale (e dunque non politica), di fatto non rispondendo nel merito o comunque non affrontando la questione del possibile conflitto di interessi. Ma è possibile che risponda nel dibattito pubblico del primo settembre alla festa dell’Unità, quando alle 18.30, insieme a Gherardo Colombo, David Gentili, Franco Mirabelli, Mario Vanni dovrà parlare di “Milano e i suoi modelli di legalità: istituzioni, imprese, cultura”. E, perché no, anche banche.







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