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Milano
Milano città di spie e consoli. James Bond alberga sotto la Madonnina

di Ugo Poletti
 

Dal 2015 ad oggi i consolati stranieri a Milano sono aumentati da 105 a 115. Tra questi più di metà sono Consolati Generali (con personale fisso e un rango diplomatico pieno). Gli altri sono in maggioranza consoli onorari, cioè cittadini italiani di Milano, che rappresentano il Paese straniero quando serve. Di solito un incarico non retribuito in cambio di un ruolo prestigioso e di qualche privilegio diplomatico. Milano si conferma la città che ha più consolati al mondo dopo New York. Se consideriamo anche l’ufficio di Rappresentanza della UE, i centri culturali di altri Paesi e le camere di commercio straniere, ci troviamo di fronte ad una presenza diplomatica molto ricca.

Questo è un indicatore significativo dell’importanza che i Paesi del mondo danno alla città ambrosiana. Infatti, aprire un consolato è sia un costo che un impegno politico. Avere un’ambasciata in ogni capitale del mondo è un obbligo e un lavoro normale per i ministeri degli esteri, mentre un governo che sceglie di avere una presenza diplomatica in una città, che non è una capitale, deve avere delle buone ragioni: la presenza di molti connazionali (gli stranieri a Milano sono saliti al 20% e rappresentano più di 150 nazioni), interessi economici rilevanti e l’importanza geopolitica di Milano nel panorama internazionale. Talvolta, essere console di una città importante è perfino meglio del ruolo d’ambasciatore. Per esempio, quando la Germania era divisa in due, essere Console Generale a Berlino era certamente più interessante e prestigioso che fare l’ambasciatore a Bonn. Come era più divertente, fino a pochi anni fa, essere console generale ad Hong Kong che ambasciatore a Pechino. Oggi possiamo scommettere che è preferibile dirigere un consolato a Milano che a Francoforte, o un’ambasciata a Bratislava e in Lussemburgo.

Ma come mai questo interesse straniero per Milano? Certamente l’Expo 2015 ha contribuito, mostrando a molti Paesi africani, asiatici e sudamericani che Milano è una piattaforma ideale per affacciarsi al mondo. Una città cosmopolita, ma non troppo grande per rischiare di essere fagocitati. Inoltre, Milano è diventata un crocevia di investimenti internazionali (vedi articolo sui grandi investitori) e la piazza di grandi operazioni di Borsa. Il fatto di non essere una capitale politica può essere un vantaggio. Non solo per la business diplomacy, ma anche per altre operazioni poco confessabili (per esempio spionaggio). Riguardo a queste ultime ci sono alcuni episodi poco conosciuti, ma molto interessanti, della storia di Milano.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale era ancora nel Nord Italia l’armata polacca anticomunista, che aveva combattuto a fianco degli alleati. Il suo comandante Władysław Anders, nei giorni confusi dopo il referendum monarchia-repubblica del maggio 1946, aveva addirittura offerto a Re Umberto II l’aiuto delle sua armata ancora in assetto di guerra (il Re rifiutò). Le truppe vennero smobilitate, ma a Milano ebbe sede per tanti anni l’ufficio del Governo polacco in esilio per l’assistenza ai veterani di Anders e il loro trasferimento verso altri Paesi, giacché molti rifiutarono di tornare in una patria sotto la sfera sovietica. Ovviamente, era più opportuno tenere queste attività lontane da Roma, dove potevano infastidire l’Ambasciata dell’URSS.

Sempre legato alla Russia sovietica c’è il curioso episodio del Jolly Hotel di Milano. Nella prima metà degli anni ’50 fu diretto da Guido Leto, che, dopo aver lavorato nei servizi segreti a fianco del loro storico capo Federico Umberto Amato, venne nominato direttore della catena di alberghi dal suo proprietario conte Marzotto. Al Jolly Hotel in Largo Augusto erano abituati a soggiornare balletti russi in tournée alla Scala. Molte fughe di artisti dell’Unione Sovietica furono organizzate proprio in quelle stanze d’albergo.

Un vero mistero è la presenza a Milano del leader rivoluzionario del Vietnam Ho Chi Minh. Nel gennaio del 1933, dopo essere stato scarcerato dalla polizia britannica di Hong Kong, riprese le sue missioni politiche in giro per il mondo e visse per diversi mesi a Milano, in una casa di ringhiera tra viale Pasubio e via Maroncelli. Lavorò come cuoco alla famosa Osteria della Pesa, dove ancora oggi c’è una targa commemorativa (e un suo ritratto dentro il ristorante). Si sa che il leader vietnamita aveva fatto il panettiere a New York nel 1912 e il pasticciere a Londra nel 1915. Ma cosa ci faceva veramente a Milano nel 1933, ormai nel pieno della sua attività politica? Con quali esponenti dell’internazionale comunista era in contatto?

Infine, una curiosità di storia dello spionaggio. Quando nacque il servizio segreto inglese, prima della Grande Guerra, la sua rete internazionale di spie si basava sui consolati britannici nei diversi Paesi (per non violare il dogma della neutralità delle ambasciate). In particolare, le spie al servizio di Sua Maestà erano dipendenti dell’ufficio passaporti. Questo precedente storico fa pensare che alcuni consolati a Milano potrebbero ospitare qualche addetto ai servizi segreti del proprio Paese (magari USA, Russia, Cina, Francia). Del resto non esiste solo lo spionaggio militare e politico, ma anche quello industriale. E a Milano non mancano grandi operazioni finanziarie da monitorare. Naturalmente, questo è un puro esercizio di fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente casuale (a salvaguardia dell’incolumità fisica dell’autore).

@UgoPoletti

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