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Milano
Milano: nella via dello shopping, tra paura e voglia di non mollare. Foto

di Eleonora Aragona 

Ieri siamo andati in giro nel centro commerciale a cielo aperto di Milano, dal Duomo abbiamo raggiunto Piazza San Babila, poi Corso Venezia e piazza Oberdan fino ad arrivare a Loreto percorrendo tutto Corso Buenos Aires. Alle 12, orario di brunch, colazioni dei sabato mattina più pigri e passeggio per il primo shopping primaverile, le persone in giro erano poche. 

Qualcuno con la mascherina, pochi a dire il vero, qualche gruppetto e molte persone che camminavano frettolosamente con uno sguardo un po’ sospettoso indirizzato ai vicini. Questo era prima che nella notte fosse diffuso il nuovo provvedimento che blocca la Regione Lombardia e 14 province in entrata e in uscita. 

Fa impressione e dà un senso di emergenza mai percepito prima la serranda di un hotel calata giù. Mai visto un albergo con le porte chiuse. I dehors dei locali hanno gruppetti di persone appollaiate a godersi un po’ di sole, ma anche in ristoranti in genere strapieni ci sono molti tavoli vuoti. 

I messaggi affissi sulle vetrine di ogni attività invitano a mantenere una distanza di un metro gli uni dagli altri e ci sono negozi in cui non possono entrare più di 5 persone per volta. Non mancano neanche i cartelli che indicano chiusure temporanee. D’altra parte stare aperti senza clienti è un costo e per alcuni imprenditori a conti fatti è stato più conveniente sospendere l’attività. 

In solo poche ore gli imprenditori con cui abbiamo parlato sono passati da una preoccupazione moderata a descrivere la situazione come drammatica. Il primo obiettivo per tutti è quello di riuscire a mettere in atto i comportamenti più responsabili per riuscire a contenere il contagio. La tutela della salute collettiva è la principale finalità per questi imprenditori che si dicono disposti a ogni sacrificio per garantire ogni cittadino. 

Le conseguenze economiche di quanto sta accadendo però sono un problema reale e che nei prossimi mesi si faranno sentire in modo devastante.

I commercianti milanesi, ma il discorso vale anche per le altre province isolate, si preparano ad un periodo durissimo, ci saranno chiusure e si inizia già a parlare di fallimenti. Le grandi catene sono al momento quelle meno preoccupate, mentre i piccoli e medi imprenditori che costituiscono il cuore pulsante della città hanno paura. E per un imprenditore la paura è un nemico pericoloso. 

Luigi Ferrario è il presidente dell’associazione Real Baires, un gruppo che raccoglie i proprietari immobiliari delle attività di Corso Buenos Aires. Lui stesso ha un cocktail bar sulla via dello shopping milanese. Il quadro che ci prospetta non lascia dubbi rispetto alla gravità della situazione e alle conseguenze immediate che il virus sta avendo sulle pmi della città. 

“Per gli albergatori si parla del 90% di lavoro in meno rispetto alla media stagionale, le disdette ormai sono state pressoché totali. Le attività di pub, cocktail bar e simili hanno andamenti incostanti, si può tranquillamente dire che nei giorni buoni in cui c’è comunque un po’ di clientela si è alla metà del fatturato solito. E poi i bar diurni che non possono usare il banco sono tra le attività che stanno subendo pesanti conseguenze, così come quei ristoranti i cui clienti principali sono gli impiegati in pausa pranzo”. 

Non si tratta di perdite irrisorie, alcuni imprenditori hanno anche un 70 % in meno di entrate rispetto alle normali settimane di attività. E comunque Corso Buenos Aires è una zona che ha subito anche un impatto più contenuto rispetto ai negozi del lusso e alle attività che si trovano nel centro città e che hanno nei turisti la principale fonte di guadagno. 

Gabriel Meghnagi, presidente della rete associativa delle vie milanesi con il Coordinamento dei Distretti Urbani del Commercio di Milano e cavaliere del Lavoro, ha descritto la situazione attuale paragonandola al post 11 Settembre.  “È una situazione che, con le dovute differenze, ricorda il periodo dell’attentato alle Torri gemelle con l’aggravante che adesso siamo di fronte ad un’emergenza sul territorio nazionale mentre all’epoca era stata una situazione successa al di fuori dei confini italiani e che risentiva solo di timori indiretti”. E ha aggiunto: “In quel caso il 30% di persone non sono arrivate per 6 mesi in Italia. È normale che adesso siano state cancellate le prenotazioni. Ci renderemo conto della reale gravità della situazione da maggio in poi quando si capirà se si riuscirà a fare il Salone del Mobile, ad esempio”.

Rispetto alle conseguenze più immediate però la situazione non è rosea. Meghnagi ha affermato: “Già nel weekend dopo la notizia di Codogno c’è stato un -20%/30% perché non era ancora chiara la situazione. Il weekend appena trascorso si sta attestando ad un 50/60 % in meno rispetto all’anno precedente per i fatturati della maggior parte delle attività”.

Sui tempi di ripresa il cavaliere del Lavoro stima che nel migliore dei casi ci vorrà almeno un anno per recuperare e tornare ai livelli di qualche settimana fa. 

Già sono trascorse solo poche settimane dall’inizio di questa emergenza, ma ci sono delle piccole attività che stanno rischiando concretamente il fallimento. E la chiusura delle scorse ore, la fuga dalla città e le nuove restrizioni non hanno migliorato la situazione. È soprattutto la confusione, la contraddittorietà delle prime misure e la mancanza di un’informazione percepita come chiara, rassicurante e precisa a preoccupare. 

Silvia Viel, proprietaria di una storica gelateria nel cuore del distretto di Buenos Aires è una delle 270 insegne della via del commercio milanese. Come aveva già dichiarato la sua impresa non navigava in ottime acque, ma l’avvicinarsi della primavera e dell’estate era il momento di ripresa. Adesso rischia concretamente di dover chiudere e dichiarare fallimento. 

“Ho deciso negli scorsi giorni di lasciare a casa due dei miei dipendenti. È stata una decisione presa sia per prevenzione, in modo che in caso di necessità ho due persone da poter richiamare a lavoro, ma anche perché economicamente non riuscivo a pagare i dipendenti”. 

Lunedì scorso la sua attività che in periodi normali scatta scontrini per 800 euro al giorno ha chiuso la giornata con un incasso di 34 euro circa. “In media in queste settimane ci siamo assestati sui 300 euro di incasso”. Numeri che fanno male ad una piccola attività e che visti i nuovi sviluppi difficilmente miglioreranno nei prossimi giorni. Ancora più impressionanti se rapportati agli affitti a metro quadro della zona, si parla anche di 10 mila euro al mese.

“La cosa peggiore è il senso di abbandono. Ogni mattina mando qualche messaggio a qualche giornalista e all’ENPAM per avere informazioni aggiornate per sapere come mi devo comportare” continua Silvia. “Ho problemi a pagare i dipendenti, ci sono pochi clienti, ho dovuto ritardare o annullare ordini ai miei fornitori, ma il disagio maggiore è la mancanza di notizie attendibili e chiare”. 

Un’attività come la sua rischia fino a 250 euro di multa per ogni cliente che non rispetti il metro di distanza e altri 3000 euro di sanzione vengono date al negozio. I grandi negozi e le attività gestite da multinazionali sono meno rigidi nel rispetto di queste norme, ma per loro una multa non è poi così dolorosa. 

Tra i dipendenti dei negozi di grosse catene però la paura c’è, si vedono dipendenti con mascherine e guanti che si lamentano di dover rispettare gli orari normali di lavoro mentre i manager del punto vendita sono in smart working da casa. 

I commercianti come Silvia, Luigi e Gabriel hanno attività differenti, si trovano ad affrontare problemi più o meno gravi ma sono concordi con il fatto che le misure preannunciate non saranno assolutamente differenti. La situazione è straordinaria non si può pensare che il decreto del Governo Conte sia sufficiente, occorre prendere decisioni rapide e dalla portata epocale. Le richieste sono semplici e sono state inviate dal coordinamento delle Vie dello Shopping Milano a prefetto, sindaco, presidente di Regione e assessori del Welfare e della Salute:

abbattimento immediato dei tributi locali

abbattimento immediato di imposte e tasse

rendere la Lombardia una ZES (Zona economica speciale)

contributi diretti a sostegno delle imprese

agevolare attraverso le banche la liquidità per le aziende

abbattimento delle tasse di soggiorno

attivare cassa integrazione anche nel settore turistico e del commercio

piano di comunicazione e di eventi per promuovere una ripresa una volta passata l’emergenza

Il blocco dell’IVA è una delle misure più richieste. Si deve pensare anche al post emergenza però con soluzioni ad hoc per stimolare poi la ripresa. In questo senso le iniziative che gli imprenditori chiedono sono delle semplificazioni per l’accesso agli aiuti e che ci siano delle condizioni chiare e quanto più larghe possibili per avere il supporto dello Stato. 

Questa è una situazione che sta provando non solo la tenuta economica delle imprese ma anche le condizioni psicologiche degli imprenditori. Il rischio di depressione è molto alto in questa situazione e non si può ignorare anche questa realtà. 

Milano e la Lombardia d’altra parte sono sempre state un traino per il resto del paese e adesso sperano che lo Stato assicuri lo stesso sostegno che la Regione ha sempre garantito all’Italia nei momenti più difficili. 

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