Milano
Centrale dell’Acqua di Milano, Luca Montani racconta “Primo Levi, Figure”
17 lavori molto particolari che raccontano un aspetto poco noto di Levi destinati ad amici o a impreziosire la libreria di casa
Il museo di impresa di MM è diventato in pochi mesi un punto di riferimento per la città dove un’offerta culturale unica nel suo genere, a partire dalla mostra Figure, ha richiamato migliaia di persone. Torniamo su questa esperienza con Luca Montani, Direttore comunicazione e relazioni istituzionali di MM, coordinatore dell’iniziativa.
Luca, una mostra particolare quella sulle opere di Primo Levi
Dopo una prima assoluta alla GAM di Torino è stata proposta al grande pubblico una selezione dei lavori in filo metallico realizzati dallo scrittore torinese nel periodo 1955/1975. L’evento è stato realizzato insieme al Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino, ha ricevuto il patrocinio del Comune di Milano e ha visto la collaborazione dell’Associazione Figli della Shoah.
17 lavori molto particolari che raccontano un aspetto poco noto di Levi – testimone, scrittore, uomo di scienza, cultura politecnica e chimico – destinati ad amici o a impreziosire la libreria di casa.
Un’occasione più unica che rara, direi
Alla Centrale dell’Acqua è stato possibile guardare da vicino opere significato straordinario che pochi fortunati al mondo hanno potuto vedere. La mostra è stata curata da Fabio Levi (direttore del Centro Studi Primo Levi) e Guido Vaglio. Il progetto suggestivo di allestimento è stato curato da Gianfranco Cavaglià con Annarita Bertorello e ha collocato il visitatore in relazione intima con il singolo lavoro di Levi, dialogando con le significative tracce di archeologia industriale e di memoria del lavoro manuale presenti in Centrale. Risultato: si è creata una sincretica risonanza tra le sculture di Primo Levi e la pulizia progettuale ed estetica degli strumenti di ingegneria idraulica di inizio ‘900.
Un’esperienza culturale, spirituale, senza precedenti che ha visto la partecipazione di tantissime persone
È proprio così. Tra presenze fisiche e visite on line, la mostra è stata vissuta da migliaia di visitatori. Ma l’esperienza più importante è stata la girandola di appuntamenti a corollario della mostra, a partire dai laboratori rivolti al mondo della scuola, che hanno visto la partecipazione a distanza di oltre 2.200 studenti di tutta Italia.
Riuscire a raggiungere bambini e ragazzi, in un’emergenza che ha indebolito la cornice di senso del fare educazione, era uno degli scopi principali di una mostra come questa, inaugurata simbolicamente in un momento di chiusura dei musei al pubblico.
Perché MM ha pensato di realizzare una mostra su Primo Levi e perché non si è limitata a questo, organizzando decine di incontri di approfondimento?
Le opere di Primo Levi sono un appuntamento con la cultura politecnica, con lo spirito indagatore del suo autore e con la curiosità tipica degli intellettuali che scovano nel mondo quotidiano sensi più profondi, connessioni perdute, significati spesso poco indagati.
Abbiamo voluto offrire alla città un approccio unico al grande testimone del secolo scorso: conoscere i meccanismi di funzionamento del mondo con la medesima forza di persuasione che hanno coloro che detengono la cultura tecnica, i cosiddetti esperti.
C’è una frase che campeggiava nell’area espositiva e che mi piace riprendere: “ravvisare o creare una simmetria, mettere qualcosa al posto giusto, è un’avventura mentale comune al poeta e allo scienziato”. Ma c’è di più: “vincere la materia è comprenderla e comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi”.
Ecco perché una società pubblica di ingegneria, chiamata a progettare infrastrutture e a gestire servizi fondamentali per la vita delle persone, ha scelto lucidamente di utilizzare gli oggetti realizzati da Primo Levi per raccontare la propria passione.
Qui c’è tutta l’esperienza politecnica possibile.
La mostra si è aperta con la visita di Liliana Segre e si è conclusa con Luciano Segre, cugino di primo grado di Primo Levi. Nel mezzo abbiamo ospitato Sonia Bergamasco, Alberto Anfossi, Filippo Del Corno, Antonio Calabrò, Martina Mengoni, Valeria Negrini, Riccardo Passoni, Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta.
Ho visto la tua visita guidata on line della mostra dove parli anche di intrecci, nodi, schemi. Vuoi tornare sul tema?
I lavori di Primo Levi che abbiamo esposti alla Centrale sono sculture realizzate con fili di rame il cui intreccio non è mai casuale: c’è una geometria particolare, una ricercatezza nello snodo, nell’intreccio, persino nella sezione del filo utilizzato di volta in volta.
È questo che tradisce un progetto mentale nitido, focalizzato sulla riuscita materica finale. Il sito è ancora attivo e potete guardare quelle opere nel singolo dettaglio: c’è una lucidità compositiva che è sconcertante. L’anatomia dei corpi, per esempio viene realizzata con poligoni congruenti in un pattern ripetitivo. Geniale.
https://www.centraleacquamilano.it/primo-levi-figure/
A tuo parere, nel panorama italiano, ci sono altri autori che possono aver suggestionato la cultura con questa contaminazione tra saperi tecnici e altri linguaggi?
Certamente. E di alcuni ne abbiamo anche parlato: Leonardo Sinisgalli è uno di questi. Ma potrei ricordare anche Italo Calvino, Daniele Del Giudice e tutti gli autori della rubrica di letture che abbiamo chiamato ‘Politecnica’.
Pietre miliari del Novecento che hanno contribuito non poco a comprendere la ‘civiltà delle macchine’, le sue regole, i suoi canoni stilistici, i suoi drammi.
Su Sinisgalli abbiamo proposto un percorso letterario a partire da Furor Mathematicus, un libro unico nel panorama letterario italiano.
La contaminazione di cui parli è il valore che abbiamo illustrato in questi mesi, il senso ultimo dell’atto creativo, se ci pensi.
E gli altri incontri del palinsesto?
134 appuntamenti in 4 mesi per approfondire temi e suggestioni: l’ambiente, l’acqua, la chimica, l’innovazione scientifica e la ricerca, il clima, l’origine dell’universo. Ovviamente con tagli disciplinari per tutti i palati e per tutte le competenze: dalla filosofia alla matematica, passando per la cibernetica o l’astrofisica.
Sono passati dalla Centrale dell’acqua, solo per fare alcuni esempi: Telmo Pievani, Marco Cattaneo, Gianfranco Pacchioni, Stefano Levi della Torre, Anna Meldolesi, Mario Barenghi, Amedeo Balbi, Ernesto Franco, Massimo Cacciari, la Banda Osiris, Giorgio Vallortigara, Vivian Lamarque, Grammenos Mastrojeni, Maurizio Martina, Carla Benedetti.
E prima ancora Massimo Zamboni, Nadia Urbinati, Massimo Bray, Edo Ronchi, Stefano Ciafani, Philippe Daverio, Enrico Giovannini, Luca Mercalli.
Se uniti a quelli dei mesi precedenti, arriviamo a 219 appuntamenti complessivi tra interviste, rubriche, approfondimenti. Un giacimento importante di cultura politecnica che MM consegna alla città.
È uno sforzo senza precedenti in Italia.
Esatto. È la prima volta che un’azienda pubblica, diversa dalla RAI, focalizza il suo purpose anche sulla creazione di approfondimento culturale. Utile leva per la comprensione dei propri asset e delle proprie attività strategiche di comunicazione.
È il superamento di tecniche come il brand journalism oppure lo storytelling. Ma avete una struttura ad hoc che organizza i contenuti e li trasmette?
Nessuna struttura. L’intento è trasformare l’attuale direzione comunicazione in un vero e proprio centro di produzione – broadcaster – in modo tale che ciascuno di noi possa diventare un media al servizio dei saperi dell’azienda in funzione dei bisogni della città.
È uno sforzo intellettuale notevole che produrrà nuovi linguaggi, una comunicazione pubblica disintermediata, un portfolio di prodotti culturali e di intrattenimento unici, a bassissimo costo produttivo e per tutti i palati. Accanto alle infrastrutture materiali ci siamo impegnati nella produzione di infrastrutture immateriali, ugualmente importanti per la vita di ciascuno di noi e fondamentali per rigenerare territori simbolici delle città che serviamo con le nostre attività aziendali.
Torniamo sul tema dei linguaggi. Perché oggi, a tuo parere, è difficile promuovere cultura?
Non è difficile di per sé. Semplicemente non la mettiamo al primo posto come – invece – dovrebbe essere per le società complesse che hanno a cuore il proprio destino simbolico.
L’unico settore rimasto inspiegabilmente al margine in questa pandemia, se ci pensi, è stato proprio quello della cultura.
Ciò è stato possibile perché il malessere occidentale ci ha spinto ad una certa incapacità assertiva: oggi c’è sensazione impalpabile di smarrimento. Siamo in una bolla comunicativa che anziché sorprenderci in eloquio ci zittisce in continuazione perché non ci fidiamo più delle nostre convinzioni più alte, più rappresentative, più simboliche.
E si perde pure in autostima
Ipnotiche certezze di non potere nulla contro lo strapotere della parola digitale, che tutto svela e tutto ridicolizza, ci conducono all’inerzia, alla afasia, all’impotenza.
Diventiamo avatar del mondo che verrà senza intravvedere un ruolo preciso nell’intendere l’umanità come processo aperto, come sforzo di costruzione, di assimilazione e di elaborazione. Ecco perché la cultura non è ancora e sufficientemente al centro delle nostre attività.
L’industria culturale – se posso esprimermi così – risente di un mancato investimento complessivo di senso che potrebbe mitigare o decodificare i drammi che stiamo vivendo e il senso stesso di ansia sociale.
Ma un ruolo specifico possono averlo anche società non impegnate direttamente nella produzione o nella promozione culturale. Un’azienda pubblica, per esempio, ha un ruolo ben visibile con funzioni presidiate: un peccato non approfittarne per generare un senso di appartenenza con linguaggi del tutto nuovi.
Avete altre sfide all’orizzonte?
Molte e similari: una mostra sulla Food Policy di Milano e una sui sessantasei anni di vita di MM con il suo ruolo nella trasformazione della città.
Ripercorreremo la storia recente della grande metropoli lombarda attraverso 40 iconiche commesse: dalla gestione dell’acqua pubblica e quella delle case popolari alla progettazione delle linee metropolitane, passando per Expo. Senza dimenticare i grandi progetti di riqualificazione dei quartieri, il restauro di teatri, degli spazi espositivi e, da ultimo, la manutenzione delle scuole.
Una storia comune, una storia importante.