Nimby, Montani: “Milano piazza vivace. Qui si discute e si include”
Il direttore comunicazione di MM Spa al Forum sulle contestazioni territoriali. "La fiducia nelle istituzioni va conquistata". L'intervista di Affaritaliani.it.
Nimby Forum è un progetto di ricerca sulle contestazioni territoriali ambientali che monitora e studia attraverso il proprio Osservatorio Media Permanente. All’ultima edizione ha partecipato Luca Montani, direttore comunicazione di MM Spa, impegnato in un’azione difficile di comunicazione sul territorio e con il territorio per interventi decisivi come le metropolitane e non solo. Affaritaliani.it Milano ospita una sua intervista.
Il titolo di questa edizione del Nimby Forum è “l’era del dissenso”. Ma è così?
C’è nel Paese un intento nuovo, che ha stravolto irrimediabilmente il linguaggio politico e la prassi nel coinvolgimento delle persone. L’intento è voler a tutti costi ribadire il fatto che la fiducia nelle istituzioni o nelle grandi trasformazioni urbanistiche o infrastrutturali non è per sempre e che deve essere conquistata giorno dopo giorno, ora dopo ora. Ultimamente mi capita di citare Renan: in “Che cos’è una nazione” afferma che “l’esistenza di una nazione è un plebiscito di tutti i giorni”. Dopo anni di cultura dell’emergenza e tentativi goffi di dialogo partecipato, si chiede a gran voce, a qualsiasi latitudine, di poter prendere parte a meccanismi plebiscitari, di partecipazione.
E la competenza?
Non voglio pensare che possa essere soggiogata o che possa lasciare il posto all’’imprecisione, al rancore, alla ricerca dello scalpo. Il meccanismo del consenso che, in passato, muoveva da posizioni di forza, precostituite e predefinite, è senz’altro giunto a fine vita. Ora non è più possibile chiudere gli occhi di fronte a quello che diventa un assunto epistemologico: dubito, mi interrogo, verifico le fonti, pretendo risposte.
Un esercito di ficcanaso?
Beh, un esercito di donne e uomini che non vogliono più dare per scontato il proprio ruolo di cittadinanza. A mio avviso le posizioni più estreme - che non sono mai auspicabili - sono generate da anni di poca trasparenza, di latitanza dei decisori e, quindi, di cattivo esercizio di cittadinanza. Non voglio demonizzare niente e nessuno. Il mio lavoro consiste del mostrare le ragioni e nel cercare in tutti i modi di avvicinare le parti in un tentativo risoluto di abbandonare posizioni di privilegio informativo o di sciocca contestazione fine a sé stessa. Chi gestisce un importante lavoro di trasformazione urbana non deve partire dall’idea di trovarsi di fronte una pletora di ignoranti curiosi che vogliono ficcare il naso. Dall’altra parte, ci deve essere lo sforzo di non abbandonarsi al complottismo, all’idea - folle - che siccome uno è preparato su un tema, probabilmente è un infingardo.
Qual è il confine?
Va condiviso. Il confine è un contratto ben preciso dove, i contraenti, si siedono ad un tavolo e condividono la necessità di fare un percorso insieme, di costruire un tratto di storia che necessariamente li vede co-autori e (forse, anche) co-visionari. Ho verificato personalmente in decine di situazioni che la condivisione del confine - fino a dove possiamo spingerci e con quali linguaggi - dissipa le nebbie e rende le persone più ragionevoli. Oggi, in fondo, c’è proprio bisogno di ragionevolezza, soprattutto perché la complessità non può soddisfarsi con risposte immediate.
Nella tua lunga esperienza di comunicatore, ora per un’importante azienda pubblica, non trovi che questo sia troppo romantico?
Tutt’altro. Prevede fatica e tenacia, cultura del progetto, lucidità nei processi e ricerca culturale: l’atteggiamento di apertura iniziale verso le istanze delle persone, quando sono genuine, è la caratteristica più importante di un dialogo che non può più attendere. Su questi temi il pourparler o il dilettantismo non pagano e fanno solo danni.
Milano è la tua piazza. Come la vedi su questi temi?
Una bella piazza, franca, sincretica al punto giusto, orgogliosamente inclusiva. Sono decine le esperienze realizzate sui cantieri, sui grandi progetti di trasformazione urbana, sulla condivisione di visioni a medio e lungo raggio (la nuova linea della metro, M4; i Navigli; il piano Quartieri, ecc) che hanno sortito effetti notevoli. Ho trovato sempre tante persone disponibili al confronto, anche tosto, ma sincero; senza velleitarismi ma con molta volontà di raggiungere un risultato comune: una visione, appunto. In moltissimi casi, il concorso dei cittadini, singoli o organizzati in comitati, è stato efficace tanto da modificare i progetti, com’è giusto che sia… Qui, a Milano, la fiducia è un’esperienza. Da fare sempre insieme a qualcun altro.
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