Milano
Omicidi in corsia: Riesame, nessun ripensamento, Cazzaninga in carcere
Annullata l'ordinanza del 9 settembre in cui l'Assise aveva concesso al medico gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico nell'abitazione dei genitori
Omicidi in corsia: Riesame, nessun ripensamento, Cazzaninga in carcere
"Nessuna forma, nemmeno embrionale di ripensamento, ma anzi la rivendicazione della bonta' delle proprie scelte" in quello che appare come "un delirio di onnipotenza". Il Tribunale del Riesame di Milano motiva cosi' il provvedimento con cui il 7 ottobre ha disposto "il ripristino della misura cautelare in carcere" per Leonardo Cazzaniga, l'ex aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno, processato dalla Corte d'assise di Busto Arsizio per 12 omicidi in corsia e per quelli di tre familiari dell'ex amante, Laura Taroni. I giudici milanesi hanno accolto l'appello del procuratore di Busto, Gian Luigi Fontana, contro l'ordinanza con cui, il 9 settembre, l'Assise aveva concesso al medico gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico nell'abitazione dei genitori, a Cusano Milanino. "Ritenere che la sospensione dall'ordine dei medici o l'interruzione del rapporto con la Taroni - argomentano - abbia una qualche incidenza concreta su una tale personalita' e sugli immanenti rischi di reiterazione pare davvero incongruente; un soggetto accusato di avere deliberatamente praticato forme di eutanasia non richieste a un numero cospicuo di anziani, di avere eliminato farmacologicamente persone che ostacolavano i suoi disegni, di avere sistematicamente minacciato i soggetti che venivano via via individuati come coloro che avevano portato alla luce i fatti, manipolato persone per realizzare i propri disegni, espresso sistematicamente intenzioni omicidiarie come soluzioni a 'fastidi', somministrato farmaci a piu' soggetti contro la loro volonta' per comodita' e' persona che esprime una pericolosita' di tale immanenza che per essere attenuata sarebbe stato necessario dar conto di elementi di pari immanenza, serieta' e completezza". Per i giudici, inoltre, "la capacita' di strumentalizzare la propria competenza farmacologica per provocare la morte di chi, a suo avviso, non meritava di vivere non solo all'interno del pronto soccorso, ma anche all'esterno, prescinde dal rapporto di servizio e rende oltremodo concreto e attuale il pericolo di recidiva, arginabile solo con la misura piu' rigorosa".