Omonimo di un pedofilo a processo: "Sono rovinato, lo Stato paghi"
L'odissea di un operaio lecchese accusato ingiustamente di pedofilia e impossibilitato a pagare le spese legali
La sua sola "colpa" è quella di chiamarsi Gavino Cherchi. Ma per uno sfortunato caso di omonimia l'operaio lecchese ha vissuto un incubo iniziato nel novembre del 2013, quando i poliziotti sono giunti nella fabbrica dove lavorava per portarlo via. L'accusa era legata alla diffusione di materiale pedopornografico su internet. La vicenda è stata fortunatamente chiarita in sei mesi, appurando che la persona accusata di diffondere immagini hard con minori era un omonimo di tre anni più giovani. Ma da allora l'operaio è andato in difficoltà, impossibilitato a pagare le spese legali. Con la moglie malata e le spese mediche da affrontare, si è visto bloccato il conto in banca e parte dello stipendio pignorato. Ora si sfoga con il quotidiano Il Giorno: "Sono rovinato, la mia unica colpa è stata quella di avere lo stesso nome di uno accusato di aver commesso quei reati. Non ho idea di come uscire da questo dramma. Mia moglie è gravemente malata e io non ho più soldi. Chi ha sbagliato, ovvero lo Stato, dovrebbe assumersi la responsabilità degli errori fatti contro un innocente che è stato rovinato".