Milano
Paolo Pillitteri, padre della Milano internazionale
Stefano Carluccio, presidente del centro internazionale di Brera, ricorda l'ex sindaco socialista di Milano recentemente scomparso
Paolo Pillitteri, padre della Milano internazionale
Durante l’amministrazione Pillitteri, il TIME, iconica rivista newyorkese, segnalava per la prima volta Milano come una città in ascesa a livello internazionale, al pari delle altre grandi metropoli, non per dimensioni, ma per qualità della vita e dinamismo. Milano, pur legata alla sua tradizione (come la fontanella dell'acqua che Pillitteri orgogliosamente ricordava), si ispirava un po’ al modello londinese.
Certo, il suo successo fu costruito su basi solide, gettate dalle giunte "rosse" milanesi volute da Craxi, in contrasto con Berlinguer, che preferiva l'accordo con la DC. Ultimo sindaco di quella stagione fu Carlo Tognoli che, come amava ripetere, "aveva fatto più lui per Milano che Maria Teresa d'Austria".
Pillitteri fu decisivo per la nascita delle giunte di sinistra a Milano: provenendo dal PSDI, approdò al PSI, conoscendo la sorella di Craxi ben prima che il rapporto con Bettino si intrecciasse con la sua posizione politica. Era già un leader prima di incontrare il futuro segretario del PSI, e fu il caso che li fece incrociare.
Essere "il cognato di…" fu più uno svantaggio che un vantaggio: ogni sua realizzazione e nuova iniziativa era spesso vista come il risultato di luce riflessa, anziché come "farina del suo sacco".
Fu un grande assessore all’Urbanistica e soprattutto alla Cultura, portando politiche innovative concrete piuttosto che solo titoli sui giornali. Effervescente e scanzonato, rappresentava bene, anche per personalità e simpatia, il momento magico di Milano, prima della rovinosa inchiesta di Mani Pulite, che riportò la città in una depressione economica e psicologica. Poco poté fare contro questa corrente il suo successore, per breve periodo, Piero Borghini.
La persecuzione giudiziaria lo strinse in una morsa e, come per tutti i socialisti milanesi, lo gettò nel cratere del "golpe mediatico-giudiziario" preparato, si dice, nell'ambasciata e nel consolato americano. Editore con gli altri "autonomisti" della Critica Sociale fino al 1992, dovette interrompere l’attività che amava: il giornalismo e, in particolare, la critica cinematografica che firmava sull’Avanti!. Tra i migliori studiosi di Anna Kuliscioff - di cui era un fanatico ammiratore - pubblicò tre libri sulla "madre del socialismo italiano".
Fece molto non solo per Milano, ma se ne parlò pubblicamente troppo poco. Fu attivissimo nell’ideazione e nella realizzazione di grandi eventi culturali nazionali, dove spesso compariva poco come protagonista. Portò al Centro Internazionale di Brera Vaclav Havel, allora scrittore del dissenso cecoslovacco, prima che diventasse presidente del suo Paese, dopo la fine del Patto di Varsavia.
Di Paolo Pillitteri, nel clima di linciaggio ventennale, si è parlato più a sproposito che nel merito della sua inventiva e sensibilità culturale, sempre applicata alla progettualità. Un pregiudizio, quello dei suoi detrattori, che oggi appare svanito, lasciando gli stessi detrattori attoniti per la scomparsa di un protagonista che, per quanto diffamato, scoprono di aver amato. Come quel giornalista che implorò un suo intervento per ottenere un appartamento al Pio Albergo Trivulzio per la nascita di suo figlio e che, dopo aver ottenuto il favore, divenne uno dei suoi maggiori detrattori. Senza rancore, ma con spirito, Pillitteri commentò ironicamente: "Che fine ha fatto quello che era tutto casa e chiesa?".
di Stefano Carluccio, presidente del centro internazionale di Brera