Milano
Pd, da Milano la nuova classe dirigente. I ragazzi anni ’80 in ascesa
di Fabio Massa
Oggi, dopo la sfida vinta delle primarie, c’è chi lo dice chiaro e tondo. La classe dirigente, oggi, arriva da Firenze, è di marca toscana. Domani, però, sono già pronte le nuove leve milanesi. C’è un movimento carsico, per lo più ignorato, nel Partito Democratico. Eppure è importante, perché nei prossimi anni si vedranno i risultati di quello che è stato seminato e sta crescendo all’ombra della Madonnina. Dove è successo qualcosa di straordinario, in soli cinque anni.
Cinque anni fa la scena milanese era dominata da Filippo Penati. Poi c’era il gruppo di Franco Mirabelli. E poi quello della Cgil, che immancabilmente riusciva a far eleggere il suo esponente in Regione Lombardia (prima Ardemia Oriani, poi Onorio Rosati). I giochi, nel partito, stavano là, in quel crocicchio di sensibilità a volte contrapposte, dalla lunga storia dietro le spalle. Una storia con qualche successo e molti fallimenti.
Poi, nel giro di un paio d’anni, cambia tutto. Pisapia vince ma di fatto decreta la sconfitta del Pd, costretto a fare il portatore d’acqua in consiglio ma a subire lo strapotere di un sindaco diventato il messia arancione. Penati viene indagato, e poi rinviato a giudizio e quindi scompare dalla scena politica (prima di essere assolto, qualche settimana fa). Intanto germinano nuovi talenti: ci sono Pierfrancesco Maran, Lia Quartapelle, e ovviamente Pietro Bussolati, che diventa segretario dopo una battaglia durata poco, ma molto intensa. Da allora, cambia tutto, perché Bussolati chiama attorno a sé ragazzi degli anni ’80 (lo stesso segretario è un 1982). Per esempio, Paolo Razzano (1981) il suo braccio destro e a volte anche sinistro; Silvia Roggiani (1984), la responsabile della comunicazione. Certo, i tempi sono durissimi. C’è la Festa dell’Unità da organizzare, nell’anno di grazia 2015, in mezzo alla polemica sulle candidature estive di Pierfrancesco Majorino e di Lele Fiano. Due candidature sulle quali Bussolati non si schiera, malgrado sia tirato per la giacca da tutti. Aspetta, il segretario. Aspettano i suoi. Alla fine, dopo mesi di attesa, arriva Beppe Sala. E qui c’è la prima lezione imparata dal Pd: ne resta fuori, non appoggia nessuno almeno formalmente. Non come cinque anni prima, quando la sconfitta di Stefano Boeri trascinò il partito in un ruolo di sudditanza a Pisapia. Questa volta Bussolati sceglie il ruolo di garante, di arbitro, anche se poi i suoi quadri lavorano attivamente per Sala in modo anche palese. Razzano&Roggiani organizzano i confronti, fanno capitale dell’esperienza delle magliette gialle e di Bella Milano. “Abbiamo fatto uno sforzo enorme per aumentare i seggi e arrivare a quota 150 - spiega Razzano ad Affaritaliani.it - Abbiamo attivato più volontari e più sedi. E poi c’è stata innovazione: con un sistema di chiavette sulle quali c’era l’elenco degli aventi diritto, e grazie al “salta la fila”, il sistema informatico di pre-registrazione, siamo riusciti ad avere i risultati dopo solo un paio d’ore dalla chiusura dei seggi”. Paolo Razzano si schermisce sulla vittoria di una classe dirigente: “Preferisco parlare di grande responsabilità. Certo è che Pietro Bussolati è un segretario giovane, che ha dimostrato la sua capacità di leadership. Ha fatto crescere una nuova classe dirigente”. Oltre ai già citati, Razzano ci mette dentro anche “Matteo Mangili. Anche lui è un trentenne, ed è stato uno dei motori di Pierfrancesco Majorino”. Poi c’è Filippo Barberis, che potrebbe anche ambire a un posto di assessore, classe 1983. E addirittura un classe 1987 come Stefano Indovino, che potrebbe aspirare al posto di presidente di zona 9. O un 1989 come Marco Tansini, nella segreteria metropolitana.
Trentenni razza padrona, a Milano, levando a questa espressione giornalistica qualunque cattiveria. “Renzi? Ha un rapporto diretto con il segretario della più grande federazione italiana - spiega Razzano - Diciamo che il lavoro di questa segreteria è stato far capire a quella nazionale quanto fosse importante che il Pd milanese avesse un protagonismo. Abbiamo portato a casa la festa nazionale dell’Unità a Milano, abbiamo portato a casa le primarie”.
E già parte il tam tam: Pierfrancesco Maran sindaco tra cinque anni. Buona parte dei dirigenti candidati in parlamento. Qualcuno in lizza per il posto di ministro. “Stiamo calmi. Le elezioni di giugno bisogna vincerle. E bisogna vincere anche le sfide importanti di Rho e San Giuliano. Per non parlare di Peschiera Borromeo e Pioltello, dove dobbiamo riscattare parentesi non positive”, chiude Paolo Razzano. Intanto, adesso si godono tutti la vittoria. In fondo, cinque anni fa come oggi, era il tempo delle dimissioni presentate e poi rifiutate per la sconfitta per mano arancione.
@FabioAMassa
Oggi, dopo la sfida vinta delle primarie, c’è chi lo dice chiaro e tondo. La classe dirigente, oggi, arriva da Firenze, è di marca toscana. Domani, però, sono già pronte le nuove leve milanesi. C’è un movimento carsico, per lo più ignorato, nel Partito Democratico. Eppure è importante, perché nei prossimi anni si vedranno i risultati di quello che è stato seminato e sta crescendo all’ombra della Madonnina. Dove è successo qualcosa di straordinario, in soli cinque anni.
Cinque anni fa la scena milanese era dominata da Filippo Penati. Poi c’era il gruppo di Franco Mirabelli. E poi quello della Cgil, che immancabilmente riusciva a far eleggere il suo esponente in Regione Lombardia (prima Ardemia Oriani, poi Onorio Rosati). I giochi, nel partito, stavano là, in quel crocicchio di sensibilità a volte contrapposte, dalla lunga storia dietro le spalle. Una storia con qualche successo e molti fallimenti.
Poi, nel giro di un paio d’anni, cambia tutto. Pisapia vince ma di fatto decreta la sconfitta del Pd, costretto a fare il portatore d’acqua in consiglio ma a subire lo strapotere di un sindaco diventato il messia arancione. Penati viene indagato, e poi rinviato a giudizio e quindi scompare dalla scena politica (prima di essere assolto, qualche settimana fa). Intanto germinano nuovi talenti: ci sono Pierfrancesco Maran, Lia Quartapelle, e ovviamente Pietro Bussolati, che diventa segretario dopo una battaglia durata poco, ma molto intensa. Da allora, cambia tutto, perché Bussolati chiama attorno a sé ragazzi degli anni ’80 (lo stesso segretario è un 1982). Per esempio, Paolo Razzano (1981) il suo braccio destro e a volte anche sinistro; Silvia Roggiani (1984), la responsabile della comunicazione. Certo, i tempi sono durissimi. C’è la Festa dell’Unità da organizzare, nell’anno di grazia 2015, in mezzo alla polemica sulle candidature estive di Pierfrancesco Majorino e di Lele Fiano. Due candidature sulle quali Bussolati non si schiera, malgrado sia tirato per la giacca da tutti. Aspetta, il segretario. Aspettano i suoi. Alla fine, dopo mesi di attesa, arriva Beppe Sala. E qui c’è la prima lezione imparata dal Pd: ne resta fuori, non appoggia nessuno almeno formalmente. Non come cinque anni prima, quando la sconfitta di Stefano Boeri trascinò il partito in un ruolo di sudditanza a Pisapia. Questa volta Bussolati sceglie il ruolo di garante, di arbitro, anche se poi i suoi quadri lavorano attivamente per Sala in modo anche palese. Razzano&Roggiani organizzano i confronti, fanno capitale dell’esperienza delle magliette gialle e di Bella Milano. “Abbiamo fatto uno sforzo enorme per aumentare i seggi e arrivare a quota 150 - spiega Razzano ad Affaritaliani.it - Abbiamo attivato più volontari e più sedi. E poi c’è stata innovazione: con un sistema di chiavette sulle quali c’era l’elenco degli aventi diritto, e grazie al “salta la fila”, il sistema informatico di pre-registrazione, siamo riusciti ad avere i risultati dopo solo un paio d’ore dalla chiusura dei seggi”. Paolo Razzano si schermisce sulla vittoria di una classe dirigente: “Preferisco parlare di grande responsabilità. Certo è che Pietro Bussolati è un segretario giovane, che ha dimostrato la sua capacità di leadership. Ha fatto crescere una nuova classe dirigente”. Oltre ai già citati, Razzano ci mette dentro anche “Matteo Mangili. Anche lui è un trentenne, ed è stato uno dei motori di Pierfrancesco Majorino”. Poi c’è Filippo Barberis, che potrebbe anche ambire a un posto di assessore, classe 1983. E addirittura un classe 1987 come Stefano Indovino, che potrebbe aspirare al posto di presidente di zona 9. O un 1989 come Marco Tansini, nella segreteria metropolitana.
Trentenni razza padrona, a Milano, levando a questa espressione giornalistica qualunque cattiveria. “Renzi? Ha un rapporto diretto con il segretario della più grande federazione italiana - spiega Razzano - Diciamo che il lavoro di questa segreteria è stato far capire a quella nazionale quanto fosse importante che il Pd milanese avesse un protagonismo. Abbiamo portato a casa la festa nazionale dell’Unità a Milano, abbiamo portato a casa le primarie”.
E già parte il tam tam: Pierfrancesco Maran sindaco tra cinque anni. Buona parte dei dirigenti candidati in parlamento. Qualcuno in lizza per il posto di ministro. “Stiamo calmi. Le elezioni di giugno bisogna vincerle. E bisogna vincere anche le sfide importanti di Rho e San Giuliano. Per non parlare di Peschiera Borromeo e Pioltello, dove dobbiamo riscattare parentesi non positive”, chiude Paolo Razzano. Intanto, adesso si godono tutti la vittoria. In fondo, cinque anni fa come oggi, era il tempo delle dimissioni presentate e poi rifiutate per la sconfitta per mano arancione.
@FabioAMassa