Milano

Penati (e non solo) colpevole prima del verdetto nella società del linciaggio

Daniele Bonecchi

Quella di Penati è solo una delle tante storie di politici messi alla gogna mediatica in una società poco garantista e propensa al linciaggio a priori

Penati (e non solo) colpevole prima del verdetto nella società del linciaggio

La cultura giustizialista, distante mille miglia dallo Stato di diritto, si fonda sul linciaggio, mediatico e non. Sei colpevole ancor prima di essere iscritto nel registro degli indagati, basta un sussurro della Procura e la tua vita è segnata. L’aggravante, sempre, è essere un uomo politico o un amministratore, ma vale anche per un qualsiasi professionista affermato, meglio se noto alle cronache. Perché l’invidia, con l’odio è la cifra di una certa cultura. E’ così che la politica è diventata sinonimo di malaffare. Se ne torna a parlare perché pochi giorni fa, a 66 anni, è morto Filippo Penati, amatissimo sindaco di Sesto San Giovanni, presidente della Provincia di Milano, capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani segretario del Pd. Le procure l’hanno inseguito per una ventina d’anni per il presunto sistema Sesto (assolto e prescritto) e per l’acquisto delle quote dell’autostrada Milano-Serravalle (la Corte dei Conti gli aveva chiesto 19,8 milioni di danni). Il partito l’ha scaricato in un amen e lui ha iniziato a soffrire, con dignità e con la schiena diritta. Poi il male se l’è portato via. “Questo è l’unico paese in cui l’accusa quando perde può ricorrere, - lamenta Gianpiero Borghini, sindaco di Milano negli anni difficili di tangentopoli, che traghettò la città, con la sua giunta civica, verso la seconda repubblica – è la vicenda della Corte dei conti, quella che alla fine ha stroncato Penati. Tu non puoi essere assolto e poi in secondo grado ti chiedono 19 milioni”. “È successo a molti amministratori che hanno rispettato le regole del Consiglio, e poi la Corte dei conti li ha stangati, un fatto molto grave che rischia, assieme al clima generale, di allontanare le persone di buon senso dalla vita politica e amministrativa”, riconosce Borghini. “Penati fu sindaco di Sesto negli anni della grande trasformazione, anche la giustizia dovrebbe avere avuto presente questo quadro. Di uno come Filippo non si può pensare che abbia intascato dei soldi”, sbotta amareggiato l’ex sindaco. Ora, in molti, hanno avviato il tardivo processo di santificazione, proponendo, da destra a sinistra (ma non Lega e M5S) di dargli l’Ambrogino alla memoria. Lui, sorriderebbe, perché non aveva mai perso lo spirito battagliero dei primi anni in politica ma soprattutto conosceva i suoi polli. L’ha ricordato sui social Carlo Cerami, interpretando il pensiero di quell’area riformista che a sinistra è sempre stata minoranza. “Sei stato un combattente straordinario, un riformista autentico, un uomo giusto e impegnato a servire il paese. Hai anticipato molti, favorito dalla tua cultura politica riformista, tenace e concreta, dalla parte del popolo. Non ho mai visto coniugarsi come in te dolcezza e capacità di leadership, tratto umano e conduzione del gioco politico. L’accanimento giudiziario e la viltà codina del giustizialismo coltivato nel seno della tua, della nostra sinistra, ti hanno inferto un colpo durissimo. Ma hai saputo reagire come pochi sanno fare, dedicandoti ai più sfortunati. Sappi che noi saremo qui a difenderti fino a far sparire ogni macchia, che mani arroganti e ingiuste hanno voluto cucirti addosso. Sei stato un uomo giusto, onesto, un eccellente amministratore e dirigente politico. E un vero compagno”.

Ora il Pd sembra fare autocritica per come l’ha emarginata ma, contestualmente, sta mettendo mano ad una riforma della giustizia coi 5 stelle che farebbe rizzare i capelli in testa a Penati e non solo. La sua storia e la sua morte ripropongono una realtà triste, quella di un paese che non riesce ad affrancarsi dal giustizialismo, un paese dove prevale l’idea che il mondo sia diviso in due: da una parte chi ha commesso un reato, dall’altra chi lo commetterà. Innocente fino a prova contraria è un insulto. Lo sa bene Calogero Mannino che a luglio, dopo svariati decenni di agonia, ha vista confermata la sentenza di primo grado, quando la prima sezione della Corte d'appello di Palermo ha assolto l'ex ministro Dc dall'accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato. Era imputato nel processo stralcio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. L'accusa ne aveva chiesto la condanna a 9 anni. “In questo Paese non c’è certezza del diritto”, dice ancora Borghini. E la strada che sta prendendo la riforma della giustizia targata Bonafede non migliora certo la situazione.








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