Milano

Piazza Fontana, nuovo libro rivela: "Cinepresa segreta ha ripreso lo scoppio"

Claudio Bernieri

Un nuovo libro intitolato "La maledizione di Piazza Fontana", a cura del giudice Guido Salvini, racconta nuove inquietanti verità sulla strage del 1969

Piazza Fontana, nuovo libro rivela: "Cinepresa segreta ha ripreso lo scoppio"

In due bobine in bianco e nero, nascoste a Lugano (e sparite nel nulla dopo essere state riportate da uomini dei Servizi a Roma) giace tutta la verità, crudele e devastante, sulla strage del 1969 alla banca dell’Agricoltura. Il contenuto delle bobine è stato trascritto in un libro ( frutto delle fatiche letterarie del giudice Guido Salvini, La maledizione di Piazza Fontana, Chiarelettere, co –autore Andrea Sceresini) che uscirà il 14 novembre. In tempo per affiancarsi a un “classico" della stagione; le celebrazioni dell’anniversario della strage, il 12 dicembre con coda di cortei e comizi. Una vera bomba mediatica per il 50esimo dell’eccidio. Una esplosione di polemiche e veleni che probabilmente investirà agenti segreti, carabinieri, giudici istruttori, scrittori, parlamentari, reduci del '69, confidenti, ex katanga, ex sanbabilini, ex ordinovisti. Un impertinente contrappasso vuole che le bozze del libro girino già al Palazzo di Giustizia: prima che il libro esca in libreria. Fughe da guerra fredda.

Microfilm. Pizzini di letteratura. Guerra tra spie letterarie ed editor. Anticipazioni già viste ai tempi di Pasternak. Brani del libro erano già comparsi sul sito pubblicato proprio dal giudice- scrittore : pillole innocue, aneddoti sui vari protagonisti della strage. Ma sufficienti ad allarmare i funzionari di AISE ( ex Sisde e Sismi), Ros e Copasir. E le bozze? Come succede nei più blasonati corridoi del Palazzo di Giustizia, o nei noir di spionaggio, alcuni capitoli non ufficiali stanno moltiplicando i rumors: soprattutto tra ufficiali dei Carabinieri, magistrati, agenti dei servizi . La strage di piazza Fontana è stata immortalata da una cinepresa, dicono i rumors. Abbiamo avuto il privilegio di leggere alcune pagine del libro edito da Chiarelettere in un corridoio della Procura. Stralci, fotocopie di capitoli, reperti di quella guerra fredda che intercorre da tempo tra il giudice e altri magistrati che si sono occupati in passato della strage. Pagine fotocopiate da sconosciute “manine” .

Pagine terribilmente tristi, a volte disperate, che entrano nella mente come se fossero scritte da un Conan Doyle, in un triller che vede Sherlock Holmes alla ricerca degli ultimi testimoni viventi della strage, e li incita a parlare. Chissà che effetto farà, una volta pubblicato, il pesante tomo di Guido Salvini: soprattutto per quella frase che ritorna nei capitoli come un ritornello : “è la maledizione di piazza Fontana”. Ovvero la mancanza di un colpevole certo della strage. I testimoni mai sentiti dalle inchieste, le varie testimonianze arrivate in ritardo.

Le morti dei testimoni. Deceduto Tom Ponzi, presunto regista del film- horror rinchiuso in due bobine; morto l’autista del commando che portò la bomba dal Veneto, fuggitiall’estero i responsabili che entrarono nella banca. I magistrati di Milano e i carabinieri del Ros che hanno potuto leggere tutte le 600 pagine uscite dalla Chiarelettere parlano da tempo, interessati e sgomenti, di due personaggi scoperti dall’indefesso lavoro investigativo di Salvini: l’Antiquario e il Paracadutista. 600 pagine inquietanti, assolute, scolpite nel silenzio, che si aprono , come nei gialli, con un flash black .

9788861906341 0 0 726 75
 

Attenzione, chi ha scritto questi libro non è Dan Brown, non è nemmeno Nuzzi, non si tratta di un giallo Mondadori ma del diario segreto, quasi intimo, di un giudice sgobbone di Milano che ha indagato per decenni sulla strage, crocefisso ed emarginato dai colleghi, Felice Casson e Francesco Borelli in testa ( Salvini parla di guerra civile in Procura).  Ma Guido Salvini è rimasto al suo posto e ancora indaga. Affari è in grado di dare un resoconto del palinsesto delle 600 pagine, -quasi un faldone- recuperato dalle innumerevoli fotocopie che girano negli uffici della procura di Milano . Un palinsesto che getta lugubre luce sulla strategia della tensione.

ECCO IL FILM DELLA STRAGE

C'è stato un film girato in diretta il giorno della strage probabilmente con la complicità di agenti del Counter Intelligence Corps, l'esercito americano in Germania, ma con la presenza operativa, afferma Salvini corroborato da importanti testimonianze nel libro, di collaboratori di Tom Ponzi, appostati all'esterno della banca.

La trascrizione letteraria del filmato– veramente agghiacciante- è nell’incipit del lungo libro del giudice, una vera enciclopedia dei processi, dei depistaggi, dei silenzi, dei dilemmi e dei segreti di Piazza Fontana e delle gelosie dei colleghi magistrati. Venti anni indagini da parte di Guido Salvini, gran cultore dei romanzi di Doyle e di Balzac. Una pagina prende alla gola il lettore, soprattutto.

“È il pomeriggio del 12 dicembre 1969. Gli uomini attraversano la piazza. Camminano ognuno per conto proprio, come se non si conoscessero, si sfiorassero per caso. Fa freddo a Milano, c’è la nebbia. È solo metà pomeriggio ma i lampioni sono già accesi. È l’ora delle commissioni. Le vetrine vibrano del rosso degli addobbi natalizi. In via dell’Arcivescovado procedono lentamente gli zampognari, le loro nenie un po’ stridule rimbombano monotone sotto i  monotone sotto i portici . Gli uomini avanzano sparsi ma in contatto visivo tra loro. Sono molto giovani, nessuno raggiunge i trenta anni. Indossano cappotti scuri, hanno scarpe di vernice e valigette di cuoio. Sono vestiti con sobrietà. come qualsiasi impiegato milanese in quegli anni. Eppure non sono impiegati. E neppure milanesi. Tre di loro, se parlassero, avrebbero un marcato accento veneto. Ma non parlano, guardano dritto, si limitano a controllare gli altri con la coda dell'occhio. Davanti alla banca è posteggiato un camion Om: ha il cassone coperto da un telone ed è targato Roma. È lì fermo, li sta aspettando. Uno degli uomini lo raggiunge e si sporge nell'abitacolo. Afferra qualcosa, poi si volta ed entra in banca. Un secondo lo segue, gli altri restano di vedetta. Fuori, il camion ingrana la prima e si avvia verso largo dei Bersaglieri. Gli uomini sgombrano la piazza, Alcuni di loro si allontanano a piedi, altri salgono su un'auto posteggiata lungo il marciapiede. C e qualcuno al volante, il motore è già acceso. Una cinepresa celata esattamente di fronte alla banca, filma tutta la scena".

Basterebbe questa pagina per far volare il libro nelle hit parade delle vendite. Armi , esplosivi, sanbabilini, ordinovisti, confidenti, uomini dei servizi segreti deviati. E poi polemiche con gli altri magistrati che hanno indagato prima e contemporaneamente alla sua inchiesta. Ecco uno stralcio delle seicento pagine del libro

I NUOVI TESTIMONI. L’ANTIQUARIO

Salvini svela l’orrido backstage, il fumoso dietro le quinte di un dramma. Ha continuato a indagare per anni, e ha infine scovato un nuovo testimone, chiamato l’Antiquario, un giovane della san Babila bene , finito poi in carcere per un suo vizietto, la rapina. Un dandy della malavita nera. L’Antiquario è figlio di papà: il padre è socio di Tom Ponzi. Il dandy è pure nipote di un vicequestore di Milano. veva avuto accesso a qualcosa di molto riservato, segreto e rivela dal carcere a Salvini qualcosa di clamoroso.

Salvini sa che Tom Ponzi era un membro del servizio segreto clandestino di una organizzazione Nato, l’Anello. Ascolta con scrupolo le confidenze del sanbabilino. L’Antiquario incomincia a spifferare:  “E’ stato Delfo Zorzi a trasportare gli ordigni, ma non è entrato in banca. C’erano il figlio di un funzionario di banca, Delfo Zorzi, Massimiliano Fachini e con loro certo tutti gli operativi della cellula veneta, ognuno con il suo ruolo, Mariga come autista, compreso Giovanni Ventura che quel giorno era a Milano”.

Salvini riporta integralmente le confidenze dell’Antiquario: “Mi racconta l’Antiquario: «Ci sono due bobine, due nastri Super 8, che mostrano cosa accadde quel pomeriggio di dicembre di fronte alla Banca nazionale dell’agricoltura. La cinepresa si trovava sull’altro lato dello slargo, in direzione di piazza Beccaria, ed era azionata da uomini dei servizi segreti o da chi lavorava per loro. Ho potuto visionare personalmente circa mezz’ora di immagini…  Nella seconda bobina si vede un camion Om con cassone telato e targa romana. Il camion passa davanti alla banca, si ferma e apre la portiera. Viene allungata una borsa, un uomo la prende ed entra all’interno dell’edificio».

«Quindi» continua «il camion riparte e fa un lungo giro: si vede l’esplosione, e poi di nuovo ilcamion che ripassa una seconda volta di fronte alla banca, come a verificare che tutto è andatobene… Fu una scena orribile», come al solito mentre parla non dimostra particolare emozione,«che non dimenticherò mai. C’era una donna ferita, aggrappata a ciò che restava di una delle porte di cristallo dell’edificio. Si era salvata per un pelo: la deflagrazione l’aveva colta proprio davanti alla soglia.» Davanti a quelle parole non so cosa ribattere. Quello che ho appena ascoltato mi colpisce. «Non posso dirle molto di più» aggiunge l’Antiquario, «solo due cose: la bomba è stata innescata nella zona di San Babila, dalle parti del bar Gin Rosa. Per quanto riguarda il camion, invece, resta poco da fare: è stato distrutto dopo un paio di settimane. Lo hanno fatto saltare per aria a Roma, simulando un atto terroristico. È stata una mossa intelligente: la polizia ha indagato sull’attentato, non certo sul camion. Ecco, questo è veramente tutto.» Sulla storia delle due bobine rifletterò a lungo. L’azione del 12 dicembre è stata davveroregistrata con una cinepresa? E se sì, quelle bobine esistono ancora? Che fine hanno fatto? Quante persone vi hanno avuto accesso nel corso degli anni? E con quale scopo? Sono domande sulle quali ci concentreremo per mesi, ma che probabilmente resteranno per sempre prive di una risposta definitiva” .Le bobine sono il centro del libro. Dove saranno finite? si chiederà il futuro lettore.

“La polizia elvetica le sequestra nell’ufficio di Ponzi a Lugano: dodici casse di bobine e di altro materiale” chiosa a fine pagina Guido Salvini. I due nastri Super 8 che l’Antiquario ha personalmente visionato all’indomani dell’eccidio sono una prova inedita e clamorosa. Spiega ancora il giudice Salvini; “il film pare sia stato realizzato proprio dagli uomini di Tom Ponzi, collocati con una funzione di controllo intorno ai luoghi dove erano previsti gli attentati.

Ed è logico che quelle bobine, che tanto interessavano anche al Sid, siano state prudentemente«dirottate» in territorio elvetico. Di fatto non se n’è saputo più niente: fatti e persone tendono a svanire nel nulla, in questa storia popolata da fantasmi. C’è almeno la celebrazione annuale in piazza Fontana, il 12 dicembre a metà pomeriggio, quando quasi fa buio, ma è diventata ormai un rito stanco, i discorsi dal palco sembrano a tratti provenire da un vecchio giradischi, quasi sempre qualche cretino in piazza urla contro il governo del momento.

NUOVI TESTIMONI

“Per quattro anni ho raccolto le sue testimonianze”. Salvini parla, nel libro ,di un altro testimone chiave, oltre l’Antiquario; dell’estremista di Ordine Nuovo Gianni Casalini detto il Turco. Questi, sottovaluto dai magistrati che avevano indagato prima di Salvini sulla strage gli rivela particolari inediti; Casalini è un testimone attendibile che incredibilmente non è stato mai preso in considerazione nelle precedenti inchieste. E annota Salvini: “Casalini è stato più volte ricoverato e sottoposto a cure psichiatriche per disturbi mentali diagnosticati in “nevrosi fobico-ossessive”, il che, ovviamente, non deponeva per la sua piena affidabilità”.

Salvini , appresi molti particolari inediti dal Turco, parte per il Sudafrica, dove incontra il generale Gianadelio Maletti, ex capo del reparto D (controspionaggio) del SID, ora centenario benestånte nel suo buen ritiro a Johannesburg; soprannominato dalla stampa degli anni ’70 e ‘80 il “depistatore di Piazza Fontana.” E Maletti si sbottona e racconta…. Il generale in esilio forzato si dice d’accordo con l’antico democristiano ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, che sapeva molto della strage: “La bomba doveva esplodere a banca chiusa, quei morti non ci dovevano essere” gli confidò un tempo il ministro. Inquietanti le rivelazioni di Maletti. “I neofascisti erano in quattro” racconta così il generale del Sid a Salvini “certamente avevan oun’auto di supporto. Due entrarono in banca, gli altri due rimasero di guardia. È tutto ciò che posso dire". Salvini ,come in una partita di poker, dice vedo e accenna a dei nomi: Delfo Zorzi, Giampietro Mariga, autista , Toniolo Ivano. ,E poi il Paracadutista, nick name di un ordinovista tuttora vivo, che innescò la bomba. Maletti tace e acconsente, Scrive l’autore: “Sembrerebbe quasi un romanzo di fantapolitica, se non fosse per un semplice circostanza: i fatti tornano tutti. Alla Casa Bianca c’era Richard Nixon, che con ogni probabilità sapeva tutto. Sapeva tutto Giulio Andreotti, sapeva tutto l’allora presidente della Repubblica: Giuseppe Saragat.” Gli racconta infine il centenario Maletti dal suo rifugio in Sudafrica: “L’unico politico ancora in vita che potrebbe sapere qualcosa di questi fatti è Ignazio LaRussa, che è un siciliano di vecchio stampo. Ma non credo che parlerà mai.”

I colpi di scena nel libro di Salvini si susseguono. Ecco il Paracadutista: “Vive ancora oggi in Italia, in una grossa città del Nord. Gli anni della militanza sono ormai un lontano ricordo, almeno all’apparenza. Ha una compagna, un cane, una pensione. La giustizia non lo ha più sfiorato. Conduce un’esistenza normale, come un qualsiasi cittadino vicino ai settant’anni, alle prese con la crisi economica, le lunghe passeggiate al parco e gli inevitabili acciacchi fisici dovuti all’età”. Il padre del Paracadutista lavorava in banca, era funzionario della Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, scopre Salvini. E’ lui che ha portato la bomba dentro alla banca?

Il giudice ritorna dall’Antiquario: «C’era il Paracadutista in piazza Fontana quel pomeriggio?».chiede. Dopo una pausa l’Antiquario annuisce con il capo e dice: «Sì, è lui che stava fuori dal camion. È lui che ha preso in mano quella borsa». E aggiunge: «È un segreto che sanno pochissime persone, quante sono le dita di una mano o forse poco più». “Siamo a quarant’anni da quel 12 dicembre. Neanche i congiunti delle vittime, ormai alla seconda generazione, sembrano consapevoli di quanto è avvenuto alle loro spalle, di chi li ha inchiodati, come nell’invenzione di Morel, all’eterna ripetizione della stessa giornata”, conclude amaramente Salvini .

DELFO ZORZI

Salvini, sempre a caccia dei nimi che compongono il commando ripreso dalle bobine di Tom Ponzi interroga allora Carlo Maria Maggi. E’ in carcere: Maggi è stato condannato all’ergastolo come autore della strage di piazza della Loggia a Brescia. Scrive il giudice: “In occasione di un paio di colloqui si è lasciato andare ad alcune importanti ammissioni. Nel colloquio del 30 dicembre 1994 e ancora il 4 febbraio 1995, quindi per due volte, Maggi dice anche di più, cioè che Delfo Zorzi era stato «l’autore materiale della strage di piazza Fontana»ed «era stato scelto proprio lui perché non avrebbe mai parlato». Inoltre che «Pino Rauti era ilreale gestore delle operazioni». Tre frasi che contengono tutto”.

LA DOPPIA BOMBA

Salvini riporta infine una fanta-spiegazione della strage, nata negli anni delle inchieste, e che sembra la trama di un noir. O una leggenda metropolitana. Racconta nel suo libro: “In estrema sintesi: a piazza Fontana sarebbero esplose non una ma due bombe, la prima depositata dall’anarchico Pietro Valpreda, la seconda, subito dopo, da uomini di Ordine nuovo, organizzatore dell’operazione; Valpreda, ingannato e manipolato dai militanti dell’estrema destra, avrebbe accettato di piazzare il primo ordigno dimostrativo che avrebbe dovuto deflagrare a sportelli chiusi; l’ordigno fascista, depositato parallelamente all’insaputa del militante libertario e assai più potente, attivato non con un timer come il primo ma con una breve miccia e quindi subito esploso, avrebbe causato anche lo scoppio del primo ordigno provocando l’eccidio e proiettando sul banco degli imputati con Valpreda l’intera sinistra extraparlamentare.

E’ la tesi della «doppia bomba»: una, quella dimostrativa, preparata in un abbaino in via Santa Margherita vicino a piazza della Scala che ospitava gli studenti greci fedeli al regime dei Colonnelli e affidata a Valpreda da «qualcuno che credeva un compagno», e l’altra, quella micidiale, portata nella banca in una borsa accanto alla prima.”

LA STRAGE

Annota infine malinconicamente nel suo libro il giudice :“la geografia delle stragi nel nostro paese è un lungo susseguirsi di luoghi senza verità certe. Da Brescia fino a Bologna, Ustica, Capaci e via d’Amelio, passando per San Benedetto Val di Sambro con gli attentati – a dieci anni di distanza l’uno dall’altro all’Italicus e al Rapido 904.” E ancora, con amarezza:” cinquant’anni, sette processi, alla fine mai le parole «dichiara colpevole» pronunciate in aula in una sentenza definitiva. E’ la maledizione di piazza Fontana.

L’indagine è un organismo vivente, che va sempre coltivata e rafforzata nei passaggi dove gliargomenti, anche solo suggestivi, delle difese, possono avere più presa e presto o tardi farebreccia e creare dubbi”.

AMAREZZA

L’ epilogo del libro è solcato dalla tristezza di un giudice che non ha visto alla sbarra i veri colpevoli: “attraversiamo spesso piazza Fontana. È una piazza quasi anonima di passanti frettolosi, poco più di un punto d’appoggio per i pullman dei turisti che si dirigono verso il Duomo. Non c’è più nemmeno la vecchia edicola nel centro della piazza. Al posto del vecchio albergo Commercio occupato sino all’estate del 1969 dai contestatori «cinesi» e capelloni c’è un hotel di lusso con una facciata di freddo marmo rosa. È una piazza incompiuta. Come la «sua» strage e le «sue» indagini. Nel 1998 la Giunta comunale di Milano aveva deciso di abbellirla, piantando, intorno alla fontana settecentesca del Piermarini, una duplice fila di ciliegi giapponesi. Ma non se ne è fatto niente. Non sono fioriti. Sarebbero stati cento, nel progetto abbandonato, più o meno, forse è un caso, quanti i morti e i feriti del 12 dicembre .Anche la verità sulla strage non è mai sbocciata per intero. Questo libro cerca di raccontare quale essa fosse e chi ha operato perché non si aprisse. Per tanti è andata bene così”.

Alla presentazione ufficiale del libro, prevista il 14 novembre, ci sarà dunque la stampa che conta, quella della 7, leggera, dimentica, stupita e incredula. Una prima pesante, da inaugurazione della Scala. Ma anche centri sociali, carabinieri in congedo, questori pensionati, vecchi agenti della Mobile, anziani cronisti di nera, canuti anarchici e katanga del Movimento Studentesco: affolleranno la presentazione, silenti e commossi, tutti i protagonisti di quella stagione. Probabilmente l’italo giapponese Delfo Zorzi, al sicuro a Tokio, avrà già sul suo tavolo il libro. Si aprirà poi la caccia alle bobine maledette di Tom Ponzi, scomparse nel nulla inqualche ufficio romano? Qualche magistrato si prenderà la briga di andare in Sudafricaa parlare con il centenario generale Maletti? Il “depistatore” romperà l’incanto dellamaledizione di piazza Fontana? Ignazio La Russa risponderà alle illazioni di Maletti ? Il libro di Guido Salvini potrebbe far riaprire le indagini. O ispirare un film a Ridley Scott.







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