Milano
Picasso e le "Demoiselles": anatomia di un capolavoro al Mudec
Il Mudec di Milano ospita la mostra "La metamorfosi della figura": il rapporto tra Picasso e l'arte tribale e la nascita delle "Demoiselles d'Avignon"
Picasso e le "Demoiselles": anatomia di un capolavoro al Mudec
"Impression, soleil levant" di Claude Monet, il "primo acquarello astratto" di Vasilij Kandinskij, l'Orinatoio di Marcel Duchamp, le "Brillo box" di Andy Warhol. E le "Demoiselles d'Avignon" di Pablo Picasso.
Se si dovesse circoscrivere ad una ridottissima scelta il novero delle opere che hanno avuto il maggiore impatto nel determinare il corso dell'arte contemporanea, sarebbe impossibile escludere il dipinto realizzato dal maestro spagnolo nel 1907. La tela che imposta le coordinate del cubismo e con esso di una rivoluzione nella rappresentazione dello spazio seconda solo a quella rinascimentale della prospettiva. Ma anche molto di più. L'opera con cui l'arte occidentale mette per la prima volta con piena consapevolezza in discussione l'evoluzione progressiva del proprio percorso, la propria centralità e l'auto asserito primato nei confronti di altre espressioni culturali.
Che quella nei confronti dell'arte tribale - ed africana in particolare - sia stata una forma di appropriazionismo culturale lo ha riconosciuto, pur con qualche contraddizione e ripensamento, lo stesso Picasso. Ma nelle "Demoiselles" c'è fortissima anche l'influenza dell'arte iberica. Primitivismo, in una parola. Approccio figlio di un nuovo sguardo sul mondo disposto a ricercare, legittimare ed integrare influenze provenienti da luoghi ed epoche disparati e lontanissimi dal proprio qui ed ora. E' lo stesso spirito che conduce altri artisti ad esplorare il subconscio, oppure l'espressione personale, od ancora i segni al di fuori di una rappresentazione letterale della realtà. La grande epopea delle avanguardie del Ventesimo secolo.
Ma se queste furono per lo più sfide (sublimamente) intellettuali, quella lanciata da Picasso si distingue per essere la più ancorata al mondo reale. Portare l'arte tribale e primitiva al cuore della proprio universo espressivo è anche un atto sovversivo nei confronti della società tutta. Un gesto politico.
"La metamorfosi della figura": Picasso al Mudec
Difficile dire se Picasso fosse consapevole di tutto questo quando iniziò a meditare sulla sua opera. Quello che è certo, e che la mostra "La metamorfosi della figura" ospitata al Mudec di Milano sino al 30 giugno ricostruisce molto bene, è che il maestro spagnolo era consapevole di accingersi a compiere qualcosa di importante. Cuore dell'esposizione a cura di Malén Gual e Ricardo Ostalé sono infatti alcuni dei quaderni fitti di schizzi e disegni che illustrano il lungo lavoro che ha preceduto la realizzazione finale del dipinto. Quindici in totale i quaderni, per settecento bozzetti nell'arco di sei mesi di meticolosa preparazione.
Il percorso è noto perchè è materia dei libri di storia: quella che inizialmente doveva essere la rappresentazione di una scena di bordello con cinque donne e due uomini divenne gradualmente una riflessione pura sul valore della ricerca formale. E si ridusse alle cinque figure femminili, sulle cui posture Picasso esplorò numerose possibili soluzioni. Sino ad arrivare passo dopo passo alla versione definitiva. Un manifesto in cui l'artista esplicita le sue molteplici ispirazioni. La scultura iberica e l'arte romanica. Le "Bagnanti" di Cézanne. E le maschere africane ed oceaniche sulle quali sono plasmati gli scandalosi volti delle due figure di destra. Quelle con le quali Picasso proietta l'arte occidentale in una nuova, inesplorata e temeraria dimensione.
Poter osservare da vicino i disegni preparatori di questa opera capitale restituisce l'emozione del respiro più intimo dell'artista. Avvicina al pensiero del grande maestro, all'umana trama dei suoi tentativi, delle sue considerazioni, delle illuminazioni e delle faticose indagini. E ci ricorda una lezione importante su come il genio sia anche mestiere e studio e appassionata ricerca. Elementi che certo da soli non bastano ma che costituiscono il primo combustibile sul quale poi si innesca la fiamma creativa.
Disegno preparatorio per Guernica, 1937
Il rapporto tra Picasso e l'arte tribale
Della quale troviamo traccia nelle parole con cui lo stesso Picasso raccontò nel 1965 la sua prima visita al Trocadéro di Parigi assieme a Paul Derain nel giugno 1907, nella fase decisiva dell'elaborazione delle "Demoiselles": Dopo una iniziale repulsione "mi sono sforzato e sono rimasto, per esaminare quelle maschere, tutti quegli oggetti che degli uomini avevano creato con un obiettivo sacro, magico, per fare da tramite fra loro e le forze intangibili, ostili, che li circondavano, provando a sormontare la paura dando loro forma e colore. E così ho capito che quello era il senso stesso della pittura. Non si tratta di un percorso estetico; è una forma di magia che si frappone fra l'universo ostile e noi stessi, un modo per prendere il potere, imponendo una forma ai nostri terrori, così come ai nostri desideri. Il giorno in cui lo capii, seppi di aver trovato la mia strada". Quello stesso giorno, sarebbe cambiato anche il corso dell'arte contemporanea.
Nudo appoggiato, 1961