Milano

Piove su un Bonafede bagnato. In rivolta i tirocinanti della giustizia

di Francesco Floris per Affaritaliani.it Milano

Il Ministero della Giustizia sta attraversando un momento particolarmente difficile tra le rivolte carcerarie e le dimissioni di Francesco Basentini

Piove su un Bonafede bagnato. In rivolta i tirocinanti della giustizia

“Ho bisogno di due mesi di tempo per invertire la rotta” e “Non ci saranno più situazioni di precariato con me al Ministero della Giustizia” diceva Alfonso Bonafede, insediatosi da poco più di due mesi in via Arenula, rispondendo a un radioascoltatore: Andrea, 51 anni (nel 2018, oggi 53) e da otto tirocinante presso il Tribunale di Roma a 400 euro al mese. Che chiedeva al Guardasigilli “cosa il suo governo ha intenzione di fare per noi?”. I lavoratori come Andrea tengono in vita interi ingranaggi della macchina della giustizia. Ma sono “persone che hanno sostanzialmente lavorato a nero per il Ministro all'interno dei tribunali – Bonafede dixit nella stessa occasione – senza nessun tipo di garanzie previdenziali”.

E oggi sono infuriati. Perché a “causa dell'emergenza sanitaria – si legge in una nota firmata dal Comitato Tirocinanti Amministrativi (C.A.T.) –, il Governo ha messo in campo sostegni economici per i dipendenti pubblici e per i magistrati onorari; le Regioni, a loro volta, hanno deliberato sussidi per i tirocinanti impiegati negli uffici giudiziari attraverso politiche attive. Invece, per i Tirocinanti dell'Ufficio per il processo, nonostante abbiano svolto per quasi un decennio il lavoro di cancelleria e siano stati selezionati e perfezionati per tre anni all'interno dell'Ufficio per il processo, non è previsto alcun sostegno economico: non sono neanche considerati “precari” perché hanno lavorato senza un regolare contratto di lavoro, ma attraverso la reiterazione di tirocini per lo svolgimento delle medesime mansioni”.

Hanno lavorato per otto anni e poi sono stati messi alla porta, fuori dagli uffici giudiziari già dal 2019. Le leggi per loro parlano di “completamento” e poi “perfezionamento” del tirocinio di cancelleria. Si è provato a mettere una pezza con i concorsi: una selezione mediante i centri per l'impiego finalizzata all'assunzione di 616 operatori giudiziari. Concorso aperto a tutti i cittadini, richiesto il titolo di studio di terza media. Migliaia le domande pervenute. “Alla prova di idoneità accederanno solo coloro che versano in una situazione economica e familiare di grande disagio, a scapito della formazione e delle competenze acquisite dai Tirocinanti della giustizia” accusa il coordinamento nel comunicato. E chiedono un intervento immediato a emergenza epidemiologica attenuata – come il governo si aspetta già da maggio – per accelerare l'ingresso di nuove forze nel pubblico impiego. Anche in vista di aumento dell'attività giudiziaria e del contenzioso dopo le chiusure causa Covid. I concorsi sono sospesi ma “la preparazione dei bandi e delle prove può e deve andare avanti per far fronte all'emergenza del lavoro alla ripartenza”. A cominciare da quanto previsto nel Milleproroghe, l'assunzione a tempo determinato di 1.095 unita di personale amministrativo non dirigenziale. O dal Ddl del 13 febbraio 2020, approvato dal Consiglio dei Ministri, per l'efficienza del processo penale e che prevede il reclutamento di altre 1.000 unita, anche con procedure per soli titoli e colloquio.

Piove sul bagnato al Ministero della Giustizia fra rivolte carcerarie e le dimissioni di Francesco Basentini, numero uno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Membri del Consiglio Superiore della Magistratura che, con due anni di ritardo e in diretta televisiva da Giletti, fanno sapere di essere stati scartati dal ministro Bonafede per lo scranno più alto del Dap dopo presunte pressioni dei boss mafiosi al 41-bis. Con la scelta che è poi ricaduta su Basentini stesso. In questo clima arriva la protesta dei tirocinanti della giustizia da sommarsi al cronico problema dei giudici onorari e i giudici di pace. Appoggiati in Parlamento dall'onorevole Cosima Maria Ferri di Italia Viva, già membro del Csm a sua volta. Che a Montecitorio, il 24 aprile scorso, ha detto “ne parliamo da troppi anni” facendo riferimento ai precari della giustizia e alle norme del governo Renzi. Quando il ministro Andrea Orlando lanciò un piano di assunzioni straordinario, con assistenti giudiziari ritenuti idonei ma ancora in attesa dell'esaurimento della graduatoria. Proprio Italia Viva, mentre si abbatte la tempesta su Bonafede, fa dietrofront rispetto alle dimissioni. “Nessuno tocchi Bonafede, non oggi. Perché noi non cambiamo idea a seconda delle stagioni o delle convenienze politiche. Per noi la separazione dei poteri è un principio irrinunciabile ed è intollerabile un processo in piazza da parte di un magistrato, membro del Csm, nei confronti di un politico, qualsiasi maglietta indossi” ha scritto su Facebook il Presidente dei senatori del partito di Renzi, Davide Faraone. Il partito che tiene in piedi la maggioranza, sulla graticola, e acerrimo nemico del Movimento Cinque Stelle per ora non stacca la spina e non chiede le dimissioni. Non per il caso Di Matteo almeno. Ma Alfonso Bonafede ha oggi una certezza. Che la giustizia è cieca.

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