Milano
Pizzul (Pd): “Europa, pace e un progetto migratorio coraggioso"
Già capogruppo del Pd in Regione Lombardia, Fabio Pizzul si candida alle Europee. “Servono una politica estera comune e un Green Deal inclusivo". L'intervista
Pizzul (Pd): “Europa, pace e un progetto migratorio coraggioso"
Politica estera comune, Green Deal, cooperazione per sviluppare una visione condivisa su immigrazione e sviluppo industriale. Questi sono i temi che Fabio Pizzul, raggiunto da Affaritaliani.it Milano, sta ponendo al centro della sua campagna politica per le elezioni europee di giugno. Lasciata alle spalle la lunga esperienza politica in Regione, dove è stato consigliere e capogruppo Pd, Pizzul ha dato avvio alla sua campagna politica, per portare il suo progetto di Europa nel Parlamento europeo. L'intervista.
La “Campagna Pizzul Europee 2024” è iniziata. Lo slogan della sua candidatura è “Europa bene comune”. Quali sono i temi più urgenti che l’Europa, all’indomani delle elezioni di giugno, dovrà affrontare?
Tra i temi da affrontare con più urgenza c’è quello della pace. Perché un’Europa che è nata per promuovere la pace nel Continente, dopo i drammi della Seconda Guerra Mondiale e dopo secoli di conflitti, si è sempre proposta come attore di pace e credo che debba recuperare fortemente questa sua vocazione iniziale con un forte investimento sulla politica estera comune e sulla necessità di avere una forte influenza diplomatica sul versante internazionale, cosa non scontata. Occorre anche dare una grande attenzione allo slogan che l’Europa porta con sé: unità nella diversità. Riuscire a comporre le diverse istante dei Paesi e portarle in un cammino fatto di tappe intermedie ma che mi auguro possa andare verso gli Stati Uniti d’Europa.
Politica estera comune significa politica di difesa comune?
Sì, ma non vuol dire avere un esercito comune europeo quanto integrare le diverse difese sempre con un obiettivo chiarissimo: una difesa che serve per difendere il diritto internazionale e per promuovere la pace. Nella mia visione, non sarà mai una difesa offensiva, che mette in discussione la sovranità di altri territori e Paesi.
Sul tema dell’agricoltura e della sostenibilità, l’Europa si sta muovendo con il Green Deal che tuttavia ha generato molte proteste. Gli agricoltori sono tornati in queste ore a farsi sentire davanti al Consiglio e tra le strade di Bruxelles. Cosa ne pensa di questo cortocircuito?
Questo cortocircuito sul Green Deal deriva dalla mancanza soprattutto negli ultimi tempi da parte della Commissione europea di dialogare e far sentire coinvolti in questi progetti tutti gli attori economici e sociale dell’Unione europea. Il Green Deal è un obiettivo importante per tutti e tutti devono sentirsi coinvolti, nessuno deve sentirsi un nemico. Per questo occorre intensificare il dialogo. In merito alle proteste degli agricoltori, la sensazione è che sia una piccola parte che va comunque ascoltata, nella misura in cui protesta in maniera civile. Il mondo agricolo è un grande alleato perché ha sempre saputo custodire e coltivare i terreni dell’Unione europea. Anche per loro la sfida del Green Deal è necessaria per avere un futuro nel mondo dell’agricoltura che non può pensare di andare avanti a sussidi ma deve rinnovarsi a sua volta. Green Deal non deve diventare un qualcosa per ricchi ma deve avere una forte parte sociale per non lasciare indietro nessuno.
Altre sfide e allo stesso tempo opportunità sono la tecnologia e l’intelligenza artificiale. Con la votazione dell’AI Act, l’Europa è stata tra i primi a regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Su questo versante l’Europa sta avendo un ruolo di leadership?
Sul versante tecnologico, l’Europa deve recuperare terreno perché a livello di innovazione e brevetti digitali in questi anni è stata in ritardo rispetto alla Cina e agli Usa. Anche a livello di industrie strategiche nel digitale. Credo però che gli ultimi atti, dal Digital Market Act all’AI Act sull’intelligenza artificiale, dimostrino il ruolo trainante e da leader nella regolamentazione necessaria di questi fenomeni che sono il nostro futuro ma anche il nostro presente. L’Europa deve avere un ruolo internazionale e darsi una politica comune molto più significativa e unita, per gestire in modo comune molte partite a cominciare da quella dell’industria. Politiche industriali comuni che integrino diversi Paesi sono importanti per non perdere terreno di competitività.
Cooperazione che tuttavia ancora non è stata raggiunta su altri temi, come la gestione dei fenomeni migratori.
È un errore immaginare l’Europa come fortezza che si chiude nei confronti del resto del mondo. Questo sarebbe impossibile e incentiverebbe l’immigrazione irregolare e clandestina gestita dai trafficanti di uomini. Credo che L’Europa debba darsi un progetto migratorio coraggioso e significativo che istituisca canali legali per arrivare in Europa, dica chiaramente chi e come possa arrivare e faccia rispettare queste regole. Non si tratta di aprire a chiunque ma non si tratta nemmeno di chiudersi perché è impossibile e si incentiva il traffico di essere umani che in questi anni c’è stato.
Mancano ancora più di due mesi alle elezioni europee ma finora i sondaggi danno in testa il Partito Popolare Europeo. Il versante della sinistra può ancora vincere?
In queste elezioni si tratta di promuovere le buone idee per l’Europa e credo che socialisti e democratici le abbiano. Possono continuare a governare con la maggioranza che c’è stata in questi anni che è l’unica possibile in Europa. Una maggioranza che ha fatto un cordone sanitario nei confronti dei sovranisti e degli antieuropeisti. Mi auguro che si possa coinvolgere gli europei in un’idea di Europa aperta, innovativa, capace di continuare un Green Deal che non lasci indietro nessuno. Poi sulle alleanze si vedrà ma dai sondaggi si vede che l’unica maggioranza possibile sia quella che vede i socialisti democratici da un lato e dall’altro i popolari, con l’augurio che questi ultimi non si facciano affascinare da sirene di estrema destra che con l’Europa hanno poco a che fare. Non parlo solo di Identità e democrazia ma anche di quelle parti di estrema destra che vorrebbero entrare a far parte dei popolari e che rischierebbero di strattonarli a destra. In questo devo dire è molto abile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel far credere di essere influente in Europa e portare i popolari in una sterzata a destra ma non è un’operazione facile e nemmeno utile per l’Europa.
Letizia Moratti ha annunciato la sua candidatura alle Europee con Forza Italia, al fianco del vicepremier Antonio Tajani, uno dei membri di punta del Ppe. Se lo aspettava?
Sì, me lo aspettavo. Aveva dimostrato di voler essere attiva e scendere in campo. Credo che debba portare le sue idee, che non coincidono con le mie, e rimanere nella proposta di un partito popolare europeo che è fortemente convinto e orientato a un europeismo solido e senza tentennamenti. Se questo è il progetto, rispetto quella proposta anche se non è la mia.
Guardando alla politica interna, le alleanze nel centrosinistra sono sempre più complicate. Il campo largo può essere una ricetta per vincere sui territori e a livello nazionale?
Sul campo largo, ogni territorio fa storia a sé e bisogna partire dalle caratteristiche dei territori e dalle esigenze. L’errore è utilizzare i territori come laboratori per delle proposte politiche di carattere nazionale. I territori devono essere rispettati scegliendo i migliori candidati possibili per quel territorio e quel momento particolare. Quanto alla dimensione nazionale, è chiaro che, se si vuole essere competitivi nei confronti dell’attuale maggioranza di governo, occorre presentarsi uniti senza però veti reciproci, senza primogenitore costruite a tavolino e pensate a forza di stratti. Ma pensando insieme un percorso che sia fatto di programmi comuni e con un’idea di Italia da costruire insieme ma senza partire a priori contro qualcuno o a favore di altri. È un lavoro politico da fare. Ma quando manca la politica e si fa solo un tira e molla per le poltrone credo che non si vada lontano.