Podestà, l’ultimo presidente: ”Provincia? Opaca e deprimente”
Guido Podestà, l'ultimo presidente della Provincia di Milano eletto, sulle elezioni di Città metropolitana: "Una cosa deprimente"
di Fabio Massa
Guido Podestà, ovvero l’ultimo presidente della Provincia di Milano eletto. “Da Massimo D’Azeglio a Guido Podestà…”, ci scherza su lui con Affaritaliani.it Milano. “La verità, scherzi a parte, è che è una cosa deprimente vedere l’ente ridotto così. E’ un disastro”. Le elezioni per la città metropolitana? “Opache, infatti non interessano a nessuno. Sarà lo stesso domani con il Senato se passa il sì”. Infine, su Stefano Parisi: “Ha potenzialità, se lo lasciano lavorare. Io in politica? No, ormai ne sono fuori…” L’INTERVISTA DI AFFARITALIANI.IT
Guido Podestà, lei è stato l’ultimo eletto di via Vivaio…
Eh sì. Poi il Governo Monti ha iniziato a dire che le province dovevano essere o modificate o chiuse. E la cosa incredibile è che la riforma Monti era anche migliore di quella che si è poi attuata, perché di fatto proponeva la riduzione dalle 100 alle 60 storiche.
Invece così è tutto andato in malora.
La Città Metropolitana è un ente che in questo momento sta soffrendo molto della non chiarezza di chi, facendo la riforma, non ha chiarito fin da subito a chi andassero le deleghe e soprattutto dove dovesse finire il personale. Non è che le persone che lavoravano in Provincia non facevano niente: rispondevano alle esigenze del territorio.
Ora saranno demotivate.
Già prima non avevano propensione a prendersi responsabilità. Adesso ancora di meno. E questo costa molto di più alla collettività.
In che senso?
Facciamo un esempio. Si ha bisogno di un’autorizzazione ambientale. Prima veniva concessa nei tempi. Adesso nessuno si prende la responsabilità e quindi l’azienda che la chiede rimane nel limbo per mesi. Provate a pensare al costo che questo vuol comporta.
Oggi c’è la proclamazione degli eletti di secondo livello.
Elezioni deprimenti. Opache. Tanto è vero che nessuno ne parla. Riflettiamoci, sarà lo stesso domani con il Senato. Quando l’elezione non è diretta ma è indiretta, tutto resta nelle segreterie dei partiti. Il cittadino neppure sa dell’evento.
A proposito di referendum, parliamo di politica. Lei non ne fa più?
No. Sono fuori. Io ho fatto per 21 anni politica, con 15 anni molto belli al Parlamento europeo, e 5 anni nel travaglio delle province. Finito il mandato ho deciso di non proseguire.
Perché?
Se uno non ha più convinzione, o non ritrova nello scenario politico il movimento di propria appartenenza, credo sia giusto rinunciare di stare attaccato alla sedia. Ci sono mille altre cose da fare nella vita.
Però credo che osservi la situazione con attenzione. Che cosa ne pensa di Stefano Parisi?
Se lo fanno lavorare ha le sue potenzialità. Non sarà facile riunificare il centrodestra. In questo momento mi pare che le differenze siano grandi e che il desiderio di trovare una sintesi poi si scontri con le esigenze di non perdere i propri elettori. Resta una situazione molto frazionata. Oggi il centrodestra conta proprio poco.
Chiudiamo con l’assoluzione per le firme false a sostegno di Formigoni. Lei ne è uscito pulito, così come per altre vicende Marino, Cota, Boni, Penati…
Sì, ne sono uscito pulito. Ho notato una grandissima differenza di capacità di entrare nell’esame delle carte e delle situazioni tra il primo livello e il secondo, ovvero tra il Tribunale e la Corte d’Appello. Come sempre se vi è una capacità professionale vera e se vi è una capacità di giudicare senza pregiudizi i risultati possono essere completamente diversi.
Lei però ha subito le conseguenze del procedimento giudiziario.
Con la legge Severino vi è una facilità assoluta di estromettere persone dal campo politico solo avviando un’indagine, solo mandando un avviso di garanzia. Io ero nel cda di Cassa Depositi e Prestiti: non ho più potuto partecipare per un avviso di garanzia. Ora a distanza di quasi cinque anni si dice che ero del tutto estraneo. Forse bisognerebbe essere più tutelati fin da subito.
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