Milano
Quando le istituzioni hanno bisogno del riflettore (e di riflettere)... di Adriana Santacroce e Fabio Massa
di Adriana Santacroce e Fabio Massa
Milano è una città dal cuore grande. E’ una città nella quale le soluzioni, delle volte, non arrivano da dove ci si aspetta. E’ una città generosa, a suo modo, nella quale le istituzioni sono solo una parte della platea di coloro i quali riescono a risolvere i problemi. Perché i problemi, in fondo sono tantissimi. E perché a volte le istituzioni, di fronte a numeri da capogiro, vanno in bambola. Si impantanano in un rimpallo tra enti, esponenti politici, leggi, commi, regolamenti. Secondo una ricerca presentata recentemente dal Sunia (il sindacato degli inquilini) e dalle tre maggiori sigle sindacali, in Italia sono stati emessi nel 2014 sfratti per un totale di 77.278 rispetto ai 73.385 del 2013, con un incremento del +5,3 per cento. Quelli per morosità raggiungono l’89% del totale di quelli emessi e fanno segnare un +5,7% rispetto all’anno precedente. Le regioni più colpite dagli sfratti si confermano la Lombardia (14.533 provvedimenti, il 18,8% del totale nazionale), il Lazio (9.648, Il 12,5% del totale) e il Piemonte (8.266, pari al 10,7%).
Dietro ognuno di questi sfratti c’è una storia, una vicenda, a volte un dramma. Spesso c’è disperazione, raramente tantissima dignità. Ed è proprio la dignità che talvolta smuove l’inerzia delle istituzioni. E a volte accade, come in questo caso, che in questo processo virtuoso (che tuttavia qualche interrogativo scottante lo solleva) attori non secondari siano proprio la stampa e la televisione.
Ma veniamo al punto. Ad Affaritaliani.it e a Telenova la storia di Alessia non ce la dimenticheremo mai. Perché quella, davvero, l’abbiamo risolta noi. Alessia è una ragazzina dalla faccia pulita, dallo sguardo sereno che fuori onda si scioglie in un pianto composto. Il papà, davanti alle telecamere, non ci va. “Hanno scelto me per raccontare la nostra storia. La mia famiglia ha scelto me”. E’ un incarico importante, che affronta con serietà ma anche con serenità.
Alessia vive in macchina, non ha più una casa. Un alloggio ce l’avevano, poi è iniziata la lenta discesa verso l’abisso. Il papà che perde il lavoro. Il fratellino disabile che richiede cure: a causa di una patologia del sistema immunitario si ammala spesso, e rischia tutte le volte grosso. Il collasso del sistema renale, o addirittura la vita. La famiglia deve vivere sempre nei pressi di un ospedale. La discesa non è lenta. E’ rapidissima. Perché quando insorge la morosità l’ente al quale appartiene la casa intima alla famiglia di Alessia di pagare oppure di lasciare l’appartamento. Loro propongono un piano di rientro. L’ente rifiuta. Loro non si oppongono. Non diventano “abusivi”. Raccolgono le loro cose e vanno a vivere in macchina. Si lavano dalla nonna. Dignitosi. Il problema è che il fratellino di Alessia, 12 anni, non può vivere in macchina. Troppi germi per la sua invalidità. Rischia la vita. Mamma e papà vanno in Comune, chiedono l’assegnazione di un alloggio in deroga. La risposta ha il gelo del burocratese: non ce ne sono più, ci dispiace, andate a bussare alla Regione che non ce ne concede abbastanza. E loro in Regione ci vanno. Incontrano il consigliere regionale di Forza Italia Fabio Altitonante, che si attiva. Un alloggio dovrà pur saltar fuori. Il problema è che gli uffici sono impermeabili alle sollecitazioni. A volte per far parlare gli enti ci vuole un riflettore. Ce lo mettono due media: Affaritaliani.it e Telenova. La vicenda viene raccontata prima la mattina, sulla pagina di Milano di Affaritaliani.it e, poi la sera, in trasmissione a Linea d’Ombra.
Alessia arriva in studio e con grande compostezza racconta tutto. Di come dopo lo sfratto si fossero ritrovati a cercare un’altra casa che, però, quando il padre ha perso il lavoro, non hanno più potuto pagare. Come si sono inseriti, poi, in graduatoria per un alloggio popolare capendo che i tempi di attesa erano lunghi, troppo lunghi. Come, a quel punto, hanno dovuto sistemarsi in macchina malgrado il fratellino necessiti di condizioni particolari e non possa assolutamente vivere in un contesto di quel genere. Come in Comune gli han detto che l’attesa per una casa era di sei-sette mesi. Anche accedendo alla graduatoria parallela delle assegnazioni in deroga. Tutto nel dettaglio.
Da qui in poi la storia non è più giornalistica. Ma personale. Non c’è più il mestiere e il tesserino, ma c’è un pezzo di cuore e qualche bel fascio di nervi. Perché a sentire queste cifre (sei-sette mesi) ci siamo indignati. Chiamiamo in diretta l’assessore alla Casa, Daniela Benelli, che spiega che avrebbe cercato di risolvere il problema. Intanto Altitonante si assicura che ci fosse la disponibilità di un alloggio fuori Erp. Finita la trasmissione rimane però l’amaro in bocca per non aver saputo dare un contributo più consistente ad Alessia e alla sua famiglia. E invece. Potenza della televisione. Potenza del web.
L’indomani, per prima cosa, arriva una telefonata dell’assessore alle Politiche sociali del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino. “Voglio chiedere scusa ad Alessia. E’ inaccettabile che a Milano ci siano storie del genere. Me ne voglio occupare in prima persona”, spiega al telefono prima con Telenova poi con Affari. L’assessore al Welfare intanto vuole trovare un albergo in attesa dell’assegnazione della casa. Per tirarli fuori da quella macchina della vergogna. Poi nel giro di un paio di giorni il Comune e la Regione incrociano i dati e, magicamente, sbuca una casa fuori Erp della Regione. Per una formalità, il Comune deve avanzare richiesta alla Regione che la accetta. Caso chiuso, Alessia e il fratellino disabile e i suoi genitori lasciano la macchina e trovano una casa.
La soddisfazione è tanta. Ma rimane un interrogativo che da un po’ ci tormenta. Questa famiglia con pacchi di documenti, visite, telefonate, non ha ottenuto niente. Poi basta una giornata tra web e due ore e mezza di trasmissione e la situazione si sblocca. Una scorciatoia che - ripetiamolo - ci ha dato soddisfazione. Ma anche un po’ di inquietudine. Possibile che per ottenere qualcosa ci vogliano i media? Forse dovremmo provare un po’ di disagio per aver usato la TV e il web per aiutare questa famiglia sfortunata. A pensarci bene, però, il disagio, e la vergogna, lo dovrebbero provare più loro, le istituzioni e chi le rappresenta. Per non aver risolto il problema finché non siamo arrivati noi.