Milano

Coronavirus, farsi assumere per girare Milano in bici: ecco i rider per noia

Francesco Floris

“Sono così annoiato che mi sono fatto assumere da Glovo per fare qualcosa”: a Milano nei giorni del Coronavirus succede anche questo

Quelli che si fanno assumere per girare Milano in bicicletta: ecco i "rider per noia"

“Sono così annoiato che mi sono fatto assumere da Glovo per fare qualcosa”. #iononrestoacasa, si potrebbe dire. Contraddizioni della crisi. Mentre l'autoproclamato sindacato di base dei fattorini “Deliverance Milano” invita i lavoratori a scioperare e i clienti a boicottare il servizio denunciando rischi sanitari e mancanza di tutele, c'è chi usa la flotta di Glovo, Just Eat, Uber Eats, Deliveroo e tutti gli altri come uno strumento di libertà. Non prendono ordini o ne prendono giusto un paio “di rappresentanza”. In compenso possono circolare liberamente a Milano al riparo da forze dell'ordine, autocertificazioni che mutano – come un virus –, delazione di massa contro runner e proprietari di cani. “Impossibile prendere un ordine, ce ne sono in giro troppi. Ma mi prenoto il turno e faccio un bel giro in bici. Con lo zaino di Glovo sei invisibile ai posti di blocco” ci racconta uno di loro.

È una sparata dell'anonimo “rider per un giorno”? Non pare proprio. “Quando sono andato alla loro sede operativa per ritirare il mio kit e iniziare, quelli in fila, ovvero le nuove reclute, erano tutti italiani”, dice e allega un elenco di mail inviato dalla società per andare a ritirare il kit in zona Bocconi-Ravizza. Per errore gli indirizzi mail dei nuovi lavoratori sono stati messi in copia conoscenza invece che in copia nascosta. E così dalle caselle di posta scopriamo che uno su due è italiano. Qualcuno ne avrà bisogno per far fronte alle ristrettezze economiche del momento. Altri no e sono lì “per noia”. La percentuale di italiani è comunque un'anomalia. Perché se l'esperienza quotidiana ci insegna come la manodopera sia quasi tutta straniera, c'è anche chi questo dato lo ha quantificato e messo nero su bianco. Per esempio un gruppo di lavoro coordinato dai professori Paolo Natale e Luciano Fasano dell'Università degli Studi di Milano. Che ha condotto un ricerca sulle condizioni lavorative dei fattorini del cibo e non solo pubblicando i risultati lo scorso marzo sulla rivista “Diritti Lavoro Europa”, nei cui comitati scientifici e d'onore siedono importanti magistrati o ex magistrati di Cassazione, della Corte Costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo: 218 interviste faccia a faccia, da 8 minuti l'una, effettuate fra il 15 dicembre 2018 e il 15 gennaio 2019 a Milano nelle zone di viale Monza, Porta Venezia, Stazione Centrale, Darsena-Navigli, Porta Romana, Porta Genova, Cinque Giornate e Parco Sempione. Dalle interviste emerge come il 29 per cento dei rider di Milano lavori 50 ore a settimana e un altro 25 per cento di loro tra le 40 e le 49 ore. Ritmi duri. Che gli italiani “non vogliono più fare”. Chissà. Fatto sta che il 61 per cento dei rider milanesi intervistati non ha la cittadinanza italiana e solo dall'Africa arrivano il 40 per cento del totale, davanti a Italia (34 per cento), Asia (15 per cento), resto d'Europa (6 per cento), America Latina (5 per cento), quasi tutti con un permesso di soggiorno anche se un dieci per cento di loro preferisce non rispondere alla domanda.

“Quando sono arrivato a ritirare il kit eravamo in 4, tutti italiani”. A proposito di kit, le nuove disposizioni aziendali prevedono mascherine e guanti. Una mascherina e un paio di guanti. “Devi passare ogni volta a ritirarli, a me hanno dato solo una mascherina”. Per clienti e ristoranti che aderiscono non deve essere un problema perché i big del delivery si sono già attrezzati. Per esempio Just Eat ha lanciato nuovi e vecchi hashtag di queste settimane: #lavoriamoinsieme, dedicato ai ristoratori, per condividere “un documento di linee guida per l’attività di food delivery, con l’obiettivo di ricordare tutte le misure precauzionali e le norme igienico-sanitarie specifiche per le consegne a domicilio”.

Ma sopratutto #lontanimavicini. “Al fine di evitare qualunque contatto – ha comunicato la società alla propria utenza – in fase di consegna, abbiamo attivato per tutti gli ordini pagati con carta di credito o PayPal la modalità di Consegna Contactless, che prevede la consegna del cibo mantenendo la distanza interpersonale di almeno un metro e senza contatti diretti. Ti suggeriamo di comunicare al rider, al momento della consegna, eventuali richieste particolari, come la consegna al piano o nell'androne del palazzo o la richiesta di appoggiare l’ordine davanti a te, affinché tu lo possa ritirare a distanza di sicurezza”. Alcune domande interrogano i profani: se il cibo arriva freddo è colpa della temperatura nell'androne del palazzo? Oppure dei rider “per noia” che hanno allungato la strada?







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