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Milano
Renzi arriva a Milano e parte il teatro delle cinque cose che non ha capito
Matteo Renzi

di Fabio Massa

Matteo Renzi torna a Milano otto mesi dopo la campagna elettorale. Il sindaco Sala ovviamente non c'è. Di gente, abbastanza: circa 800 persone, anche perché la posizione scelta in Darsena di più non ne potrebbe contenere, anche volendo. L'ex premier fa lo show, fa il pieno di applausi. Eppure è il Renzi istrione, quello che non ha compreso ancora dov'è, e in che periodo storico sta vivendo, con chi sta parlando, come. Qui sotto, le cinque cose che non ha capito. Secondo noi.

DOVE/ Matteo Renzi è a Milano. Milano. Milano amministrata dalla sinistra riformista, da Beppe Sala, che riesce a tenere insieme uno come Pierfrancesco Majorino con i renziani e gli ex renziani di osservanza (passata). Milano che ha una sua dignità, e che nella narrazione del leader viene ridotta a due accenni scarni su Expo, Human Technopole... Insomma, solo dove Renzi c'entra qualcosa. Tra l'altro non rendendo mai merito a Beppe Sala, che la sua battaglia contro Salvini la sta conducendo. Il solito Renzi: non depone l'ascia di guerra, e la butta sul personale. "Quando abbiamo personalizzato siamo arrivati a oltre il 40 per cento - urla dal palco - Quando abbiamo spersonalizzato siamo calati al 19..." I fan applaudono. I fan.

CHI/ Ecco appunto, chi ha di fronte Matteo Renzi? Le beghe congressuali, la sconfitta di marzo dopo la battaglia lunga e faticosa sul referendum, l'emergere di Salvini, il vuoto pneumatico di Boldrini, il complottare di D'Alema, ha creato a Milano un gruppo culturale ben definito: i renziani pasdaran. Quelli che urlano a tutti i costi "Matteo non ci lasciare". Che ridono di fronte alle battute su "Toninulla" e "Fango Quotidiano" (esattamente gli stessi nomignoli che usa Travaglio, ma a parti invertite). Quelli che non gliene frega nulla di proposte politiche praticamente, l'importante è farsi il selfie. Sono 800, a Milano. Sono solo quelli: e il popolo non c'è. E pure gli altri, quelli appartenenti all'intellighenzia milanese, alla buona borghesia, all'elite, non ci sono. Eppure erano renziani. Hanno preferito andare a festeggiare gli ex sindaci Tognoli, Pillitteri, Albertini, Pisapia, alle Stelline. Qualcosa vorrà pur dire.

CHE COSA/ Mentre Renzi sta sfottendo ferocemente Toninelli, passa uno sull'altra sponda della Darsena e urla, ad altissima voce: "Matteo Renzi, vai a lavorareeeee!". Quel che è certo, è che ad ascoltare l'ultimo leader che la sinistra ha con un minimo di carisma (questo bisogna riconoscerlo), l'ultimo leader che dice qualcosa chiaramente, è che dice... pochino. Pensiamo agli ultimi? Sì, e come? Qual è la politica sul lavoro, economica, sull'immigrazione, sul partito, sul pianeta terra e l'orbe terraqueo? Un leader non dovrebbe offrire un sogno? Non dovrebbe offrire una prospettiva? O almeno una linea di resistenza, per dirla con il "partigiano" Carlo Cerami. Invece c'è poco, o nulla. Un messaggio qualunque al Nord produttivo, alla Milano che potrebbe essere frenata dai lacci e lacciuoli del governo, un discorso sulla giustizia magari, sulle riforme che reputa sbagliate. Zero. Tante battute, però. "Renzi che fa Crozza" non è un momento della serata, è una sintesi peraltro analitica del comizio.

COME/ Messaggio vuotino, ma la comunicazione... Ecco, appunto, la comunicazione. Matteo Renzi ne era un maestro. Dove è finita quella maestria? Dal palco attacca il sistema delle fake news di Salvini e Di Maio. Peccato che "la bestia", come Morisi (che non è un politico, ma un tecnico) definisce il sistema che usa la Lega per diffondere le notizie su Facebook, non funziona solo con le fake news. Funziona genericamente con qualunque cosa: è una pompa che mette in circolo quello che ci metti dentro. Ma se non hai il motore che spinga, difficile che un messaggio qualunque, anche se in sedicesimi rispetto al primo Renzi, possa passare. Il Pd continua a fare grandi dibattiti interni ma non ha ancora capito una cosa elementare: da Movimento 5 Stelle e Lega non dovrà copiare ovviamente le bufale montate ad arte e le strumentalizzazioni, ma di sicuro il sistema di diffusione delle notizie. Com'è che quelli fanno milioni di condivisioni e in Darsena la diffusione del messaggio renziano è limitata a quelle poche migliaia tra presenti e passaparola? Urge consultare più che grandi esperti della comunicazione politica, qualche buon gruppo di ingegneri informatici.

QUANDO/ Renzi arriva a Milano due ore e mezza dopo Matteo Salvini intervistato da Enrico Mentana (organizzazione Swg). Il paragone tra le sale è impietoso. Arriva dopo qualche settimana rispetto alla manifestazione contro Orban: il paragone è impietoso. Arriva qualche mese prima del congresso, e non dice quando. Arriva qualche mese dopo le elezioni, e non dice come si è arrivati alla sconfitta. Arriva, e poi se ne va, lasciando sul posto i renzianissimi Eugenio Comincini, Roberto Cociancich, l'aspirante segretario regionale Simona Malpezzi (postilla velenosa: Lorenzo Guerini lo sa?), il deputato Mattia Mor. Se ne va. Chissà quando tornerà.

fabio.massa@affaritaliani.it

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