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Milano
Resca Confimprese: "Cresce il franchising made in Italy all’estero"
Retail e franchising

Osservando Usa e Italia da vicino, sia pure nella differenza che separa i due Paesi, emerge che il franchising americano va a gonfie vele. La pipeline per il 2018 stima un fatturato di 757 miliardi di dollari in crescita del 6,2% e 759mila aperture in aumento dell’1,9% rispetto al 2017 (dati IFA – International Franchisee Association). Il 2018 è un anno molto favorevole per gli investimenti americani nel franchising, anche grazie alle normative più elastiche messe a punto dall’attuale amministrazione repubblicana.

Quanto ai retailer italiani interessati allo sviluppo all’estero, l’annuale Osservatorio Confimprese Estero segnala la tenuta del comparto, che è in crescita del 20% rispetto al 2017 (230 aperture) con 270 nuovi punti vendita e una netta predominanza delle aziende food e fashion. Sui Paesi di destinazione il food privilegia Europa e Usa, il fashion Russia e Medio Oriente. Tra le nostre insegne più rappresentative che hanno scelto gli Stati Uniti per esportare il loro format troviamo illycaffè, che continua la sua marcia sui mercati esteri e in Usa ne apre 5, Rossopomodoro che sbarcherà a Las Vegas con Eataly, Natuzzi che ha in programma circa 60 aperture tra Usa, Cina e Brasile come mercati prioritari di sviluppo. Anche Cioccolati Italiani e L’Erbolario hanno dichiarato l’interesse per raggiungere gli Usa. 

«Occorre tenere presente - spiega Mario Resca, presidente Confimprese – che negli Usa la normativa federale e statale sul franchising è imperativa e si applica a ogni soggetto che opera sul territorio, indipendentemente dalla nazionalità. Rispetto a quanto previsto dalla nostra legge 129/2004 sul franchising, Negli Usa il franchise disclosure document (Fdd) regolamenta in maniera più dettagliata le informazioni che devono essere fornite all’aspirante franchisee: devono essere indicate, per esempio, le advertising fee o le riduzioni di prezzo applicate dai fornitori ai franchisee». La violazione degli obblighi di disclosure è pesantemente sanzionata ed è essenziale predisporre accuratamente l’Fdd per evitare rischi legali. Tra i 23 punti contenuti nell’Fdd si segnalano gli investimenti iniziali richiesti al franchisee, i bilanci del franchisor, la storia finanziaria ed eventuali contenziosi del franchisor, diritti e obblighi delle parti nel contratto di franchising.

Ai retailer italiani che intendono sbarcare negli Usa gli esperti suggeriscono di testare il mercato con uno store diretto, aprire il primo franchise in un’area limitata all’interno di uno stato ed estendere la rete lentamente. In tutti i casi di direct franchising, sebbene non sia indispensabile per il franchisor italiano avere una propria sede in Usa, è tuttavia necessario costituire nello stato target una società controllata (subsidiary), anche perché è necessario che i bilanci siano redatti in conformità ai principi GAAP (Generally Accepted Accounting Principles). Nel caso, invece, di indirect franchising (Master Franchising) il franchisor concede a un soggetto (Master franchisee) il diritto di stipulare contratti di sub-franchising in esclusiva in
una determinata area con gli affiliati (sub-franchisee), che hanno rapporti diretti solo con il MF, salvo eccezioni previste nel contratto. Il Master franchising generalmente percepisce dal franchisor una fee iniziale di importo varabile a seconda della grandezza del territorio concesso in esclusiva e una franchise fee continuativa, spesso calcolata in percentuale sul fatturato del MF.

Questi i vantaggi per il franchisor nel ricorrere al MF: rapida espansione della rete estera; minori investimenti; adattamento alle peculiarità del mercato locale; condivisione del rischio con il MF. Gli svantaggi per il franchisor nel ricorrere al MF sono un minore controllo sui sub- franchisee; difficoltà nel selezionare il MF; difficoltà di training al MF e ai sub-franchisee; difficoltà di individuare il giusto territorio.

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