Resta invoca la meritocrazia al Politecnico: ha ragione, basta con gli alibi
Il rettore chiede che le università siano ricompensate per il lavoro fatto. Cosa che non accade in nome del diritto allo studio. La nuova puntata di Pinocchio.
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di Fabio Massa
C'era una volta il merito. Se guardiamo al titolo che scaturisce dalla frase di Ferruccio Resta, rettore del Politecnico, ovvero "Niente più alibi, premiare il merito nelle università", questa si potrebbe andare a inserire direttamente tra "il nuoto è uno sport completo", "non ci sono più le mezze stagioni" e "mamma mi ha fatto uscire il sangue dal naso". Invece, quel che dice Resta è sacrosanto, e pur essendo scontato peggio che la mozzarella di bufala in scadenza al supermercato, è ampiamente inattuato in Italia. Le università, come del resto le persone, non sono tutte uguali: ci sono le eccellenze e ci sono dove si insegna male, e poco. Il Politecnico è una di quelle dove si insegna bene, eccome. Una delle eccellenze italiane, e ovviamente a Resta infastidisce avere dalle istituzioni le stesse attenzioni e soprattutto gli stessi soldi di chi invece, per dirla con metafora scolastica, scalda il banco. E fin qui, siamo davvero alla banalità del male, nel senso di fare male, di fare le cose male. Vabbè. Poi però il mondo dell'università un po' di esame di coscienza se lo dovrebbe fare. Perché se le cose non funzionano, in tanti atenei, non è solo colpa "della politica". Come se la politica avesse dinamiche assurde e incomprensibili. E' forse colpa della politica se ci sono docenti di ruolo che insegnano male, e poco? E' forse colpa della politica se ci sono aulette ricevimenti affollate, con ancora i bigliettini come negli anni 90, in giro per l'Italia, mentre mia figlia alle elementari ha il registro elettronico? Ora, la verità è che le università, non tutte ovviamente, sono un moloch. E sono un posto dove la gente infratta e briga le proprie meschinità come la politica, come l'industria, come il giornalismo. Come tutti i mondi. Il problema è che negli altri mondi si alza il ditino: fate male, dovete fare meglio. Nel mondo dell'università invece il ditino lo si alza se qualcuno prende lo scudiscio per darlo sul sedere di chi non si muove (e sto parlando dei professori, non degli alunni). E la frase pronunciata è sempre la stessa: diritto allo studio. Diritto de che? Fosse per me, visto che per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno, inizierei a mettere il badge ai professori, e inizierei a pretendere che facessero almeno 30 ore a settimana. La produttività esiste anche là: non che si sfruttano i ricercatori nel nome di un diritto allo studio che non dovrebbe essere privilegio per i docenti, ma opportunità per gli studenti.
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