Ripartire dal Modello Milano?
Milano sia modello da studiare ed imitare e non da calare su realtà diverse e sia libera di continuare ad innovare partendo da sé stessa anche in politica
di Franco D’Alfonso
Affrontare una situazione nuova con rituali politici vecchi non porterà lontano: ne abbiamo avuto prova in questi mesi di conclamata crisi di sistema politico, durante i quali non si è nemmeno tentato di abbozzare una analisi dei tanti punti di crisi del sistema socio-politico nel quale siamo inseriti. In un precedente articolo ne indicavo quattro di questi punti , la forza straordinaria del potere economico illegale, l’inadeguatezza delle istituzioni italiane e dell’organizzazione delle democrazie europee, la curva demografica e l’impatto della tecnologia sul lavoro e sulla vita quotidiana , tutti temi che non hanno fatto la loro comparsa nemmeno nei codicilli dei famosi contratti tedeschi, qualsiasi fossero i potenziali contraenti. Men che meno si è prestata attenzione al quadro geopolitico che proprio in queste settimane presenta almeno due questioni in discussione, la definizione dei nuovi rapporti nell’Unione Europea e le scelte di Trump su dazi ed Iran , destinate ad impattare velocemente e, temo, rovinosamente sulla nostra situazione ben più delle pantomime cui il nostro Presidente Mattarella ha dovuto assistere impassibile.
Anche restando sul versante strettamente di brevissimo periodo, non ho visto nessuna analisi seria sul voto del 4 marzo, che pure ha evidenziato per l’ennesima volta l’esistenza di “due Italie “ che non si parlano e divergono.
Il successo del M5stelle al Sud è l’effetto dell’ennesimo fallimento delle classi dirigenti locali nel loro rapporto con i partiti “nazionali”. Il Sud si è rivolto a Grillo dopo aver plebiscitato Berlusconi ed il Pd quando si trovavano alternativamente all’opposizione, segno evidente che a determinare il trionfo a 5stelle è stata la sfiducia nei vecchi protagonisti nazionali più che la speranza nel nuovo.
Il modello dei “capipopolo”, si chiamino Musumeci in Sicilia o Toma in Molise, regge ancora a livello locale, anche se non riescono più a garantire un rapporto utile con i partiti “nazionali” tradizionali, il centrodestra berlusconiano e il Pd, come nell’ultimo ventennio quando la vittoria di uno dei due “poli” è stata determinata dal voto dei “swinging State” Campania e Sicilia.
Il tentativo è quello solito, di cambiare l’insegna politica in franchising e continuare con la vecchia massima del Gattopardo, “cambiare tutto perché niente cambi”.
Situazione completamente diversa al Nord, dove la credibilità della Lega di “governo” di Zaia e Maroni permette al centrodestra di mantenere lo zoccolo di consensi autonomisti sommandoli a quelli indotti dall’investimento sulla paura.
Né meno diverse sono le situazioni economiche e sociali: il lavoro manca al sud, è di cattiva qualità al nord; la qualità vita ok nord male sud; al nord esistono quei collegamenti reali con la rete di città europee che al Sud sono limitati a poche tappe turistiche.
Le classi dirigenti del Nord, quella di Milano e della Lombardia in particolare, si sono dimostrate adeguate al compito e le istituzioni godono tutto sommato di buona salute : ma il tempo sta per scadere anche per Milano e per il Nord, il famigerato “combinato disposto” di leggi e regolamenti nazionali sta progressivamente paralizzando anche i Comuni e le Regioni del Nord, che presto si troveranno privi di strumenti anche per garantire l’ordinaria amministrazione.
Dobbiamo avere il coraggio di dire chiaramente che ci vogliono soluzioni diverse per stadi diversi di sviluppo e di crisi.
Prima delle istituzioni, è la politica che deve riorganizzare il proprio modo di pensare, di confrontarsi, di esserci. E quindi : Partiti federali prima delle istituzioni federali.
M5 e Lega sono i federalisti della paura e del populismo, Pd 2.0 in versione renziana e Forza Italia il centralismo che ha chiuso una fase decennale di prevalenza, con risultati poco brillanti. E’ tempo che a muoversi anche in campo politico siano i municipalisti della tradizione socialista riformista, il grande filone del federalismo lombardo laico e cattolico.
Sappiamo, come ci ricorda il prof. Cacciari, che le riforme, socialdemocratiche o liberali che siano, sono possibili solo in ambito sovrano. La scelta di sovranismo nazionalista, con conseguente spostamento su posizioni di destra estrema, anche da parte della Lega di Salvini è una soluzione apparente per l’oggi ma con la testa e gli occhi puntati sul passato, un ricordo di un tempo “felice” in gran parte immaginario ma che viene fatto credere essere meglio dell’oggi di sofferenza e soprattutto del futuro a tinte fosche tratteggiato dai populisti di tutta Europa.
La sovranità da ritrovare è quella locale, da conquistare è quella europea. E’ l’ Europa e non lo Stato-nazione che non è più adeguato alla realtà l’unica identità da ritrovare e la democrazia da costruire. L’unica speranza per arrivare è muoversi a gruppi di velocità e maturità diverse, se andiamo a velocità dell’ ultimo vagone vince Orban che tiene una faccia in Ue ed una a casa sua.
Allo stesso modo l’unica speranza per mantenere l’Italia intera in Europa sono due velocità democratiche interne. La partecipazione esistente nelle realtà urbane come Milano deve essere declinata diversamente nelle aree urbane del Sud, che hanno caratteristiche completamente differenti.
Concretamente: Milano sia modello da studiare ed imitare e non da calare su realtà diverse e sia libera di continuare ad innovare partendo da sé stessa anche in politica. Partiamo da Milano vuol dire questo, per noi: niente autocompiacimento inutile, ragioniamo e lavoriamo sulle nostre tante manchevolezze, errori, carenze.
Due passaggi prossimi da sviluppare : avviare un grande momento di confronto sui propri successi ma soprattutto sui propri limiti ; sviluppare una piattaforma di richieste di autonomia possibile, utilizzando in prima istanza il “canale” del negoziato avviato da Regione Lombardia ex art 117 Cost.
Ripropongo, a questo proposito, un possibile strumento: l’avvio di un grande “congresso della città”, un momento che deve partire dalla maggioranza che governa da sette anni e che può presentare a sé stessa ed all’intera cittadinanza attiva un bilancio politico ed amministrativo di questi anni, ma soprattutto le idee, le opzioni e le scelte strategiche future, magari formalizzandole in un documento iniziale che potremmo chiamare le “Tesi di Milano” . Un modo per avviare e non certo per concludere un dibattito , una maniera di sollecitare ancora una volta l’impegno diretto e personale di quella cittadinanza attiva, di quel tessuto di associazioni e reti di impegno che costituiscono la forza di questa città.
Nella chiarezza degli obiettivi è reiterabile e realizzabile quell’unità di intenti e quella collaborazione fra diverse forze politiche basata sulla convergenza di sforzi ed intenti e non sulla spartizione del potere. Una collaborazione fra diversi che restano in competizione elettorale costante e mantengano diversità profonde e reali su principi, ma che sulle grandi scelte mantengono almeno la capacità di confrontarsi apertamente e non solo quella di scontrarsi su quattro parole d’ordine palindrome prive di effettivo rapporto con la realtà.
Auspico la nascita di un “partito della città”, degli interessi della città che si fondi su una caratteristica comune a tutti gli schieramenti politici ed associativi : il mantenersi a distanza dalle divisioni e dalle dinamiche dei partiti “nazionali” ed al contempo il porsi come esempio “ambrosiano” in tutti i contesti, sapendo che la “vittoria” politica che cerchiamo non è quella di conquiste “etniche” dei posti di potere, ma il confermare il detto di Salvemini “ quel che pensa Milano oggi, sarà quello che penserà e farà l’Italia intera domani”