Milano
San Siro, il nuovo stadio non si farà: tramonto del sogno rosso-neroazzurro
Il nuovo Meazza? Non si farà. Troppi i problemi sulla scacchiera milanese. L'ultimo proiettile: il certificato di idoneità statica della “Scala del Calcio”
San Siro, il nuovo stadio non si farà: tramonto del sogno rosso-neroazzurro
La politica non ne parla. Nemmeno nell'anno delle elezioni comunali di Milano. Il nuovo Meazza? Non si farà. Troppi i problemi sulla scacchiera milanese. L'iter procede fra manfrine burocratiche e silenzi della politica, con Milan e Inter che, come richiesto, hanno integrato al Comune di Milano la documentazione consegnando anche i nuovi documenti del piano economico finanziario per la realizzazione del progetto. Melina a centrocampo. I colpi a segno, per ora, li mettono solo i cosiddetti “comitati del no” – che in realtà vogliono la ristrutturazione del Meazza e hanno presentato un progetto – che da due anni mettono i bastoni fra le ruote ai due club. L'ultimo proiettile? Il certificato di idoneità statica della “Scala del Calcio” per il decennio 2020-2030. Firmato da chi? Dall'ingegner Antonella Antonelli, Responsabile della progettazione strutturale di Metropolitana Milanese, la società in house del Comune.Tradotto: San Siro gode di ottima salute, così cade un'altra delle leve su cui premevano le squadre.
Oltre alla battaglia delle carte bollate c'è di più. A pesare sulle scelte tanti fattori. Il primo, principale: se fino a pochi mesi fa era la proprietà del Milan a destare problemi per l’assenza di trasparenza totale – ma una solidità finanziaria invidiabile nel calcio italiano – ora sono i cugini primi in classifica in serie A ma che navigano in pessime acque. Suning sempre più lontano. La lotta senza quartiere di Pechino ai capitali cinesi che vanno all’estero. L'interessamento dei Fondi come Bc Partners. Con chi tratterà quindi la città per dare un nuovo stadio a Milano? E sarà condiviso o a quel punto ogni club vorrà il suo di proprietà come ai tempi dei progetti, ancora nei cassetti, sul Portello, a Rogoredo, a Scalo Farini, a Sesto?
Sullo sfondo c'è il fallimento della cosiddetta “Legge Stadi”. Sei anni sono passati dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale. Risultati? Nemmeno una pietra posata in tutta Italia. Da quando è stata approvata nel 2014, con i renziani a rimboccarsi le maniche anche negli anni successivi per accelerare il processo di rinnovo infrastrutturale del calcio italiano attirando investimenti esteri, in realtà non è partito un progetto che sia uno. Milano? Vedi sopra. Roma? Discussioni ancora sulla scelta delle aree. Cagliari? Fermo. Come anche L'Artemio Franchi di Firenze, con la proprietà americana della Fiorentina, il magnate delle telecomunicazioni Commisso, che sembra essersi infilato in un cul de sac. Anche loro accerchiati dai comitati in difesa dello stadio. La loro parola d'ordine? Sono pezzi di storia culturale e architettonica del Paese e vanno salvati. E per farlo sono disposti ad andare fino al Tar, come hanno fatto i Verdi, sollecitare pareri della Soprintendenza sul valore storico-culturale-architettonico anche di piccoli muretti o “archivi” nascosti nelle tribune degli stadi. Si è andati anche alla commissione tecnico-consultiva del Ministero dei Beni culturali presieduta da Tommaso Montanari. Che dà ragione ai comitati di Milano, almeno in parte. Alla Direttrice generale del Mibact, Federica Galloni, non interessa e passa sopra il parere delle commissione guidata dallo storico dell’arte nemico di Vittorio Sgarbi. Piovono pietre. Perché tutti subito a scavare e tirare fuori l’antica amicizia della Galloni con Paolo Berlusconi, fratello dell’anima (e il portafoglio) rossonero per 30 anni. Un altro modo di mandare la palla in tribuna, aspettando il triplice fischio.