Milano

Fdi non chiude la Scala agli stranieri: ”Conta di più il curriculum"

Eleonora Bufoli

Iniziato il dibattito sul dopo-Meyer al Teatro alla Scala. Per Bestetti (FdI) la scelta non deve essere "questione di nazionalità ma di curriculum". Intervista

Fdi non chiude la Scala a un Sovrintendente straniero. Bestetti: "Conta di più il curriculum"

"Non ritengo che l’aspetto della nazionalità debba essere un elemento preminente per assumere una decisione di questo tipo". Secondo Marco Bestetti, consigliere regionale Lombardia e consigliere comunale di Milano del gruppo Fratelli d’Italia, intervistato da Affaritaliani.it Milano, il teatro alla Scala non dovrebbe avere necessariamente un Sovrintendente e direttore artistico italiano. Di origini francesi, ma da oltre un trentennio in Italia, è l’attuale Sovrintendente e direttore artistico Dominique Meyer. Il limite di età massima per i vertici delle fondazioni lirico-sinfoniche prevede che non può ricoprire l’incarico chi ha compiuto i 70 anni, età che verrà raggiunta nell’agosto del 2025 da Meyer. E di fatto il dibattito sul post-Meyer è già partito. L'intervista.

Il sindaco Sala ha ipotizzato la possibilità di prorogare l’incarico a Meyer qualora non si riuscisse a trovare un sostituto e dopo aver consultato il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. Cosa ne pensa?

Si tratta di valutazioni che competono al ministro Sangiuliano quindi siamo sicuri che le riflessioni del ministero dei beni culturali effettuerà in merito a questa nomina saranno le migliori per il futuro artistico del teatro alla Scala.

Lo scorso dicembre, durante l’inaugurazione a Roma della fiera della piccola e media editoria l'allora sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi aveva detto che i luoghi simbolo della cultura italiana, in particolare il teatro alla Scala e gli Uffizi, meritavano direttori di origine italiana, "visto che al Louvre non ci sono direttori italiani". Secondo lei per ruoli di rilievo nei luoghi simbolo della cultura italiana nel mondo si dovrebbe guardare solo al merito e alla carriera o anche alla provenienza?

Il teatro alla Scala è un teatro italiano ma con una vocazione evidentemente internazionale. È il simbolo della cultura, il simbolo dell’opera in tutto il mondo. Quindi pur nella consapevolezza che ci sarebbero diversi profili di nazionalità italiana assolutamente all’altezza, non ne farei una questione di nazionalità ma esclusivamente di curricula, di capacità professionali alle quali credo che il teatro dell’opera più famoso del mondo debba attenersi. Quindi professionalità, competenza, e se questo coinciderà con un profilo italiano ovviamente sarà un valore aggiunto ulteriore di cui saremo onorati, ma non ritengo che l’aspetto della nazionalità debba essere un elemento preminente per assumere una decisione di questo tipo.

Il teatro alla Scala ha registrato un incremento di abbonamenti anche tra i più giovani. Eppure, il 7 dicembre, il giorno della Prima, ci sono state le proteste dei lavoratori. Elisabetta Piccolotti dell'Alleanza Verdi Sinistra ha denunciato che “a fronte di un utile di 700mila euro, la Scala costringe i lavoratori, spesso giovani, a condizioni di lavoro inaccettabili e all'estrema precarietà con contratti a chiamata di pochi mesi. Un fatto tanto più grave vista la partecipazione pubblica al bilancio del Teatro”. Cosa ne pensa? Il Governo sta facendo abbastanza?

È sicuramente di grande interesse per il governo garantire le migliori condizioni di lavoro possibili, anche in ragione proprio del valore del teatro alla Scala in Italia e nel mondo. Sono convinto degli sforzi di tutti i soggetti coinvolti affinché questo possa avvenire. In alcuni casi ci sono effettivamente delle condizioni di precarietà che occorre superare e confido con senso di responsabilità nella massima attenzione da parte di tutti perché queste situazioni si possano superare, offrire migliori condizioni a chi contribuisce al ruolo che la Scala ha nel mondo anche dal punto di vista economico, per riconoscere loro il valore che rappresentano.

Crede che, come emerso dalle proteste per il direttore del Teatro di Roma De Fusco, la sinistra abbia monopolizzato in questi anni i luoghi della cultura?

È di tutta evidenza che da anni la sinistra abbia considerato e consideri alcuni ambiti, tra cui quello culturale, di propria esclusiva competenza e responsabilità, quasi monopolistica. Sulla base di un malcelato e inesistente complesso di superiorità che è sempre stato smentito dalla realtà dei fatti ogni qualvolta, purtroppo ancora molto poche, dei professionisti che hanno una base valoriale più vicina alle sensibilità del centrodestra abbiano potuto dimostrare le proprie competenze e capacità. Si tratta di una presunzione di superiorità che non esiste e che credo si debba superare per garantire anche ad altre professionalità che vengono da altre esperienze e sensibilità di poter dimostrare il loro valore.







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