Milano
Terrorismo islamico, la doppia diga del "sistema Italia": prevenzione strategica e musulmani integrati
L'arresto a Milano di una 19enne potenziale reclutatrice di jihadisti riapre il dibattito sulla permeabilità al terrorismo del nostro Paese. Che può contare tuttavia su antidoti assenti ad esempio in Francia
Terrorismo islamico, la doppia diga del "sistema Italia": prevenzione strategica e musulmani integrati
L’arresto a Milano di una 19enne kenyana identificata dalla Digos come potenziale reclutatrice di jihadisti pronti a recarsi in Medio Oriente e a sua volta intenta a programmare il passaggio in Turchia per poi recarsi in Siria ha alzato l’attenzione sulla recrudescenza del fenomeno terrorista in Italia. E offre l’occasione per mostrare due punti chiave della sicurezza pubblica nazionale. Da un lato, il fatto che dall’11 settembre 2001 ad oggi l’Italia non abbia mai avuto attentati terroristici sul suo suolo non significa che la Penisola non sia stata teatro di fenomeni di radicalizzazione islamista. Dall’altro, la presa di consapevolezza che il presidio italiano funziona, e soprattutto a livello di prevenzione ottiene risultati.
A favorire l’emersione di un “modello Italia” contribuiscono fattori strutturali e operativi. Il primo dato, sul tema del contrasto al radicalismo islamista, passa per un vantaggio congenito del nostro Paese rispetto a altri Stati come la Francia, ovvero il fatto che non si sono costituite aree “perdute alla Repubblica”, banlieue e ghetti di sradicamento etnico dove il radicalismo ha terreno fertile. Una comunità immigrata ben integrata, soprattutto grazie alla distribuzione in periferia e all’alto tasso di scolarizzazione e adesione al mercato del lavoro, offre indubbiamente il miglior presidio. La maggior stabilità delle periferie urbane rispetto – ad esempio – a Parigi o Londra fa il resto. Ma non è solo questo dato “demografico” il nodo della capacità d’azione dell’Italia. C’è anche un consolidato trend storico che offre utili lezioni operative.
L'Italia e l'esperienza della stagione stragista
L’Italia, infatti, ha alle spalle la dolorosa esperienza dell’assalto stragista allo Stato, condotto da estremisti rossi e neri tra gli Anni Sessanta e Ottanta, che ha contribuito a rafforzare le capacità operative di forze di polizia, Carabinieri, intelligence, magistratura e autorità. E soprattutto ha insegnato a rompere le gelosie di corpo e a fare squadra. Il Ministero dell’Interno ha il suo cuore pulsante delle strategie antiterrorismo nel Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa), una delle meno note e più strategiche creature che abitano gli abissi dello “Stato profondo” di Roma a presidio della Repubblica. Nel 2017 l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti parlava di questo apparato che riunisce servizi segreti e forze di polizia per favorire lo scambio informativo e aggiornare la lista dei luoghi sensibili e dei foreign fighters in un’ottica di consolidamento della prevenzione come di un esempio unico in Europa che può fare scuola. Il Casa ha il vantaggio di avere un legame diretto con la Direzione centrale della polizia di prevenzione, il cui direttore ne è anche presidente. La Dcpp è il nucleo operativo della Polizia di Stato dedicata all’antiterrorismo, e svolge a livello di coordinamento un’opera a cui è complementare quella di raccolta informazioni e presidio dell’Arma dei Carabinieri, soprattutto grazie al Gruppo di intervento speciale (Gis).
La complementarietà tra servizi segreti interni (Aisi) e esteri (Aise) fa il resto, contribuendo alla difesa in profondità dell’Italia secondo quel principio che alla repressione fa preferire la prevenzione, con la ricostruzione delle reti dei soggetti radicalizzati e il loro smantellamento come obiettivo. Il rapporto dell’organo di coordinamento dei servizi, il Dis, dà ogni anno i dati precisi dei soggetti fermati o espulsi per potenziale rischio terroristico: sono stati 79 nel 2022 e 77 nel 2023.
L'Islam italiano, primo presidio contro la radicalizzazione
Infine, un ruolo importante di sentinella e presidio è svolto dal mondo dell’Islam italiano, dato che le comunità musulmane nel nostro Paese hanno una lunga storia di intese che ne hanno contribuito a istituzionalizzare l’attività, mettendo fedeli e soggetti a rischio radicalizzazione tendenzialmente al sicuro dalle minacce di improvvisati predicatori che danno una visione distorta della religione maomettana. Gli atti giudiziari delle inchieste contro i sospetti terroristi ne danno sempre conto.
”Contro il terrorismo jihadista, dicono queste indagini, i nostri più preziosi alleati sono i musulmani normali, le decine di migliaia di famiglie che vivono in pace nel nostro Paese, vanno a pregare nelle moschee, fanno parte di una comunità islamica, conoscono chi la frequenta”, ha ricordato L’Espresso. Quando soggetti estremisti sono stati arrestati o espulsi, “gran parte delle segnalazioni sono arrivate da qui, soprattutto dalle moschee più grandi, ufficiali, con il minareto e tutte le autorizzazioni”. Una collaborazione, questa, emersa soprattutto nell’epoca dell’ascesa dello Stato Islamico nello scorso decennio ma che è perdurata nel tempo. A testimonianza del clima di cooperazione che serve per creare un sistema solido e resiliente di fronte a queste nuove minacce: non serve repressione fine a sé stessa, ma comprensione del fenomeno nella sua interezza. L’Italia, che nei decenni scorsi ha pagato un duro prezzo di sangue per l’escalation terrorista, questa cosa l’ha capito. Altri Paesi, come la vicina Francia funestata da molti sanguinosi attentati, molto meno.