Milano

“TOGHETher” per un futuro senza violenza contro le donne

di Beniamino Piantieri

In occasione del 25 novembre l’Associazione per Milano ha promosso un confronto sulle radici della violenza di genere

“TOGHETher” per un futuro senza violenza contro le donne

Da quanti punti di vista si può guardare alla tragedia quotidiana della violenza di genere? Allo stillicidio quotidiano del quale la parola “femminicidio” è solo la terribile punta di un iceberg di violenza che attraversa la nostra società?

Come, con espressione abusata, si è abituati a dire di fronte a ciò che facciamo fatica ad affrontare perché trapassa dolorosamente le nostre coscienze… “il fenomeno è complesso e di non facile soluzione”. Eppure, ineludibili si pongono due domande, semplici e definitive: “perché?”, “che fare?”.

A queste anzitutto hanno cercato di rispondere magistrati, economiste, operatrici dei centri antiviolenza, psicologhe, medici che sono intervenuti al convegno “TOGHETher. Insieme per un futuro senza violenza” promosso dall’Associazione per Milano in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne presso la Fondazione Corriere della Sera, con il sostegno Be Shaping the future, società leader nella consulenza al settore bancario e assicurativo per l’impiego della information technology e dell’applicazione dell’intelligenza artificiale al settore finanziario, che grazie alla sensibilità del suo Amministratore delegato Stefano Achermann, ha messo la gender equality al centro della propria responsabilità sociale di impresa.

L’ Associazione per Milano, impegnata da tempo in prima linea nella ricerca sui fenomeni di violenza di genere e sulla loro prevenzione -anzitutto attraverso il sostegno alle numerose realtà che a Milano, e non solo, offrono aiuto e percorsi di tutela e indipendenza per le donne- ha voluto segnare con questo appuntamento l’inizio di un percorso che avrà come prossima tappa l’8 marzo, quando verrà presentato uno studio multidisciplinare sul fenomeno.

Inevitabile partire dai numeri: 109 le donne uccise dall'inizio dell'anno nel nostro Paese, una ogni tre giorni. 89 al giorno sono le vittime di atti di violenza di genere (ovviamente un dato ampiamente inferiore a quello reale, poiché limitato alle denunce alle forze dell’ordine e ai casi segnalati dai centri antiviolenza).

Una scia tragica alla quale si deve sommare la drammatica contabilità di violenze psicologiche, umiliazioni e condizionamenti di ordine economico che limitano l’indipendenza delle donne.

Un calvario quotidiano che tante affrontano in solitudine, prigioniere della paura, spesso fino a quando è troppo tardi per evitare gli esiti più tragici. Proprio su questo aspetto si sono concentrati gli interventi, a partire da quello della Presidente dell’Associazione per Milano, Anna Maria Tarantola: “La prevenzione della violenza di genere -ha sottolineato l’ex Direttrice della Banca d’Italia ed ex Presidentessa della Rai- deve passare attraverso una necessaria e non più rinviabile opera educativa, interventi concreti di riduzione dell’economic gender gap, ma anche nella costruzione di reti sociali che vadano dalle associazioni ai centri di ascolto, dalle parrocchie ai consultori e che sappiano cogliere i segnali della violenza di genere e aiutino le donne a denunciare accompagnandole in percorsi di ricostruzione della propria indipendenza.”

Proprio l’indipendenza economica e le disuguaglianze di genere a livello di carriere e retribuzioni sono stati l’altro focus del dibattito. Come dimostrano i dati di più ricerche uno dei fattori che determina più drammaticamente la difficoltà per le donne vittime di violenza ad uscire dalla propria condizione è anzitutto la dipendenza economica dal partner, spesso per aver rinunciato alla carriera, o aver “scelto” il lavoro part-time per dedicarsi ai figli.

Su questo crinale si incrociano due dinamiche che tengono le donne vittime di violenza prigioniere nella propria condizione: da un lato una cultura dominante nel nostro paese che, per quanto possa essersi evoluta nel corso degli ultimi anni, vede ancora nelle donne le prime candidate ad occuparsi del carico dei lavori di cura parentale e domestici, dall’altro una struttura del mondo del lavoro -e un sistema del welfare- che le penalizza. Come ha sottolineato nel proprio intervento la professoressa Paola Profeta, ordinaria di Scienza delle finanze e di Gender and public policy all’Università Bocconi, “Sebbene su alcuni fronti l’Italia abbia fatto passi avanti, su quello del gender pay gap, delle pari opportunità di carriera e del diritto delle donne a poter realizzarsi professionalmente, il nostro paese sconta un ritardo drammatico. Se nell’indice complessivo della parità di genere l’Italia è al 63° posto su 153 paesi, per la parità economica e di opportunità lavorative scivoliamo al 114° e a livello europeo siamo penultimi.”

Al fondo rimane, come sottolineato da tutti gli interventi, una questione che attraversa longitudinalmente gli aspetti specifici, quella della cultura di una società che ancora troppe volte tollera stereotipi che oggettualizzano la donna e non stigmatizza il sessismo troppo diffuso, spesso subliminale ma per questo ancor più pericoloso. Una cultura che è necessario cambiare in profondità con un’azione che deve coinvolgere tutti. “Gli strumenti giuridici per combattere la violenza di genere esistono e sono stati resi sempre più efficaci nel corso di questi ultimi anni -ha sottolineato Fabio Roia, vice Presidente del Tribunale di Milano, per anni alla guida della Sezione penale tutela soggetti deboli del Palazzo di Giustizia- ma è necessario anzitutto che la società intera dica basta. Che alzi la voce contro lo sciame di violenza, odio, aggressività che corre sui social, contro il sessismo che caratterizza certo intrattenimento e persino una parte dell’informazione. Bisogna cambiare l’humus della società da cui trae nutrimento una misoginia di cui nei tribunali vediamo gli esiti più tragici, ma non la diffusione endemica.”

Una tragedia endemica, appunto, che interroga in radice il modello di relazione che troppi uomini portano nel proprio dna sentimentale -se così si può dire-: un'idea di possesso malamente travestita da amore, l'istinto ancestrale di  proprietà che non riesce a concepire la libertà e la vita del partner come bene assoluto. Perché -come ha concluso la Presidente di Associazione per Milano, Anna Maria Tarantola- “la violenza è un problema degli uomini, di cui sono vittime le donne.”

 

 







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