Milano

Tra luce e spiritualità: la riscoperta di Felice Carena alla Gallerie d'Italia

di Gian Piero Rabuffi

Le Gallerie d'Italia di Milano ospitano una ampia retrospettiva dedicata a Felice Carena, importante Maestro del Novecento italiano ingiustamente trascurato negli ultimi anni

Tra luce e spiritualità: la riscoperta di Felice Carena alla Gallerie d'Italia

La mostra che le Gallerie d'Italia di Milano dedicano a Felice Carena è la storia di una riscoperta. Prospettiva che merita di essere approfondita. Il nome di Carena infatti non necessita certo di presentazione tra gli appassionati del Ventesimo secolo italiano. Di cui è notoriamente uno dei protagonisti. Ma è pur vero che la sua figura è per molti versi finita un po' nelle retrovie. La sua memoria offuscata mentre altri esponenti dell'arte italiana hanno visto consolidare la propria posizione nella storia del Novecento.

Felice Carena pittore di luce e spiritualità

C'è chi sostiene - e non senza ragioni - che dopo la seconda guerra mondiale Carena abbia scontato quella che fu considerata la sua vicinanza al regime fascista, nei cui anni l'artista torinese godette di grandissima reputazione. Ma c'è una obiezione possibile: la stessa (parziale) damnatio memoriae non ha afflitto autori del calibro di Felice Casorati, Carlo Carrà, Mario Sironi. La rivalutazione dei quali è avvenuta in modo convinto e convincente. Il presidente emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, il giorno dell'inaugurazione della mostra, ha parlato di "riparazione di una grande ingiustizia". Che, come molte ingiustizie, è forse più figlia di indifferenza e distrazione piuttosto che di un vero e proprio disegno.


 

Ipotizziamo un motivo: Felice Carena nel corso della sua lunga carriera ha mantenuto tra i suoi  tratti più emblematici una certa natura sfuggente. Una inclinazione che è stata  fattore determinante in positivo nella sua capacità di attraversare epoche, stili e linguaggi. Dal Simbolismo degli inizi alle suggestioni Preraffaelite. Passando per la riscoperta della tradizione classica e rinascimentale alle meditazioni su Matisse e Cézanne. Sino al peculiare Espressionismo della sua maturità. In costante movimento, Carena non si è mai cristalizzato. Pagando lo scotto di non poter essere identificato come primario e conclamato Maestro di nessuna di queste stagioni, delle quali fu pur tuttavia sempre notevole interprete. La stessa attitudine la ritroviamo anche nel suo percorso di vita. Nelle città in cui operò lasciando profonde tracce. Torino, Firenze, Roma, Venezia. Tutte tappe importanti. Ma non è possibile identificare totalmente Carena con una sola di esse.


"I Viandanti"

I tratti fondanti dell'arte di Felice Carena vanno ricercati altrove. E più in profondità. Secondo Luca Massimo Barbero, curatore della mostra milanese assieme ad Elena Pontiggia, Virginia Baradel e Luigi Cavallo, essi sono la luce, la materia e la spiritualità. Una spiritualità che non è beninteso astratto trascendentismo per l'artista nato nel 1879. Ma che si radica nel suo credo cristiano. Autentico ma non bigotto né ostentato. Questa dunque la grazia che si diffonde in tutte le sue tele, costituendo di fatto il collante di tutte le sue esperienze pittoriche. "Nella mia vita ho amato due cose: la luce e i poveri", la frase che più lo rappresenta e che più viene citata.

Alle Gallerie d'Italia oltre mezzo secolo di attività artistica di Felice Carena

La mostra alle Gallerie d'Italia, inaugurata il 27 maggio e visitabile sino al 29 settembre, espone circa un centinaio di opere, divise in sei sezioni che abbracciano oltre sessanta anni di produzione. C'è il giovane Carena,  incerto sul suo futuro, la cui prima passione è ancora la poesia. Ma che ottiene ben presto risultati rimarchevoli con la pittura. La pennellata vibrante, mobile, liquida degli inizi è ancora debitrice dei maestri dell'Ottocento italiano. "Ritratto di signorina", del 1901, è una grande prova delle doti dell'artista, così come "La perla", sensuale e abbagliante nudo del 1908. La vocazione sociale a raccontare gli umili affiora in delicati ed emotivi interni come "Madre", del 1904, o nell'opera di grandi dimensioni e grandi ambizioni "I viandanti" (1908-1909). La tensione preraffaelita è invece evidente in dipinti come "Putti ebbri danzanti", del 1909. O nell'emblematica "Ofelia" del 1912, che rilegge l'iconica opera di Millais, realizzata sessanta anni prima, immergendola in un clima più compiutamente simbolista.


"Gualfarda"

La scoperta di Matisse, Cézanne e della grande tradizione italiana

Ma un significativo aggiornamento stilistico è già alle porte per Carena. Che "scopre" Matisse e Cézanne ed è in grado di realizzare nel 1914 un ritratto dall'esplosività cromatica come "Gualfarda". Nature morte, interni o scorci inusuali come quello con protagonista "La guardiana dei porci" raccontano di una nuova relazione di Carena con il colore. Puro, semplificato, squillante. Eppure appartengono ai medesimi anni - quelli che portano alla prima guerra mondiale - anche severissimi e austeri ritratti maschili come "Ritratto di sacerdote" o "Ritratto di Aldo Torossi". Lo studio di Cèzanne è tutto in paesaggi color ocra come "La corsa nei sacchi" e "Anticoli Corrado", che ci porta già oltre il termine del primo conflitto mondiale. E ad un nuovo Carena, evidentemente non insensibile al ritorno all'ordine che si diffonde in Italia. Si pensi ad opere dalle qualità classiche come "Quiete" (1921) o "Serenità" (1925). O ad intensi ritratti come quelli dedicati alla moglie Mariuccia. Anche il nudo è per Carena occasione di dialogo con i grandi maestri del passato. Lo si vede in opere di grandi dimensioni come "La scuola" (1928) o "Autoritratto nello studio" (1932).


"Deposizione"


Gli anni Trenta di "L'Estate" e della "Deposizione"

Gli anni Trenta regalano almeno due capolavori. Uno è "L'Estate (l'Amaca)", del 1933. Opera di cesura sotto molti punti di vista. Perchè con essa Carena si concede una digressione dall'impegno del confronto con la grande arte italiana della tradizione per una rappresentazione più francese, una sorta di omaggio impressionista. Un inno alla luce ed all'ariosità ma anche una celebrazione della vita che coglie una giovane donna in un momento di assoluta e beata quiete, mentre si lascia dondolare dolcemente sull'amaca all'ombra degli alberi. L'altro capolavoro è la "Deposizione". Tema sul quale l'artista tornerà più volte nella sua vita. La versione del 1938 non può non riportare alla memoria l'esempio di El Greco, recentemente visto proprio a Milano, a Palazzo Reale. La dignità monumentale delle figure che sostengono il corpo di Cristo riflette la profonda compartecipazione spirituale di Carena. E la convinzione che il sacrificio del figlio di Dio sia parte di un disegno più grande per l'umanità. Soggetti a carattere religioso o mitologico troveranno in questa stagione ampio spazio nella produzione del Maestro. E nel secondo dopoguerra si alterneranno a nature morte ed interni.


Felice Carena, i nudi

L'ultimo Felice Carena: espressionista visionario

Ad evolvere, nuovamente, è anche il linguaggio camaleontico dell'artista. Con le forme che si sfaldano a favore di una rappresentazione più libera e pienamente espressionista. Sono gli anni "dimenticati" di Carena. Il cui impegno e rigore morale tuttavia non abdicano. E lo racconta un'opera intensa ed enigmatica come "Sul mare", realizzata tra il 1956 ed il 1959. Il tratto tormentato ed espressivo si salda ad un soggetto dall'evidente simbolismo, quasi gauguiniano, come a ricongiungere le fila di mezzo secolo di indagine artistica. A dominare, naturalmente, è la suggestiva resa della luce. Quella del crepuscolo che inizia a confondere e rendere incerti i contorni ed allungare le ombre. L'ora del giudizio e della verità.








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