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Una riflessione sul modello Milano e sulla svolta del Pd. Commento
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Una riflessione sul modello Milano e sulla svolta del Pd. Commento

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Il modello Milano è finito? Sì, se mai c'è stato. Basta rendersene conto. Non è finito oggi. E' finito quando il Pd ha cambiato pelle e di fatto la dirigenza che ha costruito quel modello è passata a fare altro, in parte a Roma, in parte frammentandosi e ricomponendosi in altri ruoli su Milano. E' un fatto, e c'è poco da dire. Quel modello non solo proponeva un rinnovamento per la città dopo i tre mandati del centrodestra, ma era portato avanti da una compagine dirigente giovane, che si era formata alla scuola del partito dei Penati, dei Mirabelli, della Toia e di tanti altri, a volte alla loro scuola a volte contro la loro scuola, in aperto contrasto. Quell'esperienza, tutta insieme, aveva portato a primarie combattute per davvero, con in campo Giuliano Pisapia, Stefano Boeri e Dario Fo. Tre pesi massimi, tutti di innegabile ed enorme caratura morale. Il programma di quel Pd era pervasivo, spumeggiante, presidiava ogni ambito e proponeva una visione nuova. Non era dogmatico, ma programmatico. Il Pd stesso era diverso. Erano gli anni di Matteo Renzi, che a Milano aveva un seguito strepitoso, perché la voglia di riformismo era ai massimi. Quello era il modello Milano.

Il Modello Milano non c'è più, consumato dall'usura del tempo e dalla distanza da Roma

C'è ancora? Non direi. Matteo Renzi non c'è più. Beppe Sala è un sindaco indubitabilmente riformista, ma il Pd si è reso progressivamente sempre meno rilevante, più dogmatico, più preso da questioni identitarie piuttosto che cittadine. E il gruppo dirigente è andato progressivamente disperdendosi, e disperdendo la propria efficacia organizzativa. Il tutto causato - è bene dirlo - non dalla ridotta capacità delle segreterie cittadine e metropolitane, ma dalla distanza che si è via via creata con il Pd nazionale, sempre più romano, sempre meno attento al Nord, sempre meno propenso a raccogliere la sfida di un centrodestra che, infatti, ha riconfermato brillantemente Regione Lombardia al fronte di una candidatura identitaria, buona per non vincere e cercare di non perdere troppo rovinosamente, come quella di Pierfrancesco Majorino. In tutto questo, oggi, Alessandro Capelli prova a dire che bisogna superare il Modello Milano. In effetti, il Modello Milano non c'è più da anni, consumato dall'usura del tempo ma soprattutto dalla distanza da Roma.


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