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Milano
Via l’ideologia da scuole e bimbi: un genitore scrive ad Affaritaliani.it

di Guido Camera

Sogno o son desto? Questa è la domanda che mi sono fatto quando ho scoperto che il Comune ha deciso di non dare più l’autorizzazione a quelle frequenti iniziative – quali corsi di lingue straniere o teatro – che vengono organizzate nelle scuole materne con associazioni individuate e pagate dai genitori dei bambini.

I motivi di questa inversione di rotta del Comune? Li ha spiegati oggi il vicesindaco Scavuzzo al Corriere della Sera, e possono essere riassunti nei seguenti termini: i) gli arricchimenti ai piani formativi proposti e finanziati dai genitori non sono più un fatto isolato, dunque “occorre stabilire regole certe e uniformi sull’ingaggio”, prevedendo “procedure e bandi semplici e chiari da rispettare, uguali per tutti”; ii) bisogna evitare lesioni del principio di equità, visto che solo “certi asili possono permettersi laboratori aggiuntivi, perché la loro utenza li finanzia”; iii) si rischia di urtare la sensibilità delle maestre, che – avendo “tutte le competenze necessarie” – si potrebbero sentire “depauperate nel loro ruolo” dall’arrivo di esterni (cioè gli insegnanti dei corsi scelti e pagati dai genitori) in classe.

Il primo e il terzo motivo mi sembrano dimostrare ben poca conoscenza della realtà in cui viviamo: il secondo mi preoccupa però ancora di più perché lascia trasparire un concetto di educazione veterocomunista e collettivista – che ha indotto tanti genitori in passato a scegliere le scuole private invece di quelle pubbliche – che, nel 2016, speravo veramente di non dover più ascoltare.

Ma cerco di spiegare con ordine il mio punto di vista, partendo da un dato di fatto: non ha senso parlare di bandi e procedure quando ci si riferisce a iniziative pagate con soldi privati (quelli dei genitori) che vanno a migliorare l’offerta formativa pubblica senza gravare di un centesimo sulle casse comunali. Stiamo parlando poi di iniziative che vengono democraticamente condivise dai genitori con le maestre in modo molto informale e costruttivo all’inizio dell’anno. Se anche in un contesto del genere – dove la massima attenzione dovrebbe essere per la sostanza, invece che per la forma – iniziamo a parlare di bandi e procedure (che non mi sembra proprio abbiano migliorato i servizi pubblici in questi anni) stiamo freschi. La pubblica amministrazione – che a mio giudizio deve accorciare la distanza tra utenza e servizio pubblico eliminando il più possibile la burocrazia - verrà infatti sempre più percepita come strumento di creazione di problemi, invece che di soluzione degli stessi. Con il rischio che anche quei genitori che – come il sottoscritto - ancora credono fermamente nel ruolo decisivo che lo Stato deve avere nell’istruzione, finiranno per buttarsi nelle accoglienti braccia delle scuole private.

Parlare poi di maestre “depauperate” dal loro ruolo mi sembra veramente incoerente con la realtà. Se i genitori optano per determinati corsi è perché evidentemente le maestre non hanno le risorse necessarie per attuarli: diversamente, mamme e papà non sentirebbero l’esigenza di integrare – pagando di tasca propria - il piano formativo con corsi esterni. In ogni caso, collaborazioni di questo genere non vengono certo “imposte” dai genitori alle maestre, ma con le stesse condivise a ogni inizio anno. Senza contare che lavorare fianco a fianco con insegnanti esterni, il più delle volte, è un arricchimento professionale di cui per prime sono liete le maestre.

Chiudo queste riflessioni soffermandomi sull’esigenza di “equità” che, a dire del vicesindaco, legittima l’alt all’attuale prassi: ma veramente si può ritenere iniquo il comportamento di un genitore che – nonostante paghi già le tasse per avere un servizio pubblico – decide comunque di investire di tasca sua per migliorare l’educazione dei suoi figli e dei suoi compagni di scuola? Mica si tratta di lezioni private – che ognuno potrebbe tranquillamente farsi a casa propria, con gli amici dei figli che seleziona come gli pare - ma di corsi collettivi di cui beneficiano tutti gli alunni della classe o della scuola. Si migliora dunque l’immagine della scuola, e nel contempo si lavora sull’attenzione dei genitori per il bene di un servizio pubblico: non è forse questa una reale e proficua forma di socializzazione, il cui obiettivo è proprio quello di evitare gli inutili individualismi cui spesso i genitori sono portati? Non è poi mortificando i bambini di una scuola materna – dove i genitori decidono di integrare di tasca propria il piano formativo - che si premiano quelli di un’altra dove analoghe iniziative non vengono prese.

Infine, il vicesindaco forse dimentica come sono fatti i milanesi: se invece di frapporgli ideologici lacci e lacciuoli, il Comune li coinvolgesse incentivandoli a interessarsi attivamente per replicare queste iniziative anche al di fuori delle materne frequentate dai loro figli, assisteremmo a una vera e propria gara di solidarietà.  La storia di Milano ci insegna che non sarebbe certo la prima volta in cui l’iniziativa privata aiuta la crescita della cosa pubblica, e non viceversa.

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