Milano
Tra vivere e morire: perché Israele sceglie Netanyahu
Perché la maggioranza degli israeliani continua a votare Netanyahu? La domanda è stata recentemente posta da Ernesto Galli della Loggia. Perché forse, in certe situazioni, non è questione di ideologia, ma di sopravvivenza. Commento

Tra vivere e morire: perché Israele sceglie Netanyahu
Nel dibattito sul conflitto israelo-palestinese, affollato da indignazione e slogan, l’intervista a Ernesto Galli della Loggia pubblicata su Una Città (n. 307, febbraio 2025), che mi ha inoltrato un amico israeliano, è una voce fuori dal coro. Ci invita a tornare al dato concreto, a guardare la realtà per quella che è, senza filtri ideologici o scorciatoie morali.
Galli pone una domanda cruciale che molti evitano: perché la maggioranza degli israeliani continua a votare Netanyahu? La risposta non si trova nelle etichette, ma nella quotidianità di chi vive sotto la minaccia costante di razzi, attentati, guerra. Per molti israeliani, Netanyahu non è una scelta ideale: è il minore dei mali. È la scelta tra sicurezza e vulnerabilità, tra vivere e morire. In un contesto di paura reale, di instabilità continua, è comprensibile che la gente voti chi promette protezione, non chi chiede fiducia in una pace lontana.
L’intervista critica anche l’informazione occidentale, troppo spesso sbilanciata nel raccontare soltanto la voce della sinistra israeliana, come se fosse l’unica legittimata. Ma la sinistra in Israele oggi è minoritaria, e non comprendere le ragioni della maggioranza significa smettere di capire la politica e trasformarla in giudizio morale.
La mancanza di una leadership credibile nel fronte palestinese ostaggio di Hamas
Galli va oltre e denuncia la tragica assenza, nel fronte palestinese, di una leadership autonoma, credibile, capace di rappresentare un popolo invece lasciato ostaggio tra Hamas – un’organizzazione fanatica – e un’Autorità Palestinese screditata. A tutto questo si aggiunge l’ipocrisia del mondo arabo, che ha preferito tenere i profughi palestinesi nei campi, usandoli come arma politica contro Israele, invece di accoglierli e integrarli.
È un’analisi dura, ma realistica. Non nega le sofferenze palestinesi, ma rifiuta una narrazione unilaterale che semplifica tutto nel gioco facile del “buoni contro cattivi”. E ci ricorda che, per capire davvero un popolo, bisogna anche saper ascoltare le sue paure.
In certe situazioni non conta l'ideologia, ma la sopravvivenza
In fondo, Galli pone una domanda scomoda ma necessaria: perché i “cattivi”, alla fine, vincono le elezioni? Perché forse, in certe situazioni, non è questione di ideologia, ma di sopravvivenza. Anche se dividono, anche se non ispirano entusiasmo, sono figure che – come Netanyahu – rappresentano, agli occhi di molti, il male necessario. L’unica scelta possibile quando l’alternativa non è un sogno, ma l’annientamento.
E in tutto questo, non possiamo dimenticare che Israele è oggi l’ultimo baluardo di difesa che l’Occidente ha contro l’avanzata degli integralismi islamici in Medio Oriente. Piaccia o no, la sua tenuta è anche la nostra.
Per costruire la pace servono verità scomode, non illusioni. E serve, più di tutto, la capacità di vedere la realtà, anche quando non ci piace.