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Pensioni,quota 100 da archiviare per Covid.Previdenza, spesa boom fino al 2070
Il premier Conte ha congedato il provvedimento voluto dal governo giallo-verde. Ma la spesa rischia di decollare, complice la crisi da Covid
I numeri regnano sull’universo diceva Pitagora. E in effetti nulla offre una fotografia più efficace delle situazioni se non una sequenza di cifre. Nei giorni scorsi, il premier Giuseppe Conte ha annunciato il “pensionamento” (il gioco di parole è quasi obbligato) di Quota 100. "Si è trattato – ha detto – di un progetto triennale di riforma che veniva a supplire a un disagio sociale. Non è all’ordine del giorno il rinnovo". E in effetti, dopo la drammatica batosta del Coronavirus, che farà aumentare il rapporto tra deficit e Pil almeno fino al 10%, con un incremento dello stock di debito sino a un (finora) mai visto 160%, urgeranno riflessioni anche sul tema delle pensioni. Quota 100, lo ricordiamo, permetteva di andare in pensione a 62 anni, con 38 di contributi, con uno “sconto” sull’assegno previdenziale. Un anticipo di cinque anni che poteva costare fino al 30% tra mancato montante contributivo e versamento più “light”. Una bella cifra, ma a molti italiani è comunque convenuto.
Il discorso però si fa più complesso se si analizza la spesa pensionistica in Italia. Lo ha fatto Impresa Lavoro basandosi su dati Ocse: il risultato è che nel triennio 2016-2018, quindi prima dell’introduzione di Quota 100, la spesa per gli assegni previdenziali degli italiani è aumentata del 4,8% rispetto alla media europea. Nello stesso arco temporale, per usare un metro di paragone, si tagliava dello 0,5% l’ammontare destinato all’istruzione.
Il piano triennale di Quota 100 aveva introdotto una spesa aggiuntiva di 20,8 miliardi di euro, secondo la relazione tecnica preliminare. In realtà, la spesa nel 2019 è stata inferiore di circa 600 milioni rispetto a quanto preventivato. Il discorso, semmai, si sposta sulla platea beneficiante: su 60,3 milioni di persone residenti in Italia, oltre 17 milioni percepiscono una qualche forma di indennità pensionistica. Rapportando la spesa sul Pil, si ottiene che – con i 1787,7 miliardi di ricchezza prodotta nel 2019 – la spesa pensionistica pesava sul complessivo per il 17%, ovvero 304 miliardi di euro. Mantenendo invariato il totale anche per quest’anno, e rifacendosi alle stime prudenziali di caduta del Pil che sono state realizzate dal governo nei giorni scorsi (intorno al 9%), si ottiene che il rapporto salirebbe fino al 18,7%.
Una montagna difficilmente arginabile che si manterrebbe sostanzialmente invariata -udite, udite – fino al 2070, quando gli effetti delle pensioni dei baby boomer dovrebbero definitivamente essere terminati. Dunque si capisce facilmente perché il premier si è affrettato a congedare Quota 100, scatenando le ire di Matteo Salvini: in ballo c’è una montagna di denaro che potrebbe essere impiegata in altro modo. L’aspettativa di vita attualmente nel nostro Paese è di 83,2 anni, ma questo se si considera il dato alla nascita. Per le persone di 65 anni, infatti, l’attesa è di altri 18 anni per gli uomini e di oltre 22 per le donne. Significa, con o senza Quota 100, che un italiano mediamente peserà sulle casse dello stato per 16 anni (se maschio) e 20 anni (se femmina).
Quanto costa? Presto detto: l’importo medio per singolo pensionato è di 18.328 euro lordi, ovvero un complessivo di 293.248 – sempre in media, ovviamente – per gli uomini e di 366.560 euro per le donne. Come si fa a garantire la tenuta del sistema? Semplice. Da un lato, impiegando il calcolo contributivo e non più retributivo come era prima della Riforma Fornero (l’ultimo stipendio percepito rappresenta, più o meno, l’assegno pensionistico che si avrà); dall’altro rivedendo i coefficienti di trasformazione e nel calcolo di sostituzione in calo per le pensioni future, per cui il tasso netto scende dall'81,5% del 2020 per un pensionato di 67 anni al 67,2% del 2040 per un pensionato di 65 anni e 8 mesi.
Tornando a Quota 100: secondo l’UpB, nel corso di quest’anno si potrebbe arrivare a 246mila soggetti coinvolti, un po’ meno dei 300mila preventivati dal governo giallo-verde ma comunque un numero interessante. E l’anno prossimo, quando cioè si avvicinerà la chiusura di questa “finestra” che non dovrebbe più aprirsi, potrebbe scatenarsi una vera corsa da parte dei nati nel 1959, che potrebbero decidere di accettare condizioni meno favorevoli al grido di “pochi, maledetti e subito”.
Nei prossimi mesi, quando cioè si sarà definitivamente fatto luce sul disastro portato dal Covid nella nostra economia, bisognerà risolvere un problema al cui confronto il teorema di Pitagora pare un gioco da ragazzi: come mai l’Italia ha la seconda età media più alta per andare in pensione in Europa – dopo la Grecia che fu “strozzata” dalla Troika a partire dal 2011 – ma anche il numero medio di anni di lavoro più basso del continente, con 31,8?
Per fare un rapido confronto, questo dato sale a 35,4 anni in Francia, a 38,7 in Germania e a 41,9 in Svezia Urge una riforma complessiva e organica dell’intero meccanismo. È a rischio la tenuta dei conti e il futuro delle nuove generazioni, che rischiano di trovarsi con il cerino in mano: una montagna di pensioni da pagare e la certezza che, quando sarà il loro momento di ritirarsi, avranno un assegno magrissimo. Sarebbe veramente imperdonabile.