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Politica
Il caso De Angelis imbarazza la Meloni e colpisce La Russa. I conti con il passato fascista

Il caso De Angelis imbarazza la Meloni e colpisce La Russa

Il “caso De Angelis” è deflagrato come ci si aspettava, nei dintorni del 2 agosto, anniversario della strage alla stazione di Bologna. Se non fosse di cattivo gusto, dato l’argoimento, potremmo dire che si trattava di una bomba ad orologeria. La prima fase si è incarnata nella nomina di Marcello De Angelis a capo della comunicazione del Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca. La seconda è stata nelle sue dichiarazioni sull’attentato, in cui ha detto che Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini non c’entravano nulla con, sfidando condanne passate in giudicato. Una terza fase che si sta appena delineando è poi quella di “scuse” ma non di dimissioni.

Regolamento dei conti a destra

Una mossa che permette una sostanziale tenuta del fortino in cui il cecchino è asserragliato. Rocca ha anche da poco dichiarato che non revocherà la sua fiducia a De Angelis mentre solo ieri aveva detto che “la Meloni non è felice”. Ma chi sono le vere vittime che lo sniper nero sta colpendo con fredda, freddissima metodicità? Sembrerebbe proprio che si tratti un regolamento di conti a destra se si considera che Gianni Alemanno ha prontamente sostenuto le parole di De Angelis e che Rocca non vuole più revocare la fiducia al suo portavoce. Se si considera anche il disagio di gente come Fabio Rampelli il cerchio si chiude.

Il “bersaglio grosso” è la seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, Presidente del Senato, “colpevole” –secondo la destra estrema- di aver ammesso la “matrice neofascista” della strage di Bologna. Ed in effetti, La Russa il 2 agosto aveva timidamente parlato appunto di “matrice neofascista”, inquadrando il termine, peraltro, nella “verità giudiziaria”, forse per farsi perdonare l’uscita precedente: «a via Rasella fu colpita una banda musicale di semi-pensionati». Così descriveva La Russa i membri del battaglione “Bozen”, un reparto militare della Ordnungspolzei (polizia d'ordine). Altro che semi – pensionati. Dunque, tornando al presente, una altissima carica dello Stato non ha fatto altro che avallare una sentenza dello Stato stesso. Ci poteva stare. Del resto, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è subito venuto in suo soccorso in un’azione che è parsa concordata con Palazzo Chigi e per i tempi e per i modi. Il punto è però un altro.

Chi conosce anche solo un poco l’ambiente della destra “hard” sa benissimo quale sia la sua sensibilità su certi temi. Un nervo scoperto, da sempre, è proprio quello della strage di Bologna. Fin dall’inizio la destra ha dichiarato compatta che i tre non c’entravano nulla con il dramma consumatosi a Bologna, invocando la cosiddetta “pista palestinese”, che peraltro la magistratura ha ampiamente analizzato senza trovare riscontri e concludendo che si sia trattato di un depistaggio. Che sia vero o no, questa posizione è stata sempre granitica. De Angelis poi non è certo uno scappato di casa, che è giunto per caso e necessità al ruolo istituzionale che ricopre.

Marcello De Angelis è un “pezzo da novanta” della destra romana e nazionale. Membro di spicco di “Terza Posizione”, è stato in carcere in Inghilterra ed in Italia, per associazione sovversiva e banda armata, direttore di una fucina intellettuale, una delle poche di destra, la rivista “Area” e ancora direttore del quotidiano storico dell’MSI, “Il Secolo d’Italia”. Il suo peso è dimostrato dal fatto che è stato anche parlamentare. Personaggio indubbiamente poliedrico, intellettuale colto, “maestro della Meloni” e di tanti altri, ha fondato nel 1993 anche un gruppo rock, i “270bis”, il cui nome fa riferimento all’articolo del codice penale che riguarda proprio il reato del compimento di “atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”. E poi veniamo al punto chiave di questa vicenda. Oltre a La Russa, chi ha più da perdere, è Giorgia Meloni che infatti tace imbarazzatissima.

Per una serie di motivi. Il primo sono i suoi legami. La premier è stata infatti la donna del fratello di Marcello e cioè Renato De Angelis. Girano ancora foto di atteggiamenti intimi al mare. Un amore forte e corrisposto, perché nato e consolidatosi in un certo milieu di destra in cui amore, passione e ideologia si saldavano in un tutt’uno. Solo chi l’ha vissuto può sapere quanto sia forte e quanto crei vincoli umani indissolubili che sfidano il tempo. La normalizzazione della Meloni è proprio iniziata quando il rapporto con Renato è finito, subentrando al suo posto Andrea Giambruno, lontano anche fisicamente anni luce da quel mondo, visto che in una intervista disse di aver votato addirittura sempre Pd. Giorgia Meloni è una accorta giocatrice di scacchi, uno degli ultimi politici veri, che viene dalle durezze di una opposizione perenne e da Azione Studentesca. Non demagogia fuffettara Cinque Stelle per intenderci, ma un progetto preciso di coaching politico, con obiettivi, tempi, modi, tattiche e una strategia.

L’abiura di Tolkien, Jünger, Evola e Nietzsche

Sa cosa occorre fare. Sa quando farlo. E così, una volta conquistato il potere, dopo anni di populismo peronista e sovranista, ha immediatamente virato al centro sia in Italia ma soprattutto all’estero, perché senza Usa e Ue –come noto- non si governa. Da qui l’appoggio totale all’Ucraina contro la Russia e il suo farsi garante di una coalizione di centro –destra fisiologicamente pro Putin. Così ha legato a sé Joe Biden e Ursula von der Leyen. Scelta dettata quindi dal pragmatismo operativo. Prima però ha chiuso anche un patto di ferro con un altro peronista insospettabile e cioè Papa Francesco, con cui condivide ora la politica migratoria in cambio di fondi del PNRR alla Caritas di Zuppi. Protettasi così le spalle in Vaticano ha cominciato una operazione non solo politica ma anche e soprattutto culturale. Lei, cultrice indefessa di Tolkien e del “Signore degli anelli”, non ha più pronunciato una sola parola a riguardo. Come non ha mai parlato di tutto l’apparato ideologico della destra e cioè dei Campi Hobbit, del culto della fantasy, del culto dell’eroismo guerriero, dell’amato filosofo Nietzsche e neppure degli amati gruppi hard metal rock, e della musica celtica irlandese, né del suo amore per Stephen King che guardava in Tv sgranocchiando patatine fritte insieme alla sorella Arianna e qualche amico.

L’unico tributo politico è stato quello di far eleggere in Senato nelle ultime due legislature Isabella Rauti, erede di Pino Rauti, sua altra guida spirituale. La Meloni non ha parlato più di Julius Evola, lo scomodo “profeta delle rune”, non ha più citato un altro dei suoi scrittori preferiti, Ernst Jünger autore di uno dei libri guida della destra rautiana prima e meloniana poi, “Nelle tempeste d’acciaio” insieme a “Sulle scogliere di marmo” (Auf den Marmorklippen).

In quest’ultimo romanzo, è presente una figura enigmatica, numinosa e potente: “Il Forestaro”, in cui molti hanno visto disegnato la figura di Adolf Hitler. La Meloni sta cercando di far scomparire il suo passato. Poi certo qualche volta fa concessioni, non sempre fortunate, come a Vox che ha perso clamorosamente le elezioni in Spagna ma è ammirevole il suo equilibrismo. Può ricordare una lumaca che striscia su una lama affilatissima. E questa volta la lama si è ipostatizzata in un barbuto intellettuale “nero” che con la Storia e con il fascismo vuole fare ancora i conti.

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