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Politica
Il declino non si addice a Renzi. La parabola di chi non si rassegna alla fine
Foto LaPresse

Da rottamatore ad aspirante divulgatore. Matteo Renzi punta molto sulla nuova avventura televisiva che dovrebbe vederlo emulo di Piero Angela, impegnato a raccontare le bellezze di Firenze. Il condizionale è d’obbligo visto che il format non ha ancora trovato una collocazione definitiva e sicura.

Per ora, vi è un certo interesse da parte di Mediaset e molti hanno sorriso del fatto che Silvio Berlusconi, qualche anno fa, disse dell’allora astro nascente del Pd: “Ha sbagliato mestiere, se facesse Tv lo assumerei”.  Una boutade che oggi ha la valenza di una profezia.

Ma il paragone con Piero Angela, o con il figlio Alberto, mal si addice all’ex segretario del Pd ed ex premier, noto per essere divisivo e per spaccare anziché per (ri)unire. Riesce difficile dunque pensare a un pubblico televisivo smanioso di farsi intrattenere dai suoi contenuti, a parte i suoi fan sfegatati, che tuttavia lo vorrebbero uomo politico al comando e non personaggio televisivo fra tanti.

L’approdo di Renzi in Tv sa piuttosto dell’ennesimo tentativo di restare a galla da parte di un ex giovane leader rampante oggi travolto dal successo di un altro Matteo (Salvini) che gli ha tolto prepotentemente la scena istituzionale e mediatica.

Il fatto è che Renzi dai riflettori non riesce a stare lontano. Lo ha dimostrato dopo la sconfitta referendaria e ancor di più dopo quella del 4 marzo. Dopo la disfatta delle elezioni politiche, il suo autoimposto e sbandierato silenzio di due anni non è durato neanche due mesi, e con la sua ospitata televisiva da Fabio Fazio ha creato il caos nel Pd, mandando all’aria le manovre per un’alleanza dei dem con il m5s. Politicamente poi, dal giugno 2016, Renzi ha perso tutto ciò che si poteva perdere. Le comunali e il referendum di quell’anno; le amministrative del 2017; pochi mesi dopo le regionali siciliane e le municipali a Ostia; e ovviamente le politiche del 2018. Ma anche le elezioni successive sono state una sua sconfitta, anche dove si è imposto il Pd. In Lazio ha vinto il suo rivale Nicola Zingaretti; nei municipi romani hanno vinto candidati antirenziani, e così via.

Renzi avrebbe potuto ritagliarsi il ruolo di leader dell’opposizione, ma il ruolo di comprimario gli sta stretto, non fa per lui. Renzi può essere solo primadonna incontrastata o niente, e – come tutti i malati di protagonismo tout court - a forza di non rinunciare a nulla ha finito per perdere tutto. Non essendo uno sciocco e rendendosi conto che per lui il treno è ormai passato, e che tornare a Palazzo Chigi da premier è ormai pura e semplice utopia, ecco che gli resta da giocare la carta televisiva, ultimo disperato espediente per esserci, per comparire, per restare sotto le luci della ribalta. Luci che, tuttavia, si stanno spegnendo inesorabilmente lasciando posto alle tetre ombre della fine.

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