Il Jobs Act minaccia Renzi
Una seconda e disastrosa sconfitta in primavera potrebbe essere la pietra tombale sulla carriera politica di Renzi
Uno spettro s’aggira per le stanze della sede centrale del Pd, lo spettro di un referendum. Non quello del 4 dicembre, ma quello – nuovo di zecca e proposto dalla Cgil - per l’abolizione della nuova legge sul lavoro - pardon, m’è scappata la designazione italiana - del “Jobs act”, voluto da Matteo Renzi. Per chiedere questo referendum il sindacato ha raccolto la bellezza di tre milioni di firme: segno che le otteneva facilmente. Ed oggi si associano al progetto di abolizione persino improbabili alleati come Forza Italia. Renato Brunetta ha addirittura proclamato che in questo secondo referendum le cose non andranno come in dicembre: “Stavolta vinceremo settanta a trenta”.
Panico nel Pd. Una seconda e disastrosa sconfitta in primavera potrebbe essere la pietra tombale sulla carriera politica di Renzi. Ecco perché in molti sarebbero contenti di riuscire a votare entro giugno (malgrado l’ostilità dei nuovi eletti, che perderebbero la pensione da parlamentari): perché in questo caso il referendum slitterebbero di un anno.
Chiunque non sia stupidamente idealista, ha il dovere di mostrarsi tollerante nei confronti di chi fa il proprio interesse. Purtroppo in politica le cose vanno diversamente e a spese altrui sono tutti moralmente inflessibili. Quella fuga in avanti sarebbe letta come un’offesa alla volontà dei lavoratori da parte di un partito che da sempre si è dichiarato il loro paladino. Il Pd potrebbe pagarla cara.
Il rischio, già grosso, è stato aggravato dal ministro Giuliano Poletti, che si è lasciato sfuggire queste parole: “Se si va al voto prima del referendum, il problema non si pone. Ed è questo lo scenario più probabile”. Ciò ha portato l’iniziativa della Cgil in primo piano, ha svelato il gioco e insomma ha messo il Pd in un bel guaio.
Il “sì” di Forza Italia per abolire la legge sul lavoro induce a qualche riflessione. Come può un partito liberale votare per il ripristino del famoso e rovinoso art.18 dello Statuto dei Lavoratori? Questo totem è stato rovesciato dopo una lotta titanica durata anni, tanto che il successo ha rappresentato la scalata, finalmente riuscita, dell’Olimpo, e ora lo si risuscita?
L’ipotesi più semplice è che, vista l’aria che tira, l’annullamento del Jobs Act si avrebbe anche senza il concorso di Forza Italia: e allora perché far parte dei perdenti quando, per lo stesso prezzo, si può far parte dei vincenti? Anche se rimane la curiosità di vedere come dei liberali ci “venderanno” questo loro sì.
La sostanza del problema, e per conseguenza della consultazione, è l’ostilità a Renzi. Serpeggia ancora nel Paese un’irritazione che si è sentita ulteriormente legittimata dal referendum di dicembre. Prima ognuno si sentiva un eretico isolato, poi ha capito di avere milioni di colleghi. Quanto alla Cgil, dopo che Renzi ha osato sfidarla, ha trovato una buona leva (anche se demagogica) per fargliela pagare. Per una volta, sarei tentato di essere dalla parte dell’ex Primo Ministro, nell’interesse dell’Italia, ma rimane imperdonabile la colpa delle sue inutili provocazioni al sindacato. Chissà, forse Nettuno avrebbe perdonato Ulisse: dopo tutto aveva agito per legittima difesa. Quello che non gli perdonò fu l’irrisione del Ciclope accecato. Renzi l’ha letta l’Odissea?
Il problema è anche tecnico. Si avrà una nuova legge elettorale in tempo per votare a giugno? Si sa che i partiti, in materia, non si mettono mai d’accordo. Nel nostro caso al quesito potrebbe rispondere già la Corte Costituzionale, se la legge risultante dalla sua sentenza si dimostrasse compatibile con un voto. In questo caso potremmo votare. Se invece fossero necessari aggiustamenti per armonizzare le norme per le due Camere, i partiti avrebbero la buona volontà di farlo velocemente?
I nuovi eletti, votando a giugno, perderebbero il vitalizio, e potrebbero dunque opporre valide resistenze ad ogni ipotesi di voto anticipato. Che potrebbero addirittura tradursi in plateali tradimenti del partito di appartenenza. Si potrebbe, pur appartenendo alla maggioranza, votare contro, e si potrebbe, pur appartenendo all’opposizione, votare la fiducia al governo, per non farlo cadere.
Infine c’è l’azione di Matteo Renzi. Qualcuno lo sospetta di lavorare per far cadere il governo, cosa che renderebbe obbligatorio andare alle urne ed eviterebbe il referendum. La sconfessione della legge forse non sarebbe in sé gravissima - perché Il nostro problema non è la legge sul lavoro, è la mancanza del lavoro - ma di essa lui si è vantato tanto che, soprattutto dopo il referendum di dicembre, la sua bocciatura potrebbe essergli letale.
Molte ipotesi, molte possibilità, molte incertezze. Una cosa è sicura: con la sua improvvida uscita, il ministro Poletti si è comportato come il bambino che commentava gli abiti nuovi dell’imperatore. Aveva ragione Gramsci, la verità è rivoluzionaria.
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