Politica
Il Pd se la prende con Renzi, ma fa i conti... senza Conte
Accordarsi con il M5S o con il Terzo Polo? I Dem comincino a capire di non essere più l'azionista di maggioranza...
Il Pd intrappolato tra Renzi lo prende a schiaffi e Conte che lo supera nei sondaggi
Enrico Letta spiega alla direzione del Pd ciò che affaritaliani.it scrive ormai da giorni, ovvero che il Terzo Polo sta strizzando l'occhio alla maggioranza. Oltretutto lo fa facendosi beffe, tramite l'illustre ex Matteo Renzi, delle difficoltà e delle gaffe del partito che egli stesso ha condotto dallo storico “Enrico stai sereno” fino all'altrettanto storico tracollo del 2018.
Quella era passata agli annali come la peggiore performance di sempre da parte dei Dem, ma si è riusciti a fare peggio alle elezioni dello scorso 25 settembre e, nelle ultime ore, con il sorpasso subito da parte del M5S nei sondaggi. Chapeau.
E quello che ormai è il terzo partito d'Italia, nonché il secondo dell'opposizione, che fa? Continua a fingersi morto, pensando che sia accettabile rinviare al 12 marzo il necessario reset, posto che si riesca a farlo davvero, evitando il solito riciclo di facce note.
Il tutto senza badare alle tempistiche delle regionali in Lazio in Lombardia, en passant le due regioni più importanti d'Italia, che non consentono assolutamente una siffatta road map. Regioni nelle quali, di conseguenza, ognuno sostanzialmente fa quello che vuole, per cui i caccicchi locali si sentono liberi di parlare di alleanze talvolta con il M5S, col quale Zingaretti ha governato, talvolta col Terzo Polo, dal quale però arrivano schiaffi roventi in diretta televisiva.
E, ciliegina sulla torta, tutto questo avviene mentre si fischietta indifferenti di fronte ai sondaggi che certificano il sorpasso di Conte su Letta: sì, proprio quel Conte che solo qualche settimana fa fu messo alla porta in malo modo per aver osato togliere la fiducia a Draghi.
Ma adesso è lui l'azionista di maggioranza di qualunque ipotesi di accordo, per cui la fastidiosa tracotanza dei perdenti va riposta nel cassetto. Magari non è il caso di rispolverare la deferenza bettiniana verso “il punto di riferimento dei progressisti” (anche meno), ma riconoscere che adesso è in testa lui, questo almeno sì.