Politica

L'Europa ci aiuta contro il coronavirus? Balle. A Bruxelles i soliti furbi...

Gianni Pardo

In questi giorni si sente molto parlare di miliardi “stanziati” dallo Stato per far fronte alle spese occasionate dal corona virus. Inoltre si parla di un aumento della flessibilità dell’Europa, in materia di deficit, sia per quanto riguarda l’Italia, sia – in futuro - per quanto riguarda altri Stati europei che il corona virus ha già sul suo carnet di ballo.

Per non essere menati per il naso, bisogna decodificare queste parole. Stanziare, dice lo Zingarelli, significa inserire una spesa in un bilancio preventivo. Ma di solito, se si inserisce una spesa in bilancio, è perché si conta di disporre del denaro per sostenerla. Ciò è dimostrato dalla stessa parola “bilancio” che in questo caso sembra il maschile di bilancia: su un piatto si mettono le spese, sull’altro le entrate, e la bilancia deve essere in equilibrio. Invece nel nostro caso le somme che lo Stato stanzia non le ha affatto. Non “stanzia” decine di miliardi, “chiede” decine di miliardi.

E così passiamo alla seconda espressione da decodificare: “aumento della flessibilità”. Si tratta semplicemente di una truffa linguistica. Si suggerisce l’idea che le autorità di Bruxelles - di solito arcigne e inflessibili - adeguatamente pregate o convinte, alla fine divengano elastiche e generose, tanto da darci del denaro. In realtà si tratta di tutt’altro.

L’Europa non ci ha mai dato dei soldi e non ce li darà ora. Se l’Italia avesse una sua moneta, né Bruxelles né Strasburgo avrebbero niente da dire, riguardo al denaro che noi chiediamo ai mercati, emettendo Titoli di Stato. Come nessuno ha niente da dire al Giappone, titolare unico del suo yen, ed anche di un debito pubblico mostruoso. Se noi ci vediamo imporre dei limiti è perché, dal momento che come moneta usiamo l’euro, se lo inflazioniamo, questa inflazione la pagano anche gli altri; se lo mettiamo in pericolo, il pericolo lo corrono anche gli altri. E infatti la famosa “flessibilità” allude al permesso di fare ulteriori debiti, con ciò aumentando il nostro stellare debito pubblico e correndo sempre più il rischio che i mercati smettano di avere fiducia nella nostra capacità di pagare gli interessi, perché di rimborsare il capitale non si parla neppure. Se ciò avvenisse, metteremmo nei guai l’intera zona euro.

Quanto all’aumento della “flessibilità” anche per gli altri Paesi europei, se ne può dubitare. Ammettiamo che i partecipanti della zona euro siano venti e dieci emettano titoli pubblici inflazionando l’euro, mentre altri dieci, non avendo bisogno di quei prestiti, non contraggano debiti. Il risultato sarebbe che l’euro, nella misura in cui è inflazionato, diminuirebbe di valore per tutti, ma del denaro derivante dall’inflazione beneficerebbero soltanto i primi dieci Paesi, che lo hanno incassato. In altre parole, i Paesi con le finanze più in ordine perderebbero una parte della loro ricchezza a favore dei Paesi scialacquatori. Siamo sicuri che essi acconsentirebbero? Un padre di famiglia accetterebbe qualcosa di simile?

La realtà è che i nodi stanno venendo al pettine. Il primo è quello di aver creato l’euro senza preventivamente avere realizzato l’unione politica. È stato come comprare una tigre da quattrocento chili, per poi tenerla in casa sperando che non azzanni nessuno. Allora gli europeisti entusiasti hanno pensato che, creando l’euro, le nazioni che lo adottavano sarebbero state obbligate dal buon senso a procedere anche all’unione politica. Ma il buon senso non sempre funziona e per questo quelle anime belle non avrebbero dovuto buttare il cuore oltre l’ostacolo.

Oggi abbiamo il guaio di Paesi che sono rimasti perfettamente indipendenti, mentre l’euro, catena comune, fa ricadere sugli altri una parte delle conseguenze delle decisioni di uno. Inoltre la situazione attuale ha creato equivoci e illusioni. Gli italiani sono convinti che avere l’euro e appartenere all’Unione Europea ci metta al riparo da una gravissima crisi economica quale quella di un’improvvisa sfiducia dei mercati riguardo alla nostra solvibilità. Perché, pensano, l’Europa ci salverebbe e, all’occasione, pagherebbe i nostri debiti. Balle. Gli altri Stati non hanno la minima intenzione di farlo e comunque nemmeno potrebbero, date le dimensioni del nostro eventuale fallimento. Essi di solito si limitano a indurci a non aumentare il livello del nostro rischio, nel nostro e nel loro interesse, ma chi ci giudica non sono le autorità europee, sono le Borse.

Ovviamente, nessuno sa quando si raggiungerà il punto di rottura, ma una cosa è sicura: nessuno può aumentare indefinitamente i propri debiti, perché ciò corrisponderebbe a vivere a spese degli altri: e questo non avviene nemmeno in paradiso. Se un giorno questa maxi crisi dovesse scoppiare, ci accorgeremmo che la generazione attiva a cavallo dei due secoli è stata capace di creare enormi problemi senza risolverne nemmeno uno, per esempio quello della difesa militare comune. Ci vedremmo scoppiare in faccia tutti insieme questi bubboni, da quegli apprendisti stregoni che siamo.

Ovviamente questo è un momento di particolare crisi sanitaria ed economica, ma non illudiamoci che la cura da cavallo sia priva di controindicazioni.

giannipardo1@gmail.com