La non candidatura di Bertolaso
Di Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
A pensar male si fa peccato, ma è almeno possibile che ci si azzecchi. Senza essere appassionati delle elezioni comunali di una città come Roma, ci si può stupire del fatto che Silvio Berlusconi, dopo avere consultato i sondaggi, i possibili alleati, alcuni dei concorrenti, gli amici, i consulenti, e forse anche la Pizia, abbia deciso di confermare la candidatura di Guido Bertolaso. A quanto pare le intenzioni di voto che lo riguardano non arrivano ad una percentuale a due cifre. Dunque, secondo le previsioni, le sue possibilità di vittoria sono vicine, fin troppo vicine allo zero. E così qual è il senso di questa decisione?
Per mantenere la parola data, dice Berlusconi. Ma anche chi lo considera un galantuomo, non può spingere la fiducia fino a credere vera una simile affermazione: non sarebbe qualcuno che ha “fatto politica” per oltre vent’anni. Né vale di più sostenere che Bertolaso è la persona giusta per risolvere i problemi di Roma. Innanzi tutto perché probabilmente quei problemi sono irresolubili e poi perché, quand’anche fosse vero, che importa che sia l’unico “bravo” se i romani non lo votano?
La ragione della candidatura deve essere un’altra, ed io non la conosco. Ma proprio questa ignoranza può essere un vantaggio. I “retroscenisti” pretendono di rivelare verità nascoste, e rischiano di essere smentiti dai fatti; chi afferma socraticamente di non sapere, che rischi corre?
La ragione della decisione di Berlusconi deve essere semplice. E si può star sicuri che l’interessato l’ha trovata più conveniente di qualunque altra. Probabilmente i sondaggi hanno escluso una vittoria di questo candidato e, probabilmente, anche degli altri candidati di centrodestra. E Berlusconi avrà pensato: “Qui si tratterebbe di rinunciare alla nostra autonomia per rassegnarci a seguire il candidato di uno dei nostri ex satelliti, e magari perdere lo stesso. Tanto vale tenerci la nostra bandiera”.
Accanto a queste supposizioni particolari, ci potrebbe essere una considerazione più importante di tutte le altre: si ha veramente interesse a vincere?
Basti vedere che il Pd non ha candidato un suo personaggio di grande peso, ma quel Roberto Giachetti che non solo non fruisce di chissà quale carisma, con quell’aria d’impiegato che non è riuscito a fare carriera, ma non è neanche veramente organico al Pd. Così il suo passato di radicale e la sua notoria indipendenza lo rendono inaffidabile da un lato e spendibile dall’altro. Se non dovesse essere eletto, o se la sua sindacatura si rivelasse un flop, il Pd potrebbe non versare molte lacrime. In fondo si direbbe che il partito non si è veramente impegnato. Come è già successo col sindaco Marino.
La candidata attualmente in possesso delle maggiori probabilità di vittoria è quella della giovane e avvenente avvocata Virginia Raggi, del Movimento 5 Stelle. Ma a volte si direbbe che questa sua pole position non sia invidiabile. Molti sperano che questa giovane donna provi a governare Roma proprio affinché faccia cattiva figura. Con lei il M5S fallirebbe alla sua prima impresa seria. Poco importa, in questo senso, che neanche Eracle riuscirebbe a raddrizzare Roma. La politica è fatta così. Chi è al vertice si pavoneggia se la squadra italiana vince il campionato del mondo di calcio, e se al contrario il terremoto distrugge una città, tutti gli dànno il torto di non averla ricostruita per intero e in un mese o due.
In queste condizioni, che interesse potrebbe avere non Bertolaso, ma chiunque a divenire sindaco? Se ci si sente capaci di vincere una guerra, ma a determinate condizioni, bisogna accettare quel comando soltanto se quelle condizioni sono realizzate. Quando a Roma si progettò la guerra contro i pirati, si stanziarono somme enormi per costruire navi e finanziare la spedizione. Ma alla fine, prima che Pompeo s’imbarcasse, quelle somme che già erano sembrate immense dovettero essere di molto aumentate, perché ci si rese conto che quello era il prezzo da pagare, se si voleva la vittoria. Che poi effettivamente si ebbe.
Nello stesso modo, se si volesse riprendere Roma amministrativamente e finanziariamente un sindaco dovrebbe pretendere pieni poteri su tutti i sottoposti, incluso quello di licenziarli senza motivazione, e consistenti finanziamenti almeno per il tempo necessario a realizzare le riforme. Tutto ciò, già normalmente impossibile in Italia, è ancora più impossibile in un momento di ristrettezze finanziarie.
Una persona di buon senso non dovrebbe mai candidarsi a sindaco di Roma. E se lo fa non è per salvare Roma, ma soltanto perché è ambiziosa.
Ma del resto, chi si darebbe mai alla politica, se non fosse ambizioso?