Politica
Lapo pronto a candidarsi a Torino: sarebbe il sindaco ideale per la città
Ogni volta che penso a Lapo Elkann non riesco a togliermi dalla testa che sarebbe il sindaco perfetto per Torino, un po’ come il nonno, l’avvocato Gianni Agnelli, detto Giuanin Lamiera, è stato per tanti anni il vero monarca d’Italia.
Nonostante tutta la sua fama e la sua ricchezza per me resta sempre Lapo Rossi, operaio metalmeccanico della Piaggio di Pontedera che, nel 1994, prende parte a uno sciopero per chiedere un miglioramento delle condizioni lavorative, a causa dell'eccessivo calore che si soffriva alla catena di montaggio. Come dire, uno di noi. In questi giorni si parla molto delle presunte “non conformità” dei documenti della società Dicembre, la cassaforte di famiglia, le cui quote sono detenute per il 60% da John Philip Jacob Elkann, presidente di Exor, Stellantis e Ferrari, e per il 40% distribuite in parti uguali tra i fratelli Lapo e Ginevra.
Almeno è quanto sostengono, in una memoria consegnata il 15 luglio scorso al Tribunale di Torino, i legali della madre, nonché secondogenita dell’Avvocato, Margherita Agnelli. Tutte noiose beghe famigliari, tipiche quando c’è di mezzo un’eredità di millemila miliardi di euro. Capita in tutte le buone famiglie di miliardari. Con Lapo negli anni ci siamo incrociati un paio di volte, senza mai conoscerci davvero.
La prima volta è stato nel 2004. Lui si occupava della comunicazione e della promozione dei marchi Fiat, Alfa Romeo e Lancia, mentre io seguivo il progetto di un film sulla new economy italiana, ambientato a Torino. Lo contattai per presentargli l’idea con l’obiettivo di estorcergli un investimento in chiave product placement, come dicono quelli che ne sanno di produzioni all’americana. Mi invitò insieme ai miei compari di cinematografo negli uffici di Mirafiori in corso Agnelli. Lui non c’era. Quindi non è vero che non sa scegliere le sue frequentazioni. Parlammo con un paio dei suoi giovani collaboratori.
L’aria che si respirava in quei luoghi era davvero curiosa per gli standard Fiat. Lo dico con cognizione di causa, perché negli uffici di Mirafiori ci ho lavorato alla fine degli anni ’80 e, all’epoca, erano molto più simili ai film di Fantozzi. Lì era tutta un’altra cosa: un ambiente giovane, dinamico, modaiolo con gadget ovunque di ogni tipo, tra cui le felpe con il marchio vintage della Fiat. Un po’ come se avesse introdotto i colori in un televisore in bianco e nero.
Ai suoi uomini raccontammo la nostra idea e, non so se d’accordo con Lapo o meno, ci proposero di inserire nel film la nuova Fiat 500 che sarebbe stata poi lanciata sul mercato al livello mondiale l’anno seguente. Va detto che quell’auto è stata proprio un’idea di Lapo. Certo quando buttò lì quella pensata geniale, si dice che molti sorrisero educatamente, ormai convinti di aver a che fare con un eccentrico deficiente. Invece, è andata come è andata. Noi il film non l’abbiamo più fatto e lui ha rilanciato l’azienda del nonno con un modello che resta il più venduto in casa Fiat.
Uno così merita la candidatura diretta, senza passare dalle primarie. La seconda volta è stato un paio di anni fa, in un ristorante vicino alla Continassa, dove sorge lo stadio della Juventus. Da quelle parti c’è la sede della sua società, l’Italia Independent Group. Credo si trovasse lì per un pranzo di lavoro con i suoi collaboratori. Indossava un paio di pantaloni zebrati bianconeri che mi hanno provocato, seduta stante, l’orticaria cronica. Gli ho rivolto una battuta simpatica, una di quelle da acchiappo per poter instaurare una conversazione lampo. Ero convinto che mi avrebbe dato la possibilità di fare un “elevator pitch” per un’altra idea balzana che avevo in quel momento. Ovviamente non ha funzionato per niente, mi ha guardato attraverso come una bolla di sapone e, dribblandomi alla Ronaldo, si è diretto verso l’uscita. Ho sinceramente apprezzato l’eleganza del gesto atletico, tanto da sottolinearlo mentalmente con un moderato cenno di applauso.
Detto questo, Lapo resta una persona con i piedi per terra, capace di quei colpi di genio che una città debilitata come Torino, brama come un green pass ai tempi del Covid. Se Lapo si rendesse disponibile a farsi carico della rappresentanza di questa decaduta capitale del Regno, fosse anche con i pantaloni zebrati, il sombrero e gli occhiali da pirla, sono certo che persino i principali candidati alla poltrona di sindaco lo voterebbero. Certo qualcuno a Torino storcerebbe il naso, rinfacciandogli il suo passato di cocaina e trasgressioni, ma chissenefrega. Da queste parti, come si dice, il più pulito ha la rogna. E poi sugli Agnelli si è già detto tutto il male possibile, basta vedere le vagonate di insulti che si ritrovano sui social. Li dipingono come farabutti che non pagano le tasse in Italia, ingrati sfruttatori dello Stato italiano, arraffa arbitri, amici di Soros e della lobby ebraica, per restare nei margini del riferibile.
È del tutto evidente che nessuno potrebbe fare meglio di lui. Parliamo di un uomo dalla vita tormentata che sa scrivere un tweet di questo tenore a un giornalista del Fatto Quotidiano: “Io sono quello che sono e molte volte sono caduto facendo del male sopratutto a me stesso. C’è invece chi fa male agli altri sperando che nel male che provoca troverà la propria felicità. Bisogna perdonare chi ha il cuore amaro, pace”. Gli errori sono originali nel testo. Questa sua genuinità è quella che serve a Torino. Oltre a una buona dose di autolesionismo che, per uno come lui, è un gioco da ragazzi.
Basti pensare a quello che ha dovuto subire da piccolo, vivendo in un ambiente come quello descritto da Giorgio Levi, compagno di scuola e amico d’infanzia di Edoardo Agnelli, zio di Lapo. “La frau svizzera disponeva i maschietti da una parte e le femminucce dall’altra” scrive Levi nel suo blog. “Con Edoardo mi trovavo a disagio. Se si giocava a calciobalilla (non il solito dei bar, ma una faccenda molto più complessa e divertente) lui teneva i giocatori con le maglie bianconere e agli altri, me compreso (sfegatato juventino) toccavano quelli con la maglia granata. Se si giocava con le automobiline lui correva su un terrazzo, che si affacciava sulla stanza dei giochi, con una stupenda auto elettrica. Noi stavamo a guardare. Le uniche concessioni alla guida che Edoardo faceva erano per i cugini Camerana”. Se volete approfondire, qui trovate l’articolo completo “Il mio compagno Edoardo Agnelli”.
Lapo è sempre stato molto affezionato allo zio come scrisse anche in un suo tweet nell’anniversario della morte di Edoardo dello scorso anno: “L’ho amato con Tutto il Mio Cuore. È il mio Angelo Custode. Ricordo Emozionato la sua Sensibilità e Umanità. Non c’è giorno in cui non penso a LUI. In camera da Letto una sua Foto mi Ricorda che è SEMPRE vicino a me”. Qualcuno sostiene che Lapo soffra della stessa debolezza dello zio, ma non ne sono così convinto. La sensibilità non è necessariamente una debolezza e Lapo lo ha ampiamente dimostrato, diventando, nel bene o nel male, molto più simile al nonno, anziché a Edoardo. Per chi avesse la memoria corta, ricordo che, dopo cinque anni e mezzo dall’overdose di cocaina del 2005 e al suo conseguente allontanamento dalla Fiat per decisione di Marchionne, rientrò in Ferrari come consulente del Centro stile.
C’era bisogno della sua capacità di esagerare e di osare, cosa che sicuramente gli viene bene, ma c’era anche un impellente bisogno della famiglia di riaverlo con sé per dare quel peso specifico nazionale al Gruppo Fiat, all’epoca troppo concentrato su Detroit e sulle prospettive globali. Doveva difendere il Made in Italy dell’auto. Un fatto che dalle parti di Torino non è riuscito poi così bene. E sapete cosa si inventa in Ferrari? Il “Tailor Made” che consiste nella possibilità di personalizzare ogni Ferrari sulla base del gusto e dei vezzi del cliente. Solo due anni dopo il cento per cento delle vetture Ferrari erano personalizzate, facendo registrare il record di fatturato e utili per la Casa del Cavallino rampante, come direbbe la Settimana Enigmistica.
“Lavoriamo su vetture che, alla fine, possono costare dai due ai sei milioni di euro”, spiega Lapo in un’intervista di Ivan Berni del marzo 2021 su Prima Comunicazione. “Oggi Ferrari è sempre più una fabbrica su misura del cliente. Il progetto tailor made interpreta questa vocazione. Vuoi il tappetino o il rivestimento interno del tetto in cashmere? Te lo do e ti faccio scegliere fra dieci qualità diverse di cashmere. Vuoi il tappo del serbatoio in bronzo o in oro? Vuoi degli accessori in carbonio diamantato? Vuoi che usiamo solo la pelle di quel sellaio? Si può. E io ti faccio anche scegliere fra 40 tipi di cuciture diverse per la selleria. E se vuoi la Ff bianca ci sono 20 bianchi diversi. Costa tanto, certo, ma nessuno può arrivare a quei livelli”. Così parlò il signor Lapo Rossi, futuro sindaco di Torino.