Politica

Premier Lega-M5s: l'economista, il grillino o l'amico della Boschi e Verdini?

Nel nascente governo Lega-M5s manca solo il nome del primo ministro. Ecco i nomi papabili di chi siederà a Palazzo Chigi, Mattarella permettendo...

Il Presidente del Consiglio del governo Lega-M5s non sarà Silvio Berlusconi. Malgrado la boutade del Cavaliere recentemente riabilitato, è piuttosto difficile che il Presidente Sergio Mattarella gli conferisca l'incarico, e che soprattutto Matteo Salvini e Luigi Di Maio finiscano per indicarlo.

E tuttavia non si può più indugiare o rinviare, ormai il momento è arrivato: entro domani lunedì 21 maggio Salvini e Di Maio saranno costretti a chiudere definitivamente la trattativa sul nome del Primo Ministro e comunicarlo al Presidente della Repubblica, e sul tavolo restano diversi nomi, tutti in qualche modo graditi ai leghisti e sgraditi ai grillini, o viceversa. Matteo Salvini ha ribadito che il premier sarà una figura terza che ha contribuito a scrivere il contratto di governo, appellandosi al fatto che il m5s non venga meno all'accordo.

Questo perché, mentre Salvini ha fatto un passo indietro, Luigi Di Maio è ancora fortemente determinato a riservare per sé la poltrona di Primo Ministro, con tutto ciò che comporterebbe per l'elettorato leghista (e per lo stesso Matteo Salvini, che si vedrebbe scavalcato dal leader pentastellato e ridotto a fargli da "portaborse" illustre).

In ambito grillino, escluso Di Maio, restano in campo Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro, fedelissimi del capo politico, e soprattutto Vincenzo Spadafora. Responsabile delle relazioni istituzionali di Di Maio, sua ombra, suo mentore inseparabile, uomo di fiducia nonché ricco di entrature negli ambienti che contano, non ultimo il Vaticano, Spadafora sarebbe il sostituto perfetto per l'ex valletto dello stadio San Paolo, in quanto ne sarebbe semplicemente una sua propaggine attraverso la quale governare il Paese. Difficile che Salvini accetti, ma non è da escludere la possibilità. Spadafora ha inoltre contribuito attivamente alla scrittura del contratto, e non è propriamente un politico, quindi l'ipotesi potrebbe stare in piedi. 

Rimane plausibile anche la soluzione tecnica con due nomi in pole position, il giurista Giuseppe Conte e Andrea Rovertini, Professore associato di Economia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Conte piace a Di Maio ma non piace a Salvini per via dei suoi legami professionali con un personaggio visto come la peste da entrambi gli elettorati, ovvero Maria Elena Boschi. E sarebbe un autentico coup de théatre se a Palazzo Chigi finisse per arrivare un premier collegato in qualche modo all'odiatissima Meb.

Ma c'è di più, come scrive Ilsussidiario.net: "Nel 2013 il Parlamento lo ha designato a far parte del consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. Ma in quel 2010 governava Berlusconi e per poter occupare una poltrona all'Asi, peraltro, quella volta sì, senza competenze specifiche, un fiorentino aveva solo un tramite possibile: non l'allora sconosciuta Maria Elena Boschi, bensì Denis Verdini, sempre in difficoltà con banche e Bankitalia e questo spiegherebbe anche il successivo incarico. Un renziano di rito verdiniano insomma, e non eletto dal popolo: il capolavoro dei populisti Di Maio e Salvini!". 

Eugenio Scalfari su Repubblica fa invece addirittura il nome di Roberto Maroni quale figura credibile da presentare al Capo dello Stato, ma i rapporti dell'ex Presidente della Regione Lombardia non proprio idilliaci con l'attuale leader del Carroccio sembrerebbero escludere tale possibilità. 

Insomma, a pochissime ore dal fatidico momento in cui Di Maio e Salvini dovranno finalmente tirare fuori un coniglio dal cilindro, vi sono ancora parecchi nodi da sciogliere e veti incrociati da superare, con il timore che salti tutto all'ultimo momento finendo in un nulla di fatto che significherebbe la rovina politica di entrambi i contendenti. E poi resta l'incognita Sergio Mattarella, al quale guardano fiduciosi i detrattori del "governo più populista della Storia d'Italia" e che osservano invece sospettosi i fautori entusiasti del "governo del cambiamento".

Una cosa è certa: non vorremmo essere nei suoi panni.