Politica
M5S, Marco Tarchi ad Affari: "L’improvvisazione non paga"
L'intervista di Affari Italiani al politologo Marco Tarchi
Marco Tarchi è politologo e professore di scienze politiche. Ha scritto – rivendicando una visione laica e non pregiudiziale del fenomeno - «Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo (Il Mulino, 2015). Con Affari Italiani analizza il presente e il futuro dei Cinque stelle. Dalle prospettive del Movimento al dibattito sulla post-verità.
Per un Movimento dichiaratamente euroscettico, cosa significherà l’inciampo europeo con i liberali dell’Alde?
«Questo può saperlo solo Grillo, visto che – a quanto pare – è stato lui a dare il via libera al tentativo, probabilmente su stimolo di Davide Casaleggio. Quello che mi sento di ipotizzare è che lo scivolone, con le sue negative conseguenze d’immagine, sconsiglierà di riprovarci a breve. Capisco che di fronte alle accuse di incompetenza e radicalità che politici e media gli riversano addosso quotidianamente il movimento cerchi di rafforzare la propria caratura istituzionale e punti ad un certo grado di istituzionalizzazione, ma farlo attraverso accordi con gli esponenti più caratteristici di quell’establishment che da sempre è il bersaglio polemico preferito dai Cinque stelle non è la via giusta. Anzi: virate improvvise (e improvvisate) come questa rischiano di sconcertare una parte consistente dell’elettorato grillino, che era stata conquistata proprio dall’intransigenza proclamata contro “i tecnocrati di Bruxelles”, di cui l’Alde è una convinta estimatrice».
Grillo è tornato con Farage. Non prima di aver tacciato l’Alde di incoerenza, puntando il dito contro la paura del cosiddetto establishment nei confronti del Movimento. Fosse capitato al Pd, per dire, ci sarebbe state accuse di ogni tipo. La fedeltà dei Cinque stelle ha un limite?
«Se si analizzano le situazioni alla luce del realismo, non si può pretendere che una forza politica, dopo aver commesso un errore, applichi a se stessa la rigidità di valutazione che è pronta a scaricare sui concorrenti. Dati gli attuali canoni della comunicazione, significherebbe fare un grosso regalo agli avversari. Quindi gli eufemismi, i giochi a scaricabarile, i tentativi di diversione caratterizzeranno la politica sempre e in ogni luogo, così come è accaduto in ogni epoca passata – e anche di più, perché oggi ogni dichiarazione o azione politica è immediatamente passata al vaglio di spettatori che dispongono di strumenti per irradiare i propri commenti in ogni direzione e varare campagne di discredito. Ciò premesso, il M5S dovrebbe procedere a una seria autocritica, almeno ai livelli di vertice, per capire come accordare i presupposti che sin qui lo hanno animato a scelte strategiche e tattiche conseguenti ed efficaci. L’improvvisazione non paga, soprattutto quando non ci si muove avendo alle spalle un bagaglio ideologico codificato ma si punta molto sulle emozioni e sugli stati d’animo: i rischi di errore crescono e possono dare un’impressione di incoerenza e di opportunismo».
Uno dei due deputati europei che hanno lasciato il gruppo EFDD, Marco Affronte, ha detto: «Adesso sono sereno anche se so che riceverò molti insulti. Coi Cinque stelle è così, quando sei dentro, sei molto dentro, quando sei fuori, sei fuori davvero».
«Qualcosa che non mi sorprende affatto, e cioè che fra i militanti Cinque Stelle vige un senso di identificazione psicologica molto marcato, che porta a sopportare, finché si è dentro il movimento, perplessità e dissensi sulle scelte decise dai vertici, ma spinge anche, una volta consumata una rottura che difficilmente può essere indolore, a rovesciare, se non l’amore in odio, la passione coltivata fino al giorno prima in una ripulsa. Il M5S non ha certo l’esclusiva di una situazione di questo genere: c’è una fiorente letteratura sul “prima” e sul “dopo” di chi aveva creduto nei partiti comunisti o nei movimenti fascisti e poi se ne è disilluso. La novità sta nel fatto che si è sempre ritenuto che la psicologia degli ex fosse arroventata dal calore dell’ideologia, e congelata dal venir meno della fede che ad questa era connessa, mentre nel caso dei grillini il meccanismo emotivo scatta anche senza un formale riconoscimento in uno schema ideologico. Il collante (e il solvente) qui, semmai, è il rapporto psicologico con il leader, o megafono, o portavoce, o garante – ognuno scelga il termine che più gli conviene. Il risultato non cambia».
Sulla scia del dibattito sulla post verità, alcuni commentatori hanno messo in evidenza un punto: il Movimento 5 stelle, difendendo la rete e accusando i giornali (che pure di “bufale” non sono digiuni) vuole tutelare, prima ancora che la libertà d’espressione, la sacralità della democrazia digitale. Cioè la sua verità: superiore, definitiva, inattaccabile. Che idea si è fatto?
«Penso che almeno in parte l’interpretazione che lei cita abbia un fondamento. Del resto, la natura populista del discorso politico di Beppe Grillo si è sempre esplicitata in un richiamo alla superiore moralità e legittimità delle convinzioni popolari e in una simmetrica deprecazione del carattere menzognero e manipolativo delle argomentazioni diffuse dall’oligarchia dei potenti. Le critiche virulente alla stampa non sono né di oggi né di ieri: non ci si ricorda che uno dei Vaffa-day era dedicato proprio agli operatori dell’informazione? Se costoro, all’epoca, non se ne erano indignati oltre misura, è per due ragioni: primo, perché le invettive sanguigne di Grillo facevano audience ed erano viste come un ingrediente folcloristico in grado di ravvivare le grigie cronache politiche; secondo, perché nelle redazioni giornalistiche si pensava che, pur raccogliendo sostenitori nelle plateali adunate di massa, il fenomeno-Grillo non avrebbe mai avuto sbocchi seri in politica. Dal 2012 è suonato il campanello d’allarme e adesso le stesse affermazioni già mille volte ripetute suscitano indignate levate di scudi. C’è però da aggiungere che per un movimento malvisto dalla gran parte dei giornali, delle trasmissioni televisive e radiofoniche e dei cosiddetti opinionisti, la fiducia nei media alternativi – e cioè nel web – è obbligatoria, perché solo per quella via possono giungere al pubblico notizie, ma soprattutto interpretazioni e commenti, diversi da quelli, ostili, che circolano nel mainstream informativo. Si ritorna al problema del dominio dei punti di vista “politicamente corretti” che caratterizza la nostra epoca e ne impregna lo spirito. Se è vero che i regimi totalitari impongono la visione delle cose di chi comanda con metodi repressivi, tacitando ogni voce contraria, in democrazia – come aveva ben visto Alkesander Solzenycin, che denunciando questo dato di fatto nel celebre discorso tenuto all’Università di Harvard si condannò all’ostracismo – si può ottenere lo stesso risultato semplicemente tagliando il filo del microfono (oggi si direbbe meglio non concedendo nessuno spazio massmediale) ai dissidenti. È vero che, grazie al suo peso elettorale, il M5S non è certamente ridotto al silenzio, ma nel mondo della comunicazione ha molti più nemici che sostenitori. E puntare sulla rete, anche impedendone qualunque forma di censura, in questo contesto è una scelta obbligata».
In ultimo, professore, che cos’è la post verità? C’è bisogno di controlli stringenti, authority e limitazioni?
«“Post-verità” è semplicemente una formula ad effetto, un brand lanciato con successo sul mercato, come la logica dei nostri tempi consumistici impone, per ridare smalto a un concetto che da sempre si accompagna alla politica, e non certo solo ad essa: l’uso della menzogna, della manipolazione, dell’interpretazione deformante della realtà ai propri scopi. Far finta che il problema sia nato oggi è ipocrita, anche se non si può negare che l’espansione del circuito telematico ha avuto, da questo punto di vista, conseguenze molto preoccupanti, e si sarebbe dovuto dare ascolto a critici acuti del web come Morozov per rendersene conto per tempo. Oggi basta disporre di un computer per spargere a raggera sciocchezze, falsità, teorie strampalate, e non mancano gli accorgimenti per dare a questa massa di “bufale” una parvenza di attendibilità. L’ossessiva volontà di comparire, per dimostrare a sé e agli altri di esistere, è un’altra caratteristica negativa del nostro tempo, che concorre alla crescita delle comunicazioni sciocche, futili o basate su informazioni inventate di sana pianta, che a sua volta genera credulità. Dinanzi a questa situazione, non c’è controllo o limitazione normativa che tenga: siamo ormai su un piano inclinato, di cui non riesco a immaginare un raddrizzamento. Oggi, quel che soddisfa e piace è insradicabile: siamo giunti ad una legittimazione della tirannia del desiderio che nemmeno i più audaci teorici sessantottini avrebbero mai pensato di veder concretizzata. E del resto, se la censura di internet fosse possibile, getterebbe il bambino insieme all’acqua sporca, perché proibirebbe la circolazioni di notizie e interpretazioni tutt’altro che infondate che non approdano sui mass media solo perché giudicative lesive dello Zeitgeist dominante. Un’autorità delegata al “controllo della verità di stato” nel campo dell’informazione sa di incubo alla Orwell di 1984, non certo di miglioramento della qualità di una democrazia».