Politica
Mauro, l'addio a Repubblica? Colpa del declino di Berlusconi
Di Pietro Mancini
Dopo quasi 20 anni, "La Repubblica" cambia direttore. Ezio Mauro, 67 anni, che ha guidato il quotidiano del gruppo De Benedetti dal maggio del 1996, lascerà la direzione il prossimo 14 gennaio e sarà sostituito da Mario Calabresi, milanese, 45 anni. Mario aveva solo 2 anni, quando suo padre, Luigi, commissario di polizia, venne ucciso da uno spietato commando di "Lotta Continua", a Milano.
Una data non casuale, quella del cambio al vertice del giornalone romano, visto che coinciderà con il quarantesimo anniversario della testata, fondata nel 1976 da don Eugenio Scalfari, 91 anni, calabrese. Nel panorama della stampa italiana, "La Repubblica" ha acquisito, negli ultimi 30 anni, grande potere e autorevolezza, soprattutto nella sinistra.
"Topolino": così Mauro è stato ribattezzato da Giampaolo Pansa, 80 anni, che ha lavorato 14 anni a "La Repubblica", come braccio destro di Scalfari, che veniva chiamato "Barbapapà" dai redattori. E, nel suo libro, "La Repubblica di Barbapapà", il giornalista piemontese ha rivelato che, nel 1996, Scalfari non voleva Mauro come successore, ma fu costretto ad accettare la decisione dell'editore, don Carlo de Benedetti.
Negli ultimi anni, il quotidiano romano ha accentuato le caratteristiche di giornale-partito, inchiodato a un pensiero unico, dove non erano ammessi dubbi nè dissensi.
Pansa ha descritto Mauro come un direttore intransigente nel decidere chi sia buono e chi cattivo, chi sia un giornalista perbene e chi fosse diventato una canaglia.
Negli anni della direzione di "Topolino", il nemico numero uno di "Repubblica" è stato Silvio Berlusconi, distrutto con violente campagne di stampa e presentato come un puttaniere, colluso con la mafia, nemico della libertà di stampa, con un odio e un disprezzo unici nella stampa italiana. "La Repubblica" stampò la lettera di donna Veronica Lario, molto polemica con Silvio, dopo il compleanno della diciottenne di Casoria, Noemi Letizia, alla presenza dell'allora premier.
Una volta cacciato dal governo "Il Caimano", "La Repubblica" di Mauro non ha più saputo, come molti talk tv, contro chi usare la forza del suo potere. Migliaia di copie sono state sottratte da "Il Fatto Quotidiano", guidato da un concittadino di Ezio, Marco Travaglio, con il quale Mauro ha duellato, rimproverandogli "un linguaggio da Bagaglino, che deride i nomi degli avversari e dà la delega alle Procure per la redenzione della politica, considerata tutta da buttare, come una cosa sporca".
Matteo Renzi, prima leader del PD e poi premier, non è andato, mai, a genio a Mauro. Il direttore, soprattutto, non ha gradito che i democratici abbiano raggiunto il massimo storico alle Europee del 2014, pochi mesi dopo il "patto del Nazareno", siglato tra l'ex Sindaco di Firenze e Berlusconi.
A differenza dei suoi più ossequiosi predecessori, Renzi ha fatto, serenamente, il contrario di quello che avrebbe voluto "La Repubblica": sulla giustizia, sul lavoro, sulla riforma della Costituzione.
È stato lo stesso Mauro, qualche mese fa, ad ammetterlo: "Io ho un'idea di sinistra molto diversa da quella di Renzi. Ma sospetto che, con la mia idea, la sinistra non vincerebbe mai, mentre con quella di Renzi sì".
Il direttore lascia il giornale con la sinistra al governo, Berlusconi al tramonto, una destra su posizioni più estremiste ma con un nuovo soggetto politico, il M5S, alternativo ai vecchi partiti e anche distante anni luce dai declinanti "giornali-partito", guidato da un capopopolo anarchico, Beppe Grillo, per niente disposto ad accettare consigli da pur autorevoli giornalisti.
Pietro Mancini