G20, il dossier sul clima tra luci e ombre
Gli Stati Uniti lasciano, ma non è tutto perso a patto che gli inadempienti siano sanzionati
Lo avevamo già capito a Taormina. Ad Amburgo c’è stata la conferma: gli impegni presi da Obama sul clima sono ormai carta straccia. E così il G20, su questo delicato quanto importante tema, si è ridimensionato a G19. Una dichiarazione finale congiunta è stata comunque stilata a firma di tutti i leader. La forma è salva, la sostanza molto meno.
"Gli Stati Uniti - si legge nel comunicato - dichiarano che si sforzeranno per lavorare a stretto contatto con altri Paesi, per aiutarli ad accedere e ad utilizzare combustibili fossili in modo più pulito ed efficiente e a dispiegare energie rinnovabili e da altre fonti pulite, data l'importanza dell'accesso all'energia e alla sicurezza nei loro contributi determinati a livello nazionale”.
Combustibili fossili da utilizzare in modo pulito? Un ossimoro che rappresenta per gli addetti ai lavori una concessione imperdonabile agli Stati Uniti. Sebbene da un punto di vista ingegneristico esistano, per gli impianti a carbone, tecnologie efficaci per l’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica e delle polveri sottili, l’utilizzo del termine “pulito” accostato alle fonti fossili appare più come una licenza poetica che un qualcosa di tecnicamente sostenibile. Tanto più che tra le righe del comunicato si legge l’intenzione degli americani di esportare il loro carbone all’estero, in barba agli obiettivi di riduzione delle emissioni nocive stabiliti a Parigi.
Comunque, archiviata Amburgo (con la scia di scontri, feriti e arresti e una città a soqquadro), l’accordo di Parigi viene considerato irreversibile e dunque si procederà, fatta eccezione per gli Stati Uniti, verso la trasformazione del sistema energetico, con l'obiettivo di un progressivo abbandono di carbone, petrolio e gas.
Il presidente francese Macron ha fissato un nuovo incontro a Parigi il prossimo 12 dicembre, a 2 anni esatti dalla COP21.
Ma il forfait americano ha un impatto molto pesante sull’efficacia dell’accordo. Gli USA rappresentano il 25% del pianeta in termini di PIL e poco meno del 20% in termini di consumi energetici: circa 2.500 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) a fronte di consumi globali dell’ordine di 15.000. Anche in termini di emissioni di CO2, considerate la causa primaria del surriscaldamento del pianeta, gli Stati Uniti sono secondi solamente alla Cina e hanno un peso prossimo al 15% del totale.
Ma per non farsi prendere solo dallo sconforto, meglio pensare all'adesione importante della Cina, con il suo 30% delle emissioni globali di CO2. E al sì dell’India, altra grande potenza emergente che ha appena superato l’Italia, in termini di PIL. A trainare questo percorso green è sicuramente l’Unione Europea, vero baluardo della lotta ai cambiamenti climatici, che intende rilanciare gli obiettivi dell’accordo del 2015, mirando a traguardi sempre più sfidanti.
E’ proprio vero: a pensar bene si vive meglio. Dunque perché non spingersi oltre? Si è detto che i tempi necessari per un congedo dagli accordi di Parigi sono di 3 anni e gli Stati Uniti non potranno avviare il processo prima di un anno. A conti fatti, la variabile tempo potrebbe giocare a sfavore dei progetti isolazionisti di Trump. Se a questo si aggiunge che molti governatori - tra cui quello della California (lo stato più ricco degli USA) - e alcuni importanti esponenti dell’industria americana non solo si opporranno alle decisioni presidenziali ma metteranno in campo, per quanto nelle loro possibilità, tutte le iniziative atte a salvaguardare l’ambiente, verrebbe da essere persino ottimisti.
Ma torniamo all’accordo sul clima, che in fondo in fondo non è poi così fondamentale per il futuro e la salvaguardia del pianeta. Perché? In realtà l’accordo non prevede sanzioni per i Paesi che non rispettano gli obiettivi prefissati e quindi rischia di rimanere solo un elenco di buoni propositi. Senza sanzioni nulla è davvero vincolante. Il rischio è che così continueremo a rimanere in balia dei cambiamenti climatici, sempre più irreversibili con conseguenze sulla salute e sull’economia globale.
Alessandro Coretti (@alecorets)